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Kosovo: cambio della guardia da Onu a Ue (Il Piccolo 13 mag)

di LINDA DORIGO

MITROVICA «Lo status del Kosovo è una questione risolta in modo parziale» a dirlo è il rappresentante del segretario generale delle Nazioni Unite in Kosovo e capo dell'Unmik (United Nations Interim Administration Mission in Kosovo) Lamberto Zannier. Dopo il fallimento dei negoziati di Rambouillet e i 78 giorni di bombardamenti Nato sul territorio, la Risoluzione Onu 1244 del 1999 ha dato inizio al protettorato delle Nazioni Unite in Kosovo, confermando sulla carta i diritti di sovranità di Belgrado sulla regione.

PRECEDENTE. La provincia è stata affidata a un'amministrazione civile dell'Onu, l'Unmik appunto, e a un contingente militare guidato dalla Nato, la Kfor. «Con i negoziati Pristina-Belgrado del 2006 sullo status definitivo della provincia – racconta il diplomatico friulano nel suo ufficio di Pristina – si è cercata una nuova risoluzione che avrebbe portato alla conclusione della missione. Purtroppo il Consiglio di sicurezza si è spaccato e il Kosovo si è dichiarato unilateralmente indipendente: un precedente pericoloso che ha aperto un contenzioso amministrativo di non facile gestione».

TRATTATIVE. «Con l'occupazione delle istituzioni da parte del nuovo Stato kosovaro – continua Zannier – l'Unmik ha continuato a portare avanti, nella maniera più neutrale possibile, il dialogo con entrambe le parti scatenando pesanti critiche da parte dei kosovari albanesi». Dopo mesi di trattative tra il segretario generale Onu Ban Ki Moon, Belgrado e Pristina, il Consiglio di sicurezza ha approvato, il 25 novembre scorso il piano che ha dato il via libera alla missione Eulex (European Union Rule of Law Mission) in Kosovo. Gli esperti dell’Ue hanno il compito di sostituire, gradualmente e in coordinamento con essa, la missione Unmik, operando per la riorganizzazione delle forze di polizia, delle dogane, del sistema giudiziario, dei trasporti e delle infrastrutture, confini e protezione del patrimonio culturale.

STRADA. La bandiera Onu, i divani blu pastello e la cravatta mandarino del diplomatico regalano un tocco di rilassato colore, svecchiando l'austerità dell'arredamento circostante. Zannier, seduto in poltrona davanti una tazza di cappuccino, racconta gli sviluppi della missione: «Si è aperta la strada per la riconfigurazione dell'Unmik. Si prevede una riduzione del 90% del personale impegnato (5 mila a fine 2008), pur mantenendo un attivo ruolo politico perché è sempre necessaria un'interfaccia tra le autorità kosovare, quelle internazionali e quelle che ancora non hanno riconosciuto il nuovo Stato». La missione Eulex, anche se operante sotto l'ombrello della Risoluzione 1244 e con un approccio neutrale rispetto all'autoproclamata indipendenza di Pristina, non deriva da una risoluzione Onu e per tale ragione è contestata come illegale sia dalla Serbia sia dalla Russia. Attualmente le nazioni che hanno riconosciuto il Kosovo sono 58, un terzo dei Paesi membri delle Nazioni Unite e tra questi anche l'Italia, impegnata sul territorio con un contingente militare a Pec e con l'Msu (Multinational Specialized Unit) dei carabinieri a Pristina, cui contribuisce un contingente della Gendarmeria francese.

INDIPENDENZA. «A metà 2010 la Corte di giustizia Ue si esprimerà sulla legalità dell'autoproclamazione – continua Zannier -: l'iter è lungo e l'opinione non è vincolante. I punti di vista sulla questione sono due: la dichiarazione è legale e quindi compatibile con la 1244, o illegale. Coloro che hanno riconosciuto l'indipendenza sono stati mossi dalla convinzione che indietro non si sarebbe più potuti tornare». Con il sopravvenire dell'indipendenza, si è presentata anche la questione delle «leggi applicabili» per il Kosovo. «I regolamenti Unmik sono stati sostituiti da quelli kosovaro albanesi – aggiunge con un'esemplificazione – e da febbraio non esistono più le dogane. È stato necessario cambiare i timbri Unmik convincendo i kosovari a passare dalla prima dicitura "Repubblica Kosovo" a "Kosovo Customs", anche se i serbi non sembrano ancora soddisfatti».

SCONTRI. La tensione vibra nell'aria frizzante. Leggenda vuole che il Kosovo sia la terra dei corvi: migliaia di fantasmi neri ricoprono il cielo quasi a ricordare che nulla è passato e che tutto è ancora aperto. Il tempo delle cicatrici non è ancora arrivato. Mitrovica, città multietnica nel Nord del Kosovo, è il luogo simbolo di queste ferite: il ponte sul fiume Ibar la divide in due, albanesi kosovari a Sud, serbi kosovari a Nord. Nel quartiere di Brdjani (Kroi i Vitakut in albanese), da due settimane decine di manifestanti serbi si oppongono alla costruzione e ricostruzione delle case degli albanesi nella parte Nord della città. I fumi dei gas lacrimogeni, lanciati dalle forze Eulex, arrivano fin dentro i giardini delle case, la gente lamenta la perdita di api e galline mentre l'avanzata serba verso la «linea gialla» viene interrotta a poche decine di metri dal traguardo dalla Kp (Kosovo Police), supportata dalle unità speciali del Rosu- Regional Operation Special Units.

CASE. Oltre il «confine», gli albanesi kosovari lavorano alla costruzione di sette nuove abitazioni. «Perché a loro è stato dato il permesso di costruire e noi invece non possiamo tornare alle nostre case a Sud?» si chiedono i serbi. L'accordo con i rappresentanti dell'Unmik è arrivato lunedì scorso e ha portato a una tregua delle proteste: anche ai serbi è stato infatti concesso di ricostruire le proprie case distrutte o danneggiate durante la guerra di 10 anni fa nella parte Sud. Da una parte gli albanesi kosovari rivendicano il diritto di tornare alle proprie case distrutte durante il conflitto del 1998-'99, dall'altra i serbi kosovari temono l'espansione albanese verso il proprio esiguo spazio, per altro già spartito con le altre minoranze etniche, lamentando violenze e una latente insicurezza.

IL NODO. «L’Onu – commenta Zannier – non è mai riuscita a creare un'amministrazione omogenea a Nord, dove sono sopravvissute le istituzioni locali o gestite direttamente da Belgrado. Tra i grandi problemi ancora da risolvere spicca quello della riconciliazione. Pur mancando un rapporto di causa-effetto, l'attuazione dell'Asa, l’Accordo di stabilizzazione e adesione all'Unione europea, e la successiva entrata della Serbia, costituiranno certamente un valido aiuto anche ai fini della risoluzione del problema Kosovo».

 

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