Gargaro è poco distante da Gorizia. A 2 chilometri nord ovest di Gargaro, che è in Slovenia, c’è la foiba di Pogdomila. Qualcuno la definisce pure: Foiba di Gargaro. Un’insegna esplicativa, di fonte slovena, spiega che nella cavità naturale morirono civili italiani, domobranci ed altri disgraziati.
“Domobranci” fu la denominazione collettiva degli appartenenti alla “Slovensko domobranstvo”, formazione collaborazionista nazista di miliziani prevalentemente volontari, costituitasi in Slovenia nel settembre 1943, per contrastare l’Esercito popolare di liberazione della Jugoslavia ad egemonia titina comunista.
Più testimonianze informarono che nella Foiba di Gargaro, o Podgomila, nella ex provincia di Gorizia, furono massacrati dai titini circa ottanta individui (Wikipedia, alla voce “Massacri delle Foibe”, consultazione del 2 marzo 2024). Mauro Tonino, dell’ANVGD di Udine, l’ha visitata e commentata nel 2021 (Tonino M 2021 : pp. 119-120). Escursionisti italiani, nel 2024, hanno fatto notare nei social media che, presso detta foiba, esiste una targa ricordo nella sola lingua slovena. Gargaro (in sloveno Grgar; in friulano Gargâr) oggi è un insediamento sparso, frazione del comune di Nova Gorica, in Slovenia.
Nella Foiba di Zavni, in comune di Tarnova della Selva (Trnovo) quando era sotto il Regno d’Italia, nella Selva di Tarnova, oggi frazione di Nuova Gorizia (Nova Gorica), secondo certe testimonianze, vi furono gettati i corpi dei Carabinieri di Gorizia, oltre che di centinaia di sloveni oppositori di Tito.
Altri autori sloveni hanno fatto notare che, dopo il 1° maggio 1945 “I domobranci catturati nelle postazioni di Tolmino, Salcano, Fossa Baska [in sloveno Baška grapa, ossia Valle della Baccia, ex-provincia di Gorizia, NdR] e alcune centinaia di bersaglieri, catturati presso Mlinsk [Mlinsko, fuori Caporetto, NdR], erano stati immediatamente trucidati e gettati nel precipizio di Zagomila, sotto Grgar (l’italiana Gargaro), circa cento bersaglieri erano stati portati a Tolmino, da dove erano scomparsi” (Perme F et alii 2005 : 436).
Ecco alcuni nomi degli infoibati italiani di Gargaro, secondo l’Archivio del Ministero degli Affari Esteri di Roma: “15 giugno 1945. Notizie orribili continuano ad arrivare; a Gargaro si sarebbe trovata una foiba con 700 (?) cadaveri… sono sati riconosciuti i due fratelli De Ferri, la signora Paternolli, proprietaria dell’omonima cartoleria e tipografia, l’ingegnere Casasola, già podestà di Gorizia, la signora Giades Fernanda, impiegata dell’Ufficio di Stato Civile di Gorizia, la signora Venezia, figlia del Direttore e già professoressa del collegio Dante Alighieri”. “26 giugno 1945. La signorina estratta semi viva dalla foiba di cui feci cenno nella mia relazione del 19 corrente, era una certa Venezia, professoressa di filosofia e matematica, insegnante presso le magistrali di Gorizia. La poveretta è deceduta il 17 corrente presso un ospedale di Udine”.
Giulia Venezia era figlia di Attilio e Silvia Treleani, nata l’11 febbraio 1916 a Udine. Civile, professoressa di scuola superiore a Gorizia. Ivi arrestata il 3 maggio 1945 e tradotta alle carceri di via Barzellini. La notte tra il 7 e l’8 maggio 1945, assieme a diversi altri arrestati, fu prelevata dal carcere, caricata su un camion della ditta Ribi e tradotta per ignota destinazione.
