Comincerò dicendo che è giusto conoscere e ricordare la storia. Tale conoscenza può servire come ammonimento. Però c'è anche il rovescio della medaglia. C'è il pericolo che ricordare fatti dolorosi e spiacevoli non faccia che riaprire vecchie ferite resuscitando così antichi odi mai sopiti.
Si sa che la storia attraverso i secoli, nelle sue parti negative, è stata sempre segnata da una serie di eccidi, di efferatezze. Diciamo pure che è colma di orrori e di tragedie. Perciò mentre si celebra con speciali giornate il ricordo di queste tragedie io proporrei, paradossalmente, di istituire una "giornata dell'oblio": un momento di riflessione e di autocritica in cui tutti gli uomini, rivolgendosi al passato ma anche al presente, possano dire agli altri ed a se stessi: "Scordiamo le cose funeste, le brutture alle nostre spalle, e d'ora in avanti cerchiamo di darci comportamenti migliori. Insomma basta con i piagnistei sulle malefatte accadute nel corso degli anni e della storia. Cerchiamo, come purtroppo tuttora avviene, di non continuare a commetterne. Dimentichiamo gli eccidi e le malvagità con la giornata dell'oblio. Cambiamo pagina".
Ora si dà il caso che questa posizione non solo suscita perplessità ma è criticata, per cui a mio giudizio il discorso è ancora aperto.
Va innanzi tutto spiegato che la "giornata della memoria" è stata riconosciuta dal governo e approvata con una maggioranza schiacciante. Perfetto. Però è anche vero che contrapporle una "giornata dell'oblio" non è bizzarro come sembra e, per non venire frainteso, vorrei cercare di spiegarmi meglio.
La "giornata della memoria" infatti, molto lodevolmente, vuole risarcire coloro che nel corso degli anni sono stati perseguitati da guerre, da prepotenze di ogni genere, dai lutti e dalle calamità prodotte dall'umana insipienza. La giornata della memoria è in definitiva rivolta a tutta la schiera di uomini che per lungo tempo hanno saputo custodire nel proprio cuore un patrimonio di ricordi importanti e inalienabili.
È grazie a questi uomini, a questa folla di vittime e di superstiti colpiti nei loro interessi e negli affetti che il governo è intervenuto facendo in modo che molti episodi, poco noti o travisati, venissero riportati alla luce per dire no alle foibe, alle shoah, alle carneficine di ogni genere e ai drammi dimenticati. Quindi si celebri ogni anno questa "giornata della memoria" anche se riconosciuta dal governo con cinquant'anni di ritardo. Ma si badi sempre a fare in modo che questo rivangare le memorie di un triste passato non diventi pretesto per riproporre lo scontento di un litigioso presente.
Occorre insomma essere realisti e riconoscere i fatti accaduti. Ma non bisogna insistere troppo nell'allargarne la portata perché, se poniamo gli occhi alle cose e agli avvenimenti che evolvono intorno a noi, pragmaticamente non possiamo sottrarci ad alcune considerazioni di ordine generale.
In questo senso voglio dire, voltandoci indietro, noi vediamo spesso mutare molte cose, vediamo un po' alla volta sparire gli amici, vediamo cambiare i panorami, assistiamo addirittura alla fine o al declino di epoche storiche che nel frattempo hanno assunto nuove problematiche in contesti differenti e con nuove prospettive. Spesso il tempo e gli eventi hanno sbattuto molti di noi nei posti più diversi, magari non graditi. E in questo rivolgimento, in questo rimescolamento globale che oggi è il mondo, non si contano più gli uomini, e grosse fette di popolazione, che continuano ad abbandonare le radici, i legami con i propri paesi d'origine, per cercare altrove il pane della sopravvivenza e della speranza. Chiaramente esiste per tutti una terra che ci ha visto nascere. Questo significa che ognuno, nel proprio vissuto, conserva l'immagine di un cortile o di una strada, di una casa o di un duomo, un ricordo personale da custodire come una memoria indelebile. Perché in ogni uomo, ma specialmente per l'uomo in esi
lio, esiste da sempre un rifugio, una specie di angolo sacro, un passato che non passa e che difficilmente riusciamo a scordare. Direi che è logico, è inevitabile. Esistono situazioni che purtroppo non possono non travolgerci. Anche se poi, nel profondo, restiamo tutti legati agli amori, ai luoghi, alle visioni dell'infanzia trascorsa, e non esistono internet, luoghi più o meno lontani e paesi, che possano cancellare completamente tutto questo.
Il ricordo delle proprie origini, ben lo sappiamo, rimane per tutti un'esperienza fondamentale, è un sentimento che raramente può venire rimosso. Lo dico da esule dalmata e non mi ritengo un privilegiato nei confronti di altri esuli che magari hanno subito una sorte simile o peggiore. Voglio solo sottolineare che l'esilio, nel corso di cinquant'anni, mi ha di sicuro segnato come ha segnato tutti coloro che hanno dovuto subire uguale sorte.
Ha giustamente affermato Seneca:
"La morte è di un istante
l'esilio è di una vita".
Ed è quindi umano che la perdita della mia terra, insieme al resto, ogni volta che ci ripenso non può non provocarmi dolore.
Su questo fatto ovviamente ho riflettuto più volte dicendomi che, per quanto è accaduto, dovrei sentirmi eternamente offeso, dovrei inveire costantemente e odiare qualcuno. Anche se non voglio e non devo farlo malgrado l'amarezza di uno strappo che perdura.
E qui vengo alla mia proposta di una "giornata dell'oblio" che nei confronti di una "giornata della memoria" diventa una evidente contrapposizione di termini.
Nella sostanza io mi rivolgo a tutti coloro che hanno subito perdite gravi, mutilazioni, violazioni e soprusi più o meno noti e databili. Ma chiedo di non essere frainteso dal momento che spesso intorno a noi, in tutto il mondo, ci si muove in una selva di malintesi e in una giungla di equivoci.
Anche se sembra assurdo noi dobbiamo "ricordare per dimenticare". Ricordare quanto di giusto e di sacro appartiene alla nostra storia, ma dimenticare le infamie e gli spettri che purtroppo ogni storia trascina dietro di sé con il rischio di fare di ogni uomo un accusato o un accusatore perpetuo.
Perciò noi dovremmo essere capaci di fare due cose contemporaneamente: ricordare e, nello stesso tempo, dimenticare.
Lo so che è difficile. Perché questo significa in alcuni casi anche perdonare, significa pacificarci come uomini tra uomini, per non continuare a nutrirci di vecchi risentimenti in grado soltanto di perpetuare incomprensioni e sempre nuovi fossati.
Abbiamo bisogno