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Italiano, da Ulisse ai social network (Voce del Popolo 19 ott)

Nella sequela di avvenimenti prestigiosi e di nomi illustri delle Giornate della Cultura e della Lingua Italiana a Fiume 2012 – manifestazione promossa dal Ministero degli Affari Esteri italiano, per il tramite del Consolato generale d’Italia a Fiume, in collaborazione con la municipalità, con l’Unione Italiana, l’Università degli studi di Fiume e la Comunità degli Italiani del capoluogo quarnerino – nella mattinata di ieri alla Facoltà di Filosofia di Fiume ha tenuto cattedra l’insigne Prof. Guido Baldassarri, docente presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Padova, con la conferenza “Da Dante al Novecento. L’ultimo viaggio di Ulisse nella tradizione letteraria italiana”. L’evento, che ha coinciso con l’inaugurazione dell’Anno accademico 2012/2013 della Facoltà di Filosofia fiumana, è stato seguito da un foltissimo e scelto pubblico, tra cui il console generale d’Italia a Fiume, Renato Cianfarani, Predrag Šustar, preside della Facoltà di Filosofia, Gianna Mazzieri Sanković, capodipartimento degli Studi di italianistica, Corinna Gherbaz Giuliano, docente al Dipartimento di italianistica.

 

Rileviamo che lo studioso, nella sua imponente produzione scientifica, si è ripetutamente occupato della tradizione del poema narrativo, epico-cavalleresco, fra Cinquecento e Seicento (Tasso, Marino, Bracciolini), e, per il Settecento, ha al suo attivo numerosi studi sul Cesarotti e la traduzione di Omero e Ossian. Per la tradizione lirica, oltre ai suoi studi sull’’archetipo in questo campo della tradizione “moderna” (le “Rime” del Tasso), si è interessato alla teoria e alla prassi della lirica barocca. Ha al suo attivo numerosi contributi sul Pascoli ‘conviviale’ e, a più riprese, si è occupato di diverse tematiche della letteratura contemporanea, anche in prospettiva europea. Direttore del Dipartimento di Italianistica di Padova, visiting orofessor come rinascimentalista presso l’Université de Paris 4 Sorbonne, è dal febbraio 2008 vicedirettore del Centro di Studi Italiani dell’Università di Guangzhou (Cina) e condirettore della rivista “Italian & Chinese Studies”.

“Il titolo della conferenza è piuttosto ambizioso – premette Baldassarri, riassumendo i contenuti del suo contributo –, ma corrisponde alla situazione letteraria italiana novecentesca, in cui il tema di Ulisse ricorre più volte; naturalmente non avendo dietro solo l’‘Odissea’, quanto piuttosto il XXVI canto dell’‘Inferno’. Il centro dell’intervento è imperniato sull’‘Ultimo viaggio’ di Pascoli, dei ‘Poemi conviviali’, e del suo rapporto dialettico con Omero, innanzitutto, poi con Dante, con un grande autore inglese come Tennyson e con un autore italiano minore come Arturo Graspa. Da tutto questo insieme emerge, tra l’altro, la forte opposizione tra l’approccio pascoliano – che attraverso un’operazione estetizzante, spoglia il personaggio classico della sua olimpicità e gli dà un’anima decadente, con le sue incertezze, i suoi smarrimenti e l’angoscia esistenziale – e la posizione d’annunziana (anch’egli chiamato in causa) sul mito di Ulisse, nella cui figura (“re delle tempeste”) il poeta vede il modello del Superuomo. Per far prevalere infine l’interpretazione dell’antico che va a sostegno dei pascoliani ‘Poemi conviviali’”.

 

Spaziamo ora in un campo di tematiche più vasto, legato non solo al mondo della letteratura e della parola, ma anche a temi attuali e certamente non facili. Come si presenta, dal suo punto di vista, la scena letteraria italiana attuale?


“È una scena molto ricca e difficilmente identificabile secondo categorie tradizionali; viceversa, è una letteratura molto più capace di riconoscersi in termini di etichette. Voglio dire che di scrittori contemporanei italiani di successo ce ne sono parecchi; però poi, in realtà, si tratta di individualità piuttosto distinte l’una dall’altra, nonostante alcuni tentativi di accorparli sotto denominatori comuni. Cioè, in qualche maniera bisogna fare storia individuale per ciascuno di questi autori che poi, tra l’altro, non dialogano più solamente con la tradizione letteraria, ma anche con quelli che sono gli altri mezzi di formazione dei media: il cinema, la televisione, il fumetto, il clip e così via. È una scena molto complessa ma anche molto ricca. Non è affatto vero che la letteratura italiana sia in una fase di decadenza. Semmai è in una fase di trasformazione violenta, anche perché il pubblico è cambiato radicalmente; si tratta infatti non solo di fruitori che leggono libri, ma che pure usufruiscono giornalmente di Internet, per esempio”.

 

La parola in quanto tale è in crisi? Oggi si parla tantissimo, c’è un’inflazione di parole, però alla fine ci si accorge di dire ben poco. Non è che la parola oggi venga banalizzata? Non è che abbia perso del suo spessore, del suo senso, del suo significato?


