Nell’Italia devastata dell’immediato dopoguerra, l’accoglienza dei profughi giuliano-dalmati rappresentò un’emergenza umanitaria di difficile gestione. Alcide De Gasperi cercava di frenare l’emorragia di connazionali dalle terre che il Trattato di Pace firmato a Parigi il 10 febbraio 1947 aveva ceduto alla Jugoslavia in cui si andava perfezionando la rivoluzione comunista di Josip Broz “Tito”. Lo statista trentino confidava in tempi migliori per lo svolgimento di un futuro plebiscito con il quale decidere la sorte dell’Istria, di Fiume e di Zara da un lato e dall’altro voleva alleggerire il carico umano che stava abbattendosi sui 109 Centri Raccolta Profughi allestiti frettolosamente in tutta Italia.
L’accoglienza degli esuli fu diversificata a seconda delle zone e delle situazioni sociali, alla solidarietà per i connazionali si alternavano l’astio dei militanti comunisti contro i “fascisti in fuga dal paradiso comunista di Tito”. Nelle giornate a ridosso del 10 Febbraio sono apparsi vari articoli sul quotidiano Libero che delineano alcune di queste vicende: