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La devastante frana delle intolleranze (osservatoriobalcani.org 13 nov)

Leggo, ovviamente indignato, che qualcuno vorrebbe chiudere o mettere il bavaglio alla redazione italiana di radio Fiume. Una lettera di un ascoltatore che incita a chiudere il programma italiano, letta e commentata con evidente simpatia, da un collega giornalista e conduttore del programma radiofonico croato, Robert Ferlin, è semplicemente un nuovo esempio di hate speech, di linguaggio dell'odio. Una sorta di intimidazione. E' molto preoccupante che ci si debba ancora chiedere se il filo al quale sono appese le sorti e i diritti di una comunità, per minoritaria che sia, possa resistere al peso di questo o quello xenofobo di turno. Ma ciò che maggiormente indigna è la leggerezza, l'indifferenza generale, con cui certi messaggi – pietre che possono causare una devastante frana – vengono lanciati e pubblicizzati.

Alla redazione italiana di Fiume vada tutta la mia solidarietà, di collega e di parlamentare. Naturalmente anche quella di connazionale, ma questa la reputo secondaria, scontata, in quanto a fatti come la lettera che condivide Ferlin, deve reagire, immediatamente, la società civile, quella che crede nella tolleranza e nei valori del tanto invocato dialogo interculturale. Lancio quindi un appello a tutti i colleghi croati affinché la loro voce si faccia sentire e argini subito il linguaggio dell'odio scaraventato contro una comunità minoritaria e trasmesso da un'emittente pubblica nella lingua di maggioranza.

Quasi in contemporanea ai fatti di Fiume, avveniva nella non lontana Trieste un fatto altrettanto grave. In dura polemica con un'iniziativa del teatro Miela, con la partecipazione di Hasan Nuhanović, testimone sopravvissuto all'eccidio di Srebrenica, e accusatore, presso il tribunale dell'Aja, della complice latitanza dei caschi blu olandesi, quando avvenne il massacro perpetrato dai soldati di Mladić nel luglio del 1995, un'organizzazione serba ha fatto circolare questa specie di appello chiedendo ai serbi nel mondo firme di sostegno. Affinché non ci sia mancanza di chiarezza sul suo contenuto lo propongo integralmente, così come mi è arrivato via posta elettronica.

"Gentillissimi responsabili, con la presente esprimiamo nostro più profondo sdegno per la vostra iniziativa sul ‘genocidio’ di Srebrenica del 11.11.2008 con la partecipazione di sig. Hasan Nuhanovic, noto impostore.
Ci riserviamo ad adire vie legali in modo collettivo, consultando la secolare Comunità Serbo-ortodossa di Trieste e Consolato della Repubblica di Serbia, contro gli organizzatori di questa vergognosa, oscena e calunniosa manipolazione della verità, fortemente lesiva nei confronti delle vittime serbo-ortodosse durante la recente sanguinosa guerra in Bosnia-Erzegovina."

Il negazionismo sembra essere diventato una pista molto battuta negli ultimi anni. E concerne il fascismo, il nazismo, l’olocausto, i gulag di Stalin, e ora anche le tragedie dalle ferite ancora sanguinanti come quella bosniaca. Sono stato di recente a Srebrenica, Sarajevo, Jajce e Bihač, e ho parlato con parenti e sopravvissuti della strage di tredici anni fa. Non ho trovato odio e sete di vendetta. Essi reclamano solo giustizia e l’affidano ai pilastri del diritto internazionale.

La negazione, che si traduce in inevitabile legittimazione dei carnefici, è la continuazione del genocidio. Qualche tempo fa, sempre a Trieste, un ottimo libro testimonianza, scritto da Jovan Divjak, generale bosniaco di etnia serba che si mise alla testa dei difensori contro l’assedio diretto da Karadžić (Sarajevo mon amour, Infinito Edizioni), non poté essere presentato perché alcune minacce „spaventarono“ le autorità locali che “sconsigliarono”, “preventivamente”, la manifestazione.

Alla negazione va quindi aggiunta l’intimidazione. E inoltre nuovamente la sindrome dei latitanti e complici caschi blu.

E’ inquietante il corso degli eventi cui stiamo assistendo. Sono tante piccole pietre che pian piano potrebbero dare forma a una frana che minaccia di seppellirci, cominciando dalle nostre coscienze.

Franco Juri

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