Una famiglia di Gargaro prigioniera dei titini
“Dopo il giorno 8 settembre 1943 la vita nel mio paese di Gargaro (ora Slovenia) divenne un incubo – ha detto Sergio Pacori – non era più possibile viverci. Di giorno era occupato dai tedeschi, di notte dai partigiani. Un mattino un gruppo di mongoli [caucasici collaborazionisti di Hitler] comandati da un ufficiale tedesco entrò a casa mia e perquisì tutto l’appartamento. Un gigantesco mongolo trovò la mia enciclopedia e strappò in una sola volta un centinaio di pagine, poi entrò in cucina e, non so per quale motivo, sfoderò un pugnale e si lanciò contro mia madre con l’intenzione di ucciderla. Il comandante tedesco intuendo le sue intenzioni gli puntò la pistola intimandogli di fermarsi. Il mongolo abbassò il pugnale, digrignando i denti per la rabbia repressa. Fu uno shock, penso che in quel momento i miei decisero di abbandonare il paese. L’indomani caricammo tutto quello che era possibile sul nostro camioncino [il babbo era macellaio, NdR] e partimmo per Gorizia. Durante il viaggio non ci furono problemi, così l’indomani decidemmo di ritornare al paese per prendere ancora qualche cosa. Il viaggio fu abbastanza tranquillo, ma arrivati a destinazione ci intercettarono i partigiani di Tito, sequestrarono il camioncino e ci portarono nella Selva di Tarnova dove c’era il loro comando. Ci dissero che dovevamo considerarci prigionieri e che il nostro mezzo sarebbe stato usato per trasportare i feriti partigiani all’ospedale di Franja, vicino al Lago di Santa Lucia, ora in Slovenia [a Dolenji Novaki, frazione di Circhina / Cerkno].
L’ospedale, che tra l’altro si può ancora visitare [chiuso per alluvione] era situato in una zona impervia raggiungibile soltanto risalendo un torrente, così da non lasciare tracce. I feriti venivano legati su barelle e trasportati a braccia. L’ospedale consisteva in alcune baracche in legno: c’erano stanze per i feriti, una sala operatoria, una sala per i raggi X; prestavano la loro opera anche medici italiani e di altre nazionalità. Venivano curati quelli che arrivavano dalle zone di combattimento, ma spesso le ferite andavano in cancrena e bisognava amputare braccia e gambe. Si può ancora vedere un piccolo cimitero dove venivano sepolti gli arti. Le baracche dell’ospedale, costruite sotto i costoni di roccia, erano invisibili dall’alto; i tedeschi erano a conoscenza dell’ospedale ma, anche dopo parecchie ricognizioni fatte dagli aerei, non fu mai localizzato.
I partigiani, dopo averci fatto prigionieri, ci portarono al loro campo, nei boschi vicino a Tarnova della Selva. Lì vivemmo più o meno all’addiaccio per circa un mese. Il campo si spostava continuamente e non c’erano alloggiamenti fissi, si dormiva sulla nuda terra e quando si era fortunati in qualche grotta. I capi partigiani si riunivano periodicamente per prendere decisioni e organizzare gli attacchi. Io e mio fratello Marino incuriositi spesso li spiavamo da dietro i cespugli. Mia madre era terrorizzata all’idea che girassimo per il campo, però noi eravamo piuttosto indipendenti e curiosi e non ci capitò mai qualcosa di brutto. Quando venivamo attaccati dai tedeschi tutto il campo si spostava in un’altra località, noi compresi. Un giorno furono avvistati carri armati tedeschi, dovemmo fuggire con i partigiani. C’era un nostro conoscente che aveva la gamba rotta e non poteva correre, lo facemmo stendere nel letamaio e lo coprimmo di letame. I cani dei tedeschi, ingannati dall’odore, non riuscirono a trovarlo.
Mia mamma era infermiera e ostetrica e per tutto il periodo che passammo al campo medicò i feriti che arrivavano dalle zone dei combattimenti. Penso che l’averci trattenuto fosse stato motivato dal fatto che mia mamma era un’infermiera e avrebbe potuto essere utile. Si mangiava quel poco che c’era, qualche patata cucinata di notte su piccoli fuochi schermati, perché di giorno il fumo dei fuochi avrebbe rivelato la posizione del campo. L’aviazione inglese riforniva periodicamente i partigiani di armi che venivano lanciate col paracadute. In quel caso venivano accesi dei fuochi per segnalare il luogo del lancio. Immancabilmente seguiva l’azione dei cannoni tedeschi, così eravamo sotto il fuoco. Dopo circa un mese decisero di spostare il comando e ci diedero finalmente il permessi di allontanarci, naturalmente si trattennero il camioncino. Così dopo una giornata di faticoso cammino attraverso i boschi raggiungemmo Gorizia. L’incubo era finito, ma fu un’illusione. Dopo un po’ di tempo a Gorizia iniziarono i bombardamenti degli aerei americani”.
