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Jovanka Broz: mio marito Tito (Diva e Donna 14 ott)

BELGRADO – Ottobre

Vive in una vecchia villa fatiscente. Non risponde al telefono, non legge le lettere che le inviano da ogni parte del mondo, non si affaccia neppure a una delle due finestre che guardano sulla strada principale, ma solo a quella del giardino interno della villa, per non essere vista da nessuno. Ha dato ordine ai poliziotti di bloccare chiunque tenti di avvicinarsi al portoncino di ferro, in Boulevard Mira numero 75, nell'elegantissimo quartiere di Dedinjie, a Belgrado, ricco di verde e nuovi miliardari. Il governo serbo ha dichiarato la casa "obbiettivo sensibile; è quindi vietato fotografarla anche all'esterno, pena l'arresto immediato.

Le autorità locali a Jovanka Budisavljevié Broz, vedova del maresciallo Tito, hanno assegnato una villetta quasi centenaria, da fuori sembra una reggia, ma dentro c'è uno spaventoso stato di degrado. Macchie gialle di umido, la vecchia carta da parati, in alcuni punti, lacera e rigonfia. Subito dopo la stanza delle guardie, Jovanka abita tre locali, quasi tutti nelle stesse condizioni e per trovare un angolino e scattare qualche foto, viene utilizzato l'unico posto abbellito da tendine bianche e un mobilio rosicchiato dai tarli. «Sono lieta di rivederla, perché mi ha ricordato quando io e il Maresciallo siamo sbarcati a Napoli, tanti anni fa, dopo una traversata terribile, per il mare grosso, da New York fino in Italia. La ringrazio anche per i bei fiori che ha voluto offrirmi, che, a una donna della mia età, fanno sempre piacere. Mi sarebbe piaciuto trattenermi ancora un poco con lei, a parlare di Napoli, ma il tempo dei ricordi è lontano. Non voglio parlare del passato, anche perché ogni parola può essere sempre soverchia…».

La signora Jovanka alza gli occhi al soffitto del salotto, come a indicarmi una probabile "cimice", messa dai servizi segreti serbi per ascoltare le conversazioni di una donna, che, per il suo passato politico e familiare, è ancora una mina vagante.

Allora, prudentemente, taglia corto: «Le offro un caffè e poi devo salutarla subito, perché in televisione c'è la puntata di uno sceneggiato che non voglio perdermi». In perfetto inglese, la signora Jovanka si congeda e sparisce dietro una grande porta. Il capitano Alexander Ilk, che da lungo tempo veglia notte e giorno sull'incolumità dell'anziana vedova, mi dice che da sedici anni un estraneo non metteva piede in questa casa. Questo incredibile privilegio mi è stato consentito per l'autorevole intervento dell'avvocato Toma Fila, difensore di Jovanka, che ha pregato la signora – sebbene fossi un giornalista – di ricevere il mio omaggio floreale, senza tentare interviste, perché la sua assistita da due decenni ha la bocca chiusa ermeticamente, con tutti, per evitare grane con il governo di Belgrado. «Il governo serbo non vede l'ora che io me ne vada presto e tolga il disturbo, ma quei signori non sanno che nella mia famiglia tutti sono stati longevi. Difatti, la media era di 95 anni e qualcuno è anche morto a 102 anni. Dunque, io ho ancora tempo, e resisterò a tutte le angherie alle quali ancora oggi mi sottopongono»: così dice la vedova di Tito, quando parla con il suo avvocato difensore.

Il riscaldamento della casa – mi ha raccontato l'avvocato Fila – d'inverno quasi sempre non funziona ed è una continua richiesta di riparazioni al ministro Razim Ljialich, competente alla gestione dell'imbarazzante vedova di Tito. La verità è che Jovanka Broz, per il governo serbo, costituisce una spina nel fianco, sia perché sdegnosamente ignora e disprezza tutti gli attuali vertici politici e sia perché, oggi in Serbia, specie tra i ceti più popolari, serpeggia un vivo rimpianto per Tito. Ogni giorno al mausoleo con la sua tomba file di pullman scodellano nostalgici provenienti da Slovenia, Croazia, Montenegro e Serbia, ma un invisibile cordone di sicurezza evita ogni contatto con la vedova del Maresciallo.

