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Italia: l’unità è ancora da fare (corriereitaliano.com 15 mar)

di Claudio Antonelli

Per la celebrazione dei centocinquant’anni dell’unità d’Italia – Paese, in realtà, assai poco unito – trovo pertinente far conoscere ai nostri lettori questi tre testi, che esprimono, in maniera forse troppo netta, due Italie. Il primo è il messaggio con cui il signor Giovanni Kauffmann, animo nobile, reagisce ad una lettera sulla tragedia delle terre d’Istria, Fiume, Dalmazia, da me inviata ad “Italians”, il forum di Severgnini del “Corriere della Sera” online. Gli altri due sono invece le risposte piene d’odio di due “italiani” ad un altro mio intervento sostanzialmente identico. Giovanni Kauffmann: «(…) Ho 76 anni ed assolsi il servizio militare come ufficiale di complemento negli Alpini. Ho scritto più volte che noi alpini non vi abbiamo mai dimenticato perché alle nostre Adunate i gonfaloni di Istria, Dalmazia, Venezia Giulia aprono lo sfilamento. Non abbiamo aspettato il Giorno della Memoria ma vi abbiamo portato con noi negli anni bui del terrorismo quando le città erano sommerse dallo sventolio dei drappi rossi. In quegli anni volli partecipare con moglie, figlia e figlio a quelle annuali adunate ed agli amici che stupiti mi chiedevano perché lo facessi e se non temevo di far correre loro dei pericoli, rispondevo che nessun pericolo poteva esserci quando le città erano invase dagli alpini e lo facevo perché i figli potessero ricordare che il Tricolore era la bandiera nazionale e non quella rossa. A 10 anni persi il padre per un mitragliamento aereo, dopo un mese che eravamo rientrati a Milano dalla Toscana dove lui dirigeva un deposito della Galbani. Senza nulla perché tutto era rimasto nella villetta di Viareggio abbandonata dopo l'8 settembre ed altre cose in una villa vicino a Lucca dove eravamo sfollati. In un anno la mia infanzia felice divenne solo un ricordo per far posto ad un orfano che spalancava gli occhi sulla morte, le distruzioni, gli odi di una guerra civile. Credo che la ferita inferta al mio cuore non si sia mai più chiusa. Per questo posso solo dirle con rispetto che la capisco perfettamente. Chi non ha vissuto certe tragedie non conosce il dolore. Ciò che mi rattrista di più è l'ignoranza dei giovani e l'ignavia di quelli della mia generazione che nulla hanno saputo trasmettere ed insegnare. L'unica consolazione è che loro, i politici falsi e vigliacchi, saranno i primi ad essere colpiti dall'oblio che hanno steso sul vostro dolore».

Adesso il commento di F.C., di tono completamente diverso da quello del signor Giovanni Kauffmann:  «È impressionante la Sua lettera. Voi esuli non mollate! Per molti siete una delle sciagure d'Italia e come non dar torto a chi sostiene questa tesi? La maggior parte di voi, di 1/a, 2/a, 3/a e 4/a generazione continua a spandere odio, a rivedere improbabili teorie del passato, a seminare nazionalismi morti e sepolti. (…) Una parola di suffragio al Maresciallo Tito e alla sua infinita bontà: fossi stato io? Non 1.940 nelle fojbe, ma almeno due zeri in più!!!».

L. V., altro “antitaliano doc” come il precedente, non si dimostra da meno, per odio settario: «Sono i suoi amichetti ‘fascisti’ ad aver causato la perdita di Istria e Dalmazia. […] Mi pare che gli esuli (o meglio, gli eredi degli esuli) stiano ancora ricevendo indennizzi per la perdita delle loro proprietà. L'Italia è l'unico paese al mondo dove le scemenze di guerra continuano a costare soldi ai contribuenti anche dopo sessant'anni. È leggendo messaggi come il suo che ci si rende conto dell'assurdità della tragedia delle foibe. Perché nei fossi ci son finite, purtroppo, le persone sbagliate, e non gli esaltati megalomani come lei».

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