Liber Baptizatorum, Elenco Cresimati, Liber Copulatorum, Liber Mortuorum e via annoverando altre pile di libroni, con infinite annotazioni, nomi, date, appunti, precisazioni sepolti negli armadioni e scansie impolverate degli uffici parrocchiali. È indubbio che le parrocchie fungevano da veri e propri uffici, organi con sacerdoti burocrati competenti a tenere l’evidenza della popolazione residente nel proprio territorio, registrando anche posizioni relative alle singole persone, alle famiglie senza fissa dimora e che in zona avevano stabilito il proprio domicilio.
Ci si chiede quale sia l’utilità del perdersi nel mare degli scritti che la chiesa medievale, investita di vero e proprio ruolo da ufficio anagrafe, curava con meticolosa precisione per secoli seculorum e la risposta arriva con l’ultimo contributo alla scienza fornito dallo studioso Slaven Bertoša, docente dell’Università “Juraj Dobrila” di Pola, titolare della cattedra di storia moderna e contemporanea, capillare ricercatore di aspetti economici, sociali, etnici, religiosi e in particolare migratori e colonizzatori dell’Istria e del Quarnero nel medioevo e nella nuova era (11-19.esimo secolo).
Senza entrare nel grande merito delle recensioni, saggi e progetti scientifici firmati da Bertoša, alla sua produzione di libri si aggiunge ora un’inquadratura storica particolare e dal titolo stuzzicante: “Le migrazioni verso Pola: l’esempio dell’Istria austriaca nell’età moderna”. Altrimenti detto “un lavoro da miniera”, secondo definizione scaturita alla recente presentazione in sede universitaria polese, e, non si erra a dirlo quando una pubblicazione si traina dietro anni e anni di totale immersione nei libri parrocchiali, quelli della città di Pola. Infinite e noiose scritture, solo all’apparenza e agli occhi degli ignari, non certo per quelli degli storici curiosi, talentuosi nel non lasciarsi sfuggire particolari rivelatori, indizi, tracce recondite di vita vissuta, movimento e irrequietudine umana nei secoli più remoti.
Si reputa che vada precisato: “Le migrazioni verso Pola” non sono uno specchio della città e di tutti i suoi abitanti tra i scoli XVII e XIX, non entrano nel merito di tutte le immigrazioni che contribuirono al ripopolamento dell’urbe più meridionale d’Istria e porto importante sulle rotte della Serenissima in direzione di Ragusa e del Levante, si concentra esclusivamente sugli immigrati a Pola dall’Istria asburgica, un numero non vistoso nel contesto dei secoli di storia cittadina, ma sufficiente a Bertoša per effettuare un’operazione di preziosa ricostruzione di tasselli di vita passata.
È deduzione dello storico, che le genti dall’Istria austriaca scendevano in gran numero e costituivano una presenza costante e continua a Pola, fino a risultare molto menzionati nei registri risalenti dal 1613 al 1817. Pur privilegiando nella sua analisi delle annotazioni anagrafiche, la gente discesa dall’entroterra conteale dell’Istria, dalla Grafschaft Isterreich, ne scaturisce un contributo per delle ricostruzioni d’insieme e quel che particolarmente coinvolge è l’ulteriore operazione di riscoperta della preziosità di fonti storiche quali i libri parrocchiali di Pola.
Edita dalla Cattedra del Ciakavski sabor per la storia dell’Istria, dall’Università di Pola e dall’Archivio storico di Pisino, l’opera di Bertoša trae spunto dagli archivi di stato con sostegno dato da istituzioni di ricerca e ha il pregio di prestare attenzione a ricchi contenuti e dati che sono rarità tali da rendere possibili analisi attendibili degli aspetti storico ecclesiastici e della quotidianità degli abitanti di un tempo. Attraverso trenta capitoli, Bertoša tratta della provenienza (luoghi e denominazioni) degli immigrati, passa in rassegna le iscrizioni anagrafiche relative ai medesimi, mestieri e professioni, i dati pertinenti all’appartenenza etnica, alle migrazioni plurime, alla tipologia di matrimoni stipulati, alle nascite di figli illegittimi, ai battesimi, alla longevità, alle malattie e cause di morte, alle sepolture gratuite e via analizzando fino a trarre confronti e conclusioni, nonché riportare l’elenco degli immigrati iscritti nei libri di chiesa, ivi inclusa l’impressionante lista delle fonti consultate.
Nel riassunto italiano sull’opera si precisa che “i libri parrocchiali della città di Pola – analizzati per il periodo dal 1613 al 1817 – e conservati nell’Archivio di Stato di Pisino, sono indubbiamente un’importante e interessante fonte storica non solo per la conoscenza del passato del più meridionale centro cittadino dell’Istria, ma anche di tutta la penisola e perfino della costa dell’Adriatico orientale in generale”. Si sottolinea parimenti che dal numero complessivo degli abitanti venuti dall’Istria asburgica, nei libri parrocchiali sono annotati 129 cognomi croati, 33 italiani e 3 che esulano da queste categorie, complessivamente 165 cognomi. Dalla forma e dall’origine, i cognomi croati formarono il 78%, quelli italiani il 20%.
Analizzando i dati qui esposti sugli immigrati dal territorio dell’Istria asburgica (da 31 abitati complessivamente), va sottolineato che i più numerosi erano quelli provenienti da Gimino, Pedena, Gallignana e Chersano. Alcuni abitati, come Bersezio, Caschierga e Scopliaco, sono annotati solamente una volta”. Ne scaturisce la deduzione che “l’esistenza del confine tra i due stati non era affatto un ostacolo per dei movimenti migratori molti intensi e in varie direzioni. Le migrazioni da questo territorio verso Pola rappresentano indubbiamente un interessante contributo alla conoscenza più dettagliata dei legami piuttosto intensi tra l’Istria asburgica e la parte meridionale della penisola, ma anche illuminano la storia di Pola da un punto di vista finora sconosciuto”. Risulta a questo punto interessante riportare alcuni particolari dei quadretti del vivere sociale ripescati e ricostruiti da Slaven Bertoša.
Arletta Fonio Grubiša
“la Voce del Popolo” / suppl. Storia 1 giugno 2013