I Carabinieri di Gorizia
Con una precisa ricerca storica e memorialistica Franco Miccoli ha esaminato una pagina, quasi sconosciuta, della storia dell’Arma nella zona che va da Gorizia ad Aidussina in un periodo complesso come quello della guerra alla Jugoslavia e dell’occupazione nazista. Allo stesso tempo c’è la presenza delle forze partigiane slovene e dei garibaldini comunisti italiani. Ci sono, infine, le deportazioni di molti carabinieri finiti in foiba o nei gulag di Tito, come nelle baracche di Borovnica. Assieme alle forze partigiane addirittura a Gorizia è avvistato un “colonnello russo” il 10 settembre 1943 in compagnia del maggiore inglese Williams Jones per contatti con i carabinieri, fedeli al Re (Miccoli F 2021 : 54). Fatti allontanare certi ufficiali, troppo orientati al Governo Badoglio e, quindi, fiancheggiatori della Resistenza, nel capoluogo i carabinieri si considerarono, sulla base del diritto internazionale, corpo di polizia di uno stato occupato, ossia dell’Adriatisches Küstenland del Terzo Reich (Ibidem : 68). In conclusione, i carabinieri di Gorizia restarono al loro posto, tennero orgogliosamente la loro divisa, con tanto di alamari e stellette, rifiutando di indossare quella delle Waffen SS, o di altri.
Il giallo del carabiniere pugliese
Antonio Angelilli, nato a Triggiano (BA) nel 1917, scomparve il 14 luglio 1944, mentre era in servizio a Gorizia. “Non faceva rientro dalla libera uscita – recita una nota dell’Ufficio Stralcio della legione Carabinieri reali di Trieste in Padova, datata 5 aprile 1946, pubblicata da quotidiani di Bari – sembra che sia stato catturato da elementi slavo-comunisti”. Nel 2018 è stato ricordato alla Foiba di Basovizza, presso Trieste. Antonio Angelilli fece probabilmente la stessa fine di altri militi prelevati dai titini a fine conflitto a Gorizia, ai familiari dei quali furono trasmesse solo queste parole: “deportato e scomparso, presumibilmente infoibato”.
La foiba venne utilizzata dai partigiani titini “per eliminare velocemente i corpi degli italiani abbattuti – ha spiegato G.P.F. – dato che scavare fosse nel Carso roccioso è molto difficile, se non impossibile”. È stato Igino Bertoldi, a scrivere la seguente frase riferita al dopoguerra, ovvero ai primi di maggio del 1945: “Da tener presente che il grosso dei combattenti Diavoli Rossi, IX Corpus e Garibaldini erano trasferiti a Gorizia a infoibare” (Bertoldi I 2023 : 1). La Divisione Garibaldi “Natisone” fu una formazione partigiana comunista garibaldina, a maggioranza friulana, attiva durante la Resistenza in Friuli, mentre dal 25 dicembre 1944 si fece sottomettere dal comando del IX Corpus sloveno, la grande unità dell’Esercito Popolare di Liberazione della Jugoslavia. Bertoldi, detto Ercole, Bogomiro o Ragamir, è nato a Tavagnacco (UD) il 29 agosto 1926. È stato un patriota delle Brigate Osoppo, di area cattolica, azionista, monarchica e laico-socialista, spesso in contrasto con i partigiani comunisti delle formazioni “Garibaldi”, culminato nell’eccidio di Porzûs, del 7 febbraio 1945.
Il signor G.P.F. non smette mai di ricordare che: “i primi patrioti di Udine, dopo l’8 settembre 1943 si ritrovarono all’Osteria Alla Ghiacciaia di via Zanon che, tra le altre, fu un covo di irredentisti prima e durante la Grande guerra, sotto la conduzione del triestino Giusto Muratti, seguace di Garibaldi”. Nel 1943 i patrioti avevano uno spirito di solidarietà cristiana. Erano anti-tedeschi e col vessillo del tricolore senza altri segni. Non volevano egemonie di partigiani garibaldini rossi e nemmeno di partigiani sloveni di Tito, già infiltratisi con vene annessionistiche tra i comandi in Veneto e Friuli. “Gli arrestati di Gorizia, come tutti quei carabinieri – ha concluso G.P.F. – vennero eliminati e gettati nelle foibe per far scomparire il tragico eccidio”.
Su tali fatti va ancora fatta chiarezza. Ad esempio “non si sa che fine abbiamo fatto tutte quelle decine di cetnici [monarchici anticomunisti, NdR] che stazionavano a Gorizia alla fine della guerra. Con le loro carrette vagavano fino a Cormòns e Prepotto. Vollero essi arrendersi agli inglesi, per non finire nelle mani dei titini, che li consideravano traditori e allora da eliminare”, come raccontò Paola Del Din nel 2016.
