Dopo aver diffuso il comunicato diramato dalla Federazione delle Associazioni degli Esuli istriani, fiumani e dalmati in merito alla necessità di una rappresentanza unitaria e coesa della comunità italiana autoctona nell’Adriatico orientale, pubblichiamo un editoriale di Ezio Giuricin (Presidente del Circolo Istria, giornalista, storico e figura autorevole dei nostri connazionali in Istria) apparso sul quotidiano La Voce del Popolo lo scorso 2 dicembre.
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Gli ultimi risvolti della vita sociale e politica della comunità nazionale italiana denunciano un grado di litigiosità molto alto e, soprattutto, un clima di divisione che sta divenendo sempre più preoccupante. I motivi dei contrasti all’interno delle nostre strutture associative sono complessi e trovano origine nei decenni trascorsi segnati da numerosi nodi irrisolti, da lacune ed errori, da divergenze e ostilità – anche personali – mai superate, dall’incapacità di incanalare il confronto fra idee e posizioni diverse in una cornice di dialogo, in disegni propositivi, soluzioni concrete e progetti condivisi. Siamo troppo piccoli, troppo deboli, come minoranza, per permetterci di seguire la china, pericolosissima, delle divisioni, dell’assenza di dialogo e della contrapposizione permanente all’interno delle nostre istituzioni.
Queste preoccupazioni possono sembrare esagerate; forse le divisioni riguardano solo pochi singoli o parti isolate del nostro mondo comunitario. Ma è inutile negare che le recenti polemiche – a prescindere dalla loro natura – stanno intaccando, indirettamente, gli equilibri delle nostre istituzioni, il loro sereno e indisturbato funzionamento, influendo sulla nostra capacità di pensare costruttivamente al futuro. Ovviamente, come in ogni confronto, ci sono torti, ragioni e responsabilità. Ed è giusto che si manifestino, si invochino, si rivendichino legittimamente, dando luogo a un dibattito che può essere animato ma che però non deve scadere in un’arida resa dei conti. Il punto è che non si devono mai perdere di vista gli interessi e degli obiettivi comuni.
La vita associativa, la politica, soprattutto quella “minoritaria”, è mediazione, compromesso, condivisione; frutto della capacità di ascolto e del rispetto degli altri. I litigi su regole, aspetti statutari e organizzativi che potrebbero (potevano) essere risolti con il buon senso, ci fanno perdere di vista problemi di portata ben più ampia, le grandi sfide da cui dipende il futuro della nostra comunità.
Al nostro orizzonte vi sono i nodi – enormi – denunciati dall’ultimo censimento “nazionale” in Croazia; un rilevamento che contestiamo e non riconosciamo, ma che purtroppo rileva l’esistenza di debolezze profonde e fragilità “sistemiche” della nostra comunità nazionale, e che pone in risalto le conseguenze di un’assimilazione strisciante e pericolosa, l’umiliante e progressiva perdita di fondamentali elementi di consapevolezza e identità nazionali. Così come l’esigenza di far valere adeguatamente i nostri diritti, il bilinguismo, la nostra presenza autoctona e paritaria sul territorio d’insediamento storico, il problema della necessità di interrogarci seriamente sul ruolo delle nostre scuole quali strumenti di formazione culturale e linguistica e di affermazione della coscienza nazionale per le giovani generazioni, dell’attuazione coerente dei trattati bilaterali che dovrebbero sancire l’uniformità di trattamento, l’estensione e l’elevazione dei nostri diritti nelle società in cui viviamo. O ancora, i nodi legati all’affermazione e la difesa del ruolo delle nostre istituzioni, dei nostri media, delle relazioni della nostra comunità con le autorità locali e regionali, con i governi, gli Stati domiciliari, con la Nazione Madre, l’Italia, nella costante ricerca di soluzioni che rispettino e consolidino ulteriormente la nostra soggettività e autonomia (politica, culturale, propositiva, finanziaria), per mezzo di nuove norme e strumenti, come ad esempio delle “Leggi quadro o di sistema” in Slovenia e Croazia, o la tanto attesa “Legge d’interesse permanente” in Italia. Per non parlare dell’obiettivo di ottenere l’agognata “base economica”, che non si limiti al sostegno dei nostri imprenditori, ma che dia vita, possibilmente, a un “sistema” (banche, imprese, servizi ?) in grado di autofinanziarci: unica garanzia di reale indipendenza del nostro tessuto comunitario.
Dovremmo cercare di lasciare da parte ciò che ci divide per riconoscere e valorizzare ciò che ci unisce. Utopie? Illusioni? Può darsi. Riteniamo valga la pena provarci: credere nella forza e nella fatica del dialogo, nell’ostinazione e la speranza della propositività. Forse – questa la proposta – dovremmo tentare di dare vita a una “convenzione programmatica”, una specie di “stati generali” della comunità nazionale italiana in Slovenia e Croazia per delineare gli elementi fondamentali e il quadro di un “progetto futuro” per la minoranza. Un’assemblea dell’UI allargata ai rappresentanti delle Comunità e delle scuole, delle istituzioni, ai nostri intellettuali ed operatori culturali, alle nostre menti più brillanti, articolata in commissioni, tavoli e gruppi di lavoro, con il compito di indicare le tracce programmatiche e le proposte operative per concepire lo sviluppo della CNI. Una sfida per le persone di buona volontà, a cui sta a cuore il destino della minoranza.
L’alternativa è sprecare le nostre poche energie in un conflitto permanente, in un arido gioco di interessi contrapposti a cornice di una comunità virtuale, destinata a diventare museo o simulacro, fragile “casa di carte”, un tempio vuoto. Possiamo tentare. Ne va del rispetto che dobbiamo a noi stessi, della nostra dignità.
Ezio Giuricin
Fonte: La Voce del Popolo – 02/12/2023