Non quella socialista, ma quella cosmopolita di Fiume. Io abitavo in Via Giotto, angolo Via Buonarroti. Il nostro "Campo giochi" con le biciclette, era il Piazzale del Cimitero. Sulla sinistra dell'ingresso del Camposanto di Cosala vi era una cappella, poi distrutta da una bomba di aereo, adiacente alla quale vi era un locale per i morti che aspettavano la sepoltura. In fila, ordinati l'uno vicino all'altro, in silenzio. Noi, ragazzi, curiosi, andavamo a guardarli. Non avevamo paura, perché per noi non erano morti del tutto. Per noi erano morti veri solo dopo che li avevano messi sottoterra. Dove non sapevano niente di quello che succedeva a Fiume.
Sulla città scivolavano, come acqua chiara e limpida sul marmo di una fontana, le lingue: ungherese, tedesco, italiano, croato. Fuori di Fiume già il dialetto triestino era per noi foresto. Noi dicevamo: Ti ga magnado, ti ga fame. I triestini: Te ga fame, te ga magnà.
Da piccoli non sapevamo che cosa fosse il mirtillo nero, ma mangiavamo con gusto le borovitze (borovice) come pure lo strudel, le palacinche, le sarme e il kugluf (Kugelhupf).
Ma la base, la radice restava sempre la favella veneta, anche se, per così dire, un poco arricchita. Goldoni scriveva: Mia mare era bona. Noi dicevamo: La mia mare, essa la era bona (un francesismo). Fiume era una città cosmopolita, europea ante litteram.
Giulio Scala