Altre decine di carabinieri, obbligati a smettere la loro divisa, si arruolarono (o furono costretti ad arruolarsi) nella Guardia Nazionale Repubblicana. Molti di loro ai primi di maggio 1945, a guerra conclusa, furono catturati, disarmati e deportati dai titini nei campi di concentramento jugoslavi. Erano i gulag della morte. Molti di essi non fecero più ritorno. I loro nominativi sono citati nell’Elenco “Livio Valentini”, tra i Caduti della RSI, disponibile nel web.
Poliziotto goriziano incarcerato a Fiume
Il professore Pietro Mastromonaco raccontò nel 2016 la storia dell’incarceramento di suo padre. “La mia famiglia stava a Gorizia nel 1945 – ha detto Mastromonaco – quando ci furono i 40 giorni di occupazione jugoslava e poco prima, quando c’erano in città le retroguardie dei cetnici alleate dei tedeschi, come altre truppe collaborazioniste: domobranci, belagardisti e cosacchi”.
Allora cosa accadde? “Mio padre, che era della polizia a Gorizia, fu ferito di striscio alla testa da un cetnico – ha proseguito Mastromonaco – poi fu ricoverato in ospedale e in seguito all’arrivo dei partigiani di Tito fu incarcerato a Fiume. Così per poter parlare con lui mia madre ed io siamo andati fino a Fiume in vari comandi e caserme, ma non ci davano retta, allora mia madre si arrabbiò e cominciò a protestare, fu così che un militare jugoslavo, in un buon italiano, cercò di calmare mia madre e poi ci fece vedere il babbo per pochi minuti”. Come è finita? “A settembre, dopo 4 mesi di prigionia – ha concluso Mastromonaco – il papà è stato liberato, avrebbe potuto finire nella foiba, come tanti carabinieri, finanzieri e altri, solo perché italiani”.
Le Golobine di San Pietro del Carso
Nella ex-provincia di Gorizia, annessa alla Jugoslavia nel 1947, a San Pietro del Carso (Pivka) vi sono degli abissi denominati Golobine (colombaie). Nel campo di concentramento titino di Prestane (Prestranek) furono internate oltre 500 persone. “Quando il campo di concentramento fu abbandonato, in agosto, a seguito dell’amnistia, di tutti gli internati ne erano arrivati a casa solamente qualche decina. La maggioranza degli internati erano stati portati via e gettati nelle Golobine” (Perme F et alii 2005 : 436). Tali voragini sono collegate ai corsi d’acqua e a crepacci vari. In primavera si allagano. Poi l’acqua si ritira portando tutto con sé, teschi inclusi. La gente del posto sa bene che: “l’acqua in fondo alle foibe porta via tutto quello che c’è – ha detto Sergio Pacori – molte buche carsiche vicino a Gorizia sono così”. Un’altra nota di fonte slovena ricorda che: “Un precipizio con delle ossa si trova anche sotto Slavnik, a 1 km sud-est del villaggio, dove giacciono degli italiani trucidati” (Perme F : Idem).
Gli arresti da parte titina non solo di civili italiani, ma addirittura nei confronti di chi era sopravvissuto al lager nazisti andarono avanti anche dopo la fine della guerra, come emerge dai documenti presso l’Ufficio Informazioni Vaticano per i prigionieri di guerra istituito da Pio XII (1939-1947). In riferimento al confine orientale c’è una “nota di Danilo De Riz, della Croce Rossa di Udine, sull’arbitrario arresto di ex internati da parte delle autorità iugoslave, 11 luglio 1945”.
Dichiarazione di Bruna Zuccolin, presidente ANVGD Udine
A margine della presente ricerca si registra la seguente dichiarazione. “Il nostro sodalizio opera nel senso del dialogo e della pacificazione in dimensione europea, volendo superare gli attriti del Novecento nella Venezia Giulia – ha detto Bruna Zuccolin – vorrei aggiungere che lo scopo principale della nostra associazione è, principalmente, di diffondere il ricordo dell’esodo giuliano dalmata sottolineando che, per statuto, siamo apartitici inoltre la nostra associazione che, a livello nazionale è sorta nel 1948, ha aiutato i profughi e oggi si occupa soprattutto di ricordare i fatti complessi che accaddero al confine orientale, perché non si può lasciare nell’oblio la sofferenza di così tante persone”.