“Certamente la parola e il linguaggio attuali sono molto diversi da quelli a cui era abituata la mia generazione. Sì, c’è forse un eccesso di parole che succede anche attraverso i media, l’informazione. La parola, però, quella individuale, quella significativa rimane. Un linguaggio al quale noi non siamo abituati è quello di facebook, di twitter; è lì che sta la parola che conta, oggi. La parola che sta nei libri è diventata molto più lontana dalla nostra esperienza. Ha ragione nel dire che si parla molto, magari troppo, che la parola è stata banalizzata, ma questo perché c’è una sovrabbondanza, un eccesso, non perché la parola in quanto tale si sia svuotata dall’interno”.

 

Rimanendo in tema di linguaggio – questa volta però in riferimento ai giovani – non è che l’uso massiccio del cellulare, il linguaggio telegrafico e particolare dei messaggini, la comunicazione tramite i vari social network, abbiano determinato un impoverimento, un deterioramento della lingua con cui i giovani si esprimono?


“I giovani come uso personale, individuale, parlano un italiano molto diverso da quello che si legge sui libri. Sarebbe importante vedere se conservano la competenza che è necessaria per leggere dei testi che non gli appartengono, come generazione. Che parlino tra loro un linguaggio ‘settoriale’ in qualche maniera, e scrivano con gli strumenti di cui si diceva (sms, social network) è inevitabile; il punto è se dispongono di una preparazione che consenta loro di decifrare una pagina scientifica di vent’anni fa, oppure rimane per loro un qualcosa di inconoscibile? Bisognerebbe riuscire a fare ambedue le cose. Però, se perdono memoria di quella che è la tradizione, allora l’impoverimento linguistico è grosso”.

 

Oggi l’Occidente, l’Europa e per cui anche l’Italia, si dibattono in una crisi di valori, di senso, in una crisi esistenziale. Lei vede un’uscita da questa situazione, e, secondo lei, come si profila il futuro della civiltà europea?


“È una domanda molto impegnativa. Credo che la situazione sia per molti versi drammatica in Europa. È anche vero che di periodi tranquilli ne abbiamo conosciuti pochi, almeno dalla Seconda guerra mondiale a oggi. Penso che il problema sia il seguente: o riusciremo a crescere – e crescere vuol dire confrontarsi con gli altri, con la diversità – oppure il progetto culturale dell’Europa è destinato ad afflosciarsi. Conto molto sul fatto che quest’apertura progressiva dell’EU comporti un arricchimento. Penso che con l’entrata della Croazia l’anno prossimo nell’UE si verificherà un ulteriore allargamento che porterà a disegnare in maniera diversa i centri dell’Europa, che non sono solo più Germania e Francia, ma anche i Paesi del Mediterraneo, il che è molto importante per l’Italia. Credo si debba continuare a lavorare, magari mettendoci meno tempo – per giungere al punto attuale abbiamo impiegato cinquantacinque anni – per costruire, per riuscire a produrre un modello di convivenza, che nel resto del mondo spesso è ancora un sogno”.

 

Ma in un’Europa così eterogenea esiste anche un problema di mantenimento della propria identità. Solo chi ha un’identità forte può riuscire a confrontarsi con le identità degli altri senza rimanerne schiacciato.


“È vero, però noi stiamo facendo un qualcosa che non è stato fatto molte volte nella storia umana. Cioè mettere assieme popoli differenti non attraverso la guerra, ma attraverso la pace, non con la conquista ma attraverso la cooperazione, in maniera che si riconoscano in un’area culturale comune mantenendo la proprie identità. L’età del popolo-nazione, tra Ottocento e Novecento è stata segnata da una quantità infinita di guerre. Noi, una volta tanto, tentiamo di fare le cose in maniera diversa. Sta un po’ a noi conservare le nostre identità e confrontarci con gli altri sul piano culturale. Certo, è una scommessa, non economica o politica, ma culturale”.

 

Alcuni mesi fa era stata sollevata una polemica a proposito della “Divina commedia”. Secondo alcuni il poema dantesco conterrebbe alcuni passi, definiti dai polemisti “antiislamici e antisemiti”, per cui si invocava addirittura la censura. Qual è la sua opinione in merito?


“È una questione di comprensione di una dimensione culturale. È necessario storicizzare un minimo, dico un minimo, la posizione che è quella di un autore del XIII-XIV secolo. Dare a Dante dell’antiislamico e dell’antisemita è come dire che Omero era un guerrafondaio il quale parlava solo di sangue, di morte e di battaglie. L’umanità è passata attraverso vari stadi. L’importante è collocare ciascuno nell’epoca a cui appartiene, altrimenti l’alternativa che cos’è? Cancellare tutto quello che è anteriore al 1970? Mi parrebbe davvero duro da digerire, insomma”.

 

Che cos’è per lei la libertà?


“La libertà è quella capacità straordinaria che consiste nel riconoscersi come unicità e confrontarsi con tutti gli altri che godono degli stessi diritti. È molto facile scambiare la propria libertà con il ‘diritto’ di opprimere o di schiacciare la libertà altrui. Riuscire a trovare un giusto equilibrio, per cui uno si riconosce come unico e non clonabile e riconoscere contemporaneamente agli altri di essere portatori degli stessi diritti, è la scommessa più ardua che un essere umano possa fare. Questa, grazie Iddio, è ancora un volta una scommessa non politica ma culturale, e il mestiere degli uomini di cultura dovrebbe essere quello di incoraggiare e formare in questa direzione”.

 

Patrizia Venucci Merdžo

“la Voce del Popolo” 19 ottobre 2012

 

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