Ma è la stessa Jovanka che ha voluto isolarsi da tutti, per la valanga di amarezze che le sono piovute addosso, addirittura tre anni prima della morte di Tito, quando fu accusata di alto tradimento a favore deí dirigenti di Mosca e segregata dallo stesso marito, dopo essere stato sobillato dai gerarchi jugoslavi dell'epoca. Forse anche per il peso dei tanti rimorsi, perché quando aveva il Potere, ha anche fatto tanto male a tanta gente e ora i figli di quelle vittime del regime di Tito la odiano. Le uniche persone che accetta di vedere sono le sorelle minori Nada e Zora, ma sono visite brevi e formali. Le portano la tintura corvina per i capelli, i rossetti, la crema per le rughe, tutto ciò che può servire a illuderla di non avere 84 anni, il 7 dicembre prossimo. Ma Jovanka ha fermato la clessidra del tempo, la sua pelle è fresca, si veste e si trucca ogni giorno, come si trovasse ancora nel palazzo presidenziale con Tito, all'epoca del loro splendore. Invece, per umiliarla, i nuovi governanti di Belgrado l'hanno sistemata in questa vecchia villa fatiscente, che dista solo dieci metri da quella storica e stupenda dimora della coppia Broz, ritornata oggi piena proprietà del principe Alessandro Karadordevic, erede al trono di Serbia, la cui famiglia fu esiliata da Tito. Jovanka trascorre dunque le sue giornate in una specie di vigilati 'arresti domiciliare; solo in compagnia del capitano Ilic, guardia del corpo, che dorme nella stanza accanto alla signora, nel caso in cui di notte si sentisse male. Ma Jovanka sta benissimo, a dispetto di chi la vorrebbe, da tempo, già scomparsa. Al mattino si prepara la colazione da sola, poi nel suo salottino ricama orribili cuscini neri, con ornamenti dorati. E riordina album con migliaia di foto, legge libri di botanica in inglese, guarda documentari e fiction con un televisore a colori di almeno tre decenni. Mangia pochissimo, ma non disdegna qualche bicchiere di vino rosso e per ore ascolta musica classica. Il capitano Ilic mi  racconta che aveva due cagnolini pechinesi, ma sono morti tre anni fa, con grande dolore della signora.

Non esce neppure a fare la spesa, perché ci pensa Misha, un giovane poliziotto. Così, il cancello arrugginito della villa si apre una sola volta all'anno, per fare uscire Jovanka, a bordo di una sgangherata Mercedes grigia, unico "bene" che la vedova oggi possiede. La vecchia automobile di Tito a Jovanka serve solo ogni 4 di maggio, per andare alla tomba del Maresciallo, morto in quel giorno in una clinica di Lubjiana, nel 1980.. Al termine di questo breve, ma eccezionale incontro, accompagnato dal cortese capitano Ilio (che al mio ingresso mi ha garbatamente perquisito), in salotto, noto una foto di Tito e Jovanka giovanissima, in divisa da partigiana jugoslava. Aveva 17 anni quando fu presentata al focoso Maresciallo, già sposato e padre di numerosi figli, disseminati da un capo all'altro della Jugoslavia. A Tito quella bellissima ragazza croata piacque subito e la nominò sopraintendente al personale del quartiere generale partigiano dove viveva. Poco dopo, scoccò l'amore reciproco. Lui, potentissimo, aveva 60 anni, lei 28, combatteva contro il nazifascismo animata da esagerate ambizioni. Si sposarono nel 1952 e i loro 28 anni di matrimonio sono stati testimoni di grandi eventi storici, e responsabili di imperdonabili crimini, come le "foibe" nella Venezia Giulia, dove persero la vita migliaia e migliaia di italiani non graditi al regime. L'anno scorso, la signora Jovanka Budisavljevie vedova Broz ha chiesto al governo serbo di essere sepolta accanto al marito, ma le hanno risposto di no, e di organizzarsi per riposare definitivamente a Pekani, quel paesino natale della Croazia, da dove era partita tanti anni fa in uniforme da partigiana e tanti sogni in quello zaino, diventato oggi l'unico compagno della sua meritata solitudine.

Franco Bucarelli

 

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