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Istria e Dalmazia, dall’antica Roma fino all’esodo nel saggio di Scandaletti – 10giu13

Istria e Dalmazia sono terre antiche, volta a volta regioni di passaggio, di conquista, di contrasto, di approdo. Soprattutto, sono terre di confine, frontiera fra i mondi latino, germanico e slavo, tra l’Oriente musulmano e l’Occidente cristiano, tra la Mitteleuropa danubiana e il bacino adriatico di Venezia. E se “confine” significa spesso lotta politica e tensione militare, altrettanto spesso rappresenta un’opportunità di scambio, di reciproche influenze, talvolta di virtuosa osmosi culturale. Storia complessa, dunque, che attraversa i secoli ricca di eventi e di contraddizioni.

Paolo Scandaletti affronta l’argomento con padronanza della tematica e ne propone un esauriente affresco nel libro è “Storia dell’Istria e della Dalmazia” (Edizioni Biblioteca dell’Immagine, pagg. 234, euro 14).

Il punto di partenza è l’età della romanizzazione, quando Ottaviano Augusto comprende “Venetia et Histria” nella X regione d’Italia ed eleva la Dalmazia a provincia senatoria. L’arena di Pola, le ville romane di Broni, i resti classici di Parenzo e di Zara sono le testimonianze di un passato nobile, culminato alla fine del III secolo d. C. con l’incoronazione ad imperatore del dalmata Diocleziano.

La fine dell’impalcatura statale romana, sotto la spinta delle invasioni barbariche, porta a secoli di retroguardia storica, con il territorio diviso tra un’area di influenza longobarda e un’area bizantina; ma tra il Duecento e il Trecento, l’emergere della forza espansiva dei commercianti veneziani restituisce unità alla regione. Le cittadine costiere sono approdi importanti per le navi che fanno rotta verso l’Oriente e Rovigno, Pola, Zara, Spalato, Ragusa si arricchiscono di monumenti che riflettono lo stile elegante ed arioso di Venezia.

Nel 1797, con il trattato di Campoformio, tutto il territorio che era stato la libera repubblica di Venezia viene ceduto da Napoleone all’Austria. Al di là delle alternanze di poteri statali, il denominatore comune dei lunghi secoli di presenza veneziana e austriaca è la pacifica convivenza tra etnie diverse: gli italiani, prevalentemente concentrati nelle città della costa, e gli slavi, numericamente più consistenti nell’entroterra, convivono senza tensioni. Ci sono matrimoni misti, scambi commerciali, tanti momenti comuni.

I problemi sorgono sul finire dell’Ottocento, quando la nascita di una borghesia slovena e croata porta ai primi contrasti con la borghesia italiana irredentista, e si aggravano negli anni Venti del Novecento, quando l’Istria e la Dalmazia diventano Italia e, contemporaneamente, la marcia su Roma porta al potere il fascismo. Le esasperazioni nazionaliste del regime negano i diritti delle minoranze e le autonomie linguistiche e culturali rispettate da Venezia e da Vienna sono sostituite dall’italianizzazione forzata; nel 1941, l’invasione del regno di Jugoslavia da parte delle truppe italo-germaniche infligge un colpo ulteriore, creando divisioni, sospetti e guerra là dove c’era stata collaborazione.

L’ultima parte del volume di Scandaletti è dedicata al momento più drammatico della storia istriano-dalmata, il 1945. Nel momento in cui termina il conflitto mondiale, il movimento di liberazione del maresciallo Tito, ispirato all’ideologia nazionalcomunista, occupa il confine nordorientale dell’Italia e inizia una pulizia etnico-politica tanto rapida quanto drammatica. L’obiettivo è preciso: eliminare quanti possono difendere l’italianità dell’Istria e della Dalmazia e assicurarne l’annessione alla nuova Jugoslavia comunista. Di qui i “desaparecidos” uccisi e gettati nelle foibe, i giorni di terrore di Trieste diventata “Trst”, le stragi a Pisino, a Fiume, a Buie, la paura che attraversa la comunità italiana nei villaggi e nelle cittadine.

Scandaletti ricostruisce le vicende con un’intensità emotiva che introduce all’esito finale: i 346.440 italiani che tra la primavera 1945 e la metà degli anni ’50 lasciano la Venezia Giulia, l’Istria e la Dalmazia e si disperdono nei 109 campi profughi allestiti nella penisola; non emigranti che fanno un investimento sul futuro, ma profughi che abbandonano ciò che hanno perché lì, oltre confine, non vedono più futuro. E così l’Istria e la Dalmazia si svuotano di una presenza che ne ha caratterizzato secoli di storia.

Gianni Oliva
www.ilpiccolo.it 8 giugno 2013

 

 

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