LETTERE
Non leggerò «Irredenti redenti. Intellettuali giuliani del ’900» perché la pagina dedicata da Il Piccolo di domenica 17 maggio a Renate Lunzer, mi ha convinto che il nuovo lavoro altro non è che la raccolta organica dei luoghi comuni più stantii e superati che io conosca.
Di ben altro livello erano le tesi esposte, all’inizio degli anni Settanta, da Enzo Bettiza sul Corriere della Sera quando inventò o, quanto meno, lanciò il termine «Mitteleuropa» in sostituzione di «Impero asburgico» o «Impero austro-ungarico» che il grande scrittore spalatino voleva giustificare, rendendosi, però, conto che il solo richiamo al nome ufficiale di quello stato avrebbe vanificato la sua intenzione. Risposi allora, pur essendo un ammiratore dell’opera e della personalità di Bettiza, con un articolo in terza pagina su Il Secolo d’Italia nel quale contestavo i dati storici che ancor’oggi consentono di contrapporsi a quelle tesi, riesumate da Renate Lunzer.
La storiografia moderna è concorde nell’affermare che l’Impero asburgico era una realtà feudale, destinata a scomparire se non si fosse adattata ai nuovi tempi e che il vecchio e saggio imperatore Francesco Giuseppe I non era in grado di compiere quest’opera di svecchiamento e, anzi, assecondò, forse senza volerlo, il nazionalismo austriaco che dalla fine dell’Ottocento imponeva un’opprimente supremazia dell’elemento germanico sulla dozzina di nazionalità che componevano quello che era stato il grande Sacro romano impero, snaturandone le fondamenta. Qualcosa di simile era capitato alla Serenissima nel 1797 e tutti oggi rimpiangiamo il saggio Governo veneto che, ahimè, non aveva saputo adattarsi ai tempi. Vero è che quello che viene spacciato per una nostalgia mitteleuropea in realtà altro non è che il ricordo della saggezza dei governi medievali, del loro rispetto per i valori antichi e per la tradizione. Ancor’oggi sentiamo parlare di valori da conservare, ancorché tutti abbiano fatto di tutto e di più per affossarli.
Forse le necessità della vita moderna imponevano una drastica revisione di quei valori, ma dobbiamo prendere atto che si è andati ben oltre. In buona sostanza, quello che si vuol far credere essere stato una delusione degli irredentisti per l’Italia altro non è che la critica al mondo moderno che si fa oggi anche in Russia riferendosi allo zar, in Germania al Kaiser, nel mondo islamico all’Impero ottomano e così via. Mi pare piuttosto vecchio e fuori tempo anche il comodo tentativo di rovesciare sul fascismo le ragioni della nostalgia per i tempi passati. Vero è che i richiami al passato furono fatti a Trieste, nell’Istria e nella parte della Dalmazia italiana subito dopo la fine della guerra, quando cioè il fascismo non era ancora al potere e si fece anche nel Regno di Jugoslavia, in Cecoslovacchia ed in altri paesi dell’ex Impero dove il fascismo di tipo mussoliniano non esisteva. Temo proprio che l’autore del nuovo libro abbia pensato che un po’ di antifascismo lo avrebbe salvato dalle critiche, come se fossimo ancora ai tempi in cui bastava accusare qualcuno di essere fascista per garantirsi l’immunità e la solidarietà del colto pubblico e dell’inclita guarnigione.
Renzo de’ Vidovich