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La Croazia in Europa e le ferite risanate (Corriere della Sera 03lug13)

Che i croati possano ora abbattere le strutture di cemento per restituire alla signora Anna Del Bello Budak il suo orto coi piselli travolto dalle ruspe una mattina del 1991 è improbabile. È ormai certo, però, dopo l’ingresso della Croazia in Europa, che l’incubo è finito. E il confine tra Slovenia e Croazia sull’antica via Flavia a Sicciole di Portorose, a poche decine di metri dal ponte sul fiume Dragogna, è destinato a diventare davvero «un confine di seta». Ci vorrà ancora un po’ prima che venga del tutto abolito perché, come spiegano gli istriani, «la frontiera fra la Croazia e la Bosnia è un colabrodo e l’Europa non può permettersi ancora di includere il nuovo Stato membro nello spazio di Schengen».

Ma il percorso è tracciato. E l’abolizione del confine che per un ventennio ha segato l’Istria andrà a cicatrizzare una ferita storica. Non era mai esistita, infatti, quella frontiera che dopo l’esplosione dei vari nazionalismi che portarono alla disintegrazione della Jugoslavia, ha impedito per oltre due decenni agli istriani di andare avanti indietro liberamente nella loro terra. Non c’era mai stata sotto i romani, mai sotto Venezia, mai sotto gli austroungarici, mai sotto Napoleone e di nuovo sotto gli Asburgo. E quella radicalizzazione traumatica e antistorica di un confine amministrativo jugoslavo, che aveva il peso di un confine tra province, aveva dato luogo ad assurdità indimenticabili.

Gli abitanti di Villa Cucini si ritrovarono con la chiesa in Slovenia e il cimitero in Croazia. A quelli di Bresovizza fu impedito di precipitarsi un giorno coi secchi e i badili a spegnere l’incendio a una casa di compaesani rimasta al di là della nuova frontiera: «Altolà! Documenti». E l’ambulanza che portava Duilio Visentin, colpito da una emorragia interna, al vicino ospedale di Isola (in Slovenia) fu bloccata e rispedita verso la lontana Pola: «Documenti!» «Mio marito muore…» «Documenti!».È finita, finalmente. Siamo tutti (quasi) dentro gli stessi confini. Parallelamente, c’è da sperare che possono essere rimarginate le altre ferite rimaste dopo la pulizia etnica che i comunisti titini (per vendetta dopo le prepotenze del fascismo ma non solo) scatenarono contro gli italiani spingendone 350 mila ad andarsene lasciando terre dove avevano vissuto per secoli.Resta aperto il problema dei risarcimenti.

I croati che si videro nazionalizzare dal comunismo un albergo o una impresa si sono visti restituire buona parte di quanto era stato loro sequestrato. Gli italiani no. Anzi, la Slovenia e la Croazia post-comuniste e formalmente liberali insistono a dire che la faccenda è stata chiusa coi risarcimenti (ridicoli) concordati (meglio: imposti) con la Jugoslavia titina. Risarcimenti peraltro mai aggiornati e versati in una banca del Lussemburgo (dove non sono mai stati ritirati) solo dalla Slovenia. Ecco, adesso che siamo tutti, italiani e slavi, cittadini europei e che in Croazia valgono le regole dell’Europa, c’è da sperare che anche a chi fu buttato fuori di casa sia infine resa giustizia. Senza revanscismi. Con amicizia. Ma giustizia.

Gian Antonio Stella
“Corriere della Sera” 3 luglio 2013

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