Fonti orali – Le interviste sono state condotte a Udine, se non altrimenti indicato, da Elio Varutti con penna, taccuino e macchina fotografica.
– Igino Bertoldi, detto Ercole, Bogomiro o Ragamir, nato a Tavagnacco (UD) il 29 agosto 1926; int. a Tavagnacco (UD) il 29 agosto 2023
– Paola Del Din, Pieve di Cadore (BL) 1923, int. del 17 marzo 2016.
– G.P.F., Gemona 1938, int. del 2 marzo 2024.
– Pietro Mastromonaco, nato a Roma, ha vissuto a Gorizia, int. del 29 febbraio 2016.
– Sergio Pacori, Gargaro, provincia di Gorizia nel Regno d’Italia 1933, int. del 7 marzo 2024.
Documenti originali e d’archivio
– Archivio del Ministero degli Affari Esteri, Roma, doc. n. CXXXIX.
– Archivio Segreto Vaticano, Inter Arma Caritas. L’Ufficio Informazioni Vaticano per i prigionieri di guerra istituito da Pio XII (1939-1947), Città del Vaticano, 2004.
– Archivio di Stato di Gorizia, Centri reclutamento della provincia di Gorizia, 1940, dattiloscr.
– Igino Bertoldi, Lettera al Presidente dell’APO [Associazione Partigiani Osoppo Friuli], testo in WORD, Tavagnacco (UD) 18 ottobre 2023, pp. 2. Collezione E. Varutti.
– Pacori Sergio, Ricordi di guerra e di pace. I miei ricordi postati in Internet e i commenti degli amici, Gorizia, fotocopie, 2022, pp. 70. Collez. E. Varutti.
– Pacori Sergio, Poesie, storie d’amore, apparizioni misteriose, miracoli, commento di un fan, fotocopie, 2024, pp. 22. Collez. E. Varutti.
Bibliografia
– Miccoli Franco, Carabinieri a Gorizia 1942-1945. Memorie degli anni bui (1.a edizione: 2013), Trieste, Istituto regionale per la storia della Resistenza e dell’Età contemporanea nel Friuli Venezia Giulia, 2021.
– Mirizzi Vito, “Un carabiniere triggianese tra le vittime delle Foibe”, «La Gazzetta del Mezzogiorno», 16 maggio 2018.
– Pacori Sergio, I giorni di Gargaro. Ricordi di guerra, memorie di pace, Gorizia, Libreria Editrice Goriziana, 2015.
– Pavan Camillo, Caporetto: storia, testimonianze itinerari, Treviso, 1997.
– Perme Franc, Zitnik Anton, Nucic Franc, Crnej Janez, Zavadlav Zdenko, Slovenjia 1941, 1948, 1952. Tudi mi smo umrli za domovino (1.a edizione: Lubiana, Grosuplje 1998), Edizione italiana [considerata dagli AA. come la terza]: Slovenija 1941, 1948, 1952. Anche noi siamo morti per la patria. “Tudi mi smo umrli za domovino”. Raccolta, Milano, Lega Nazionale d’Istria Fiume Dalmazia, Mirabili Lembi d’Italia, [2005, anno di stampa dedotto, pp. 380-381, nella didascalia delle fotografie a colori n. 22-23], pp. LXVI-792.
– Tonino Mauro, Italiani dimenticati. Viaggio nei drammi del Confine Orientale, Pasian di Prato (UD), L’Orto della Cultura, 2021.
– Varutti Elio, Carabinieri a Gorizia 1942-’45. Leali, giusti, pieni di umanità e con la voglia di libertà, on line dal 14 agosto 2023 su anvgdud.it/
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Progetto di Elio Varutti, coordinatore del Gruppo di lavoro storico-scientifico dell’ANVGD di Udine. Networking a cura Sebastiano Pio Zucchiatti e E. Varutti. Lettori: Bruna Zuccolin, Bruno Bonetti, Mauro Tonino e i professori Ezio Cragnolini e Elisabetta Marioni. Copertina: La targa ricordo alla Foiba di Gargaro, foto da Facebook. Fotografie dall’archivio dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia (ANVGD), Comitato Provinciale di Udine, che ha la sua sede in Via Aquileia, 29 – primo piano, c/o ACLI. 33100 Udine. – orario: da lunedì a venerdì ore 9,30-12,30. Presidente dell’ANVGD di Udine è Bruna Zuccolin. Vice presidente: Bruno Bonetti. Segretaria: Barbara Rossi. Sito web: https://anvgdud.it/
Fonte: ANVGD Udine – 14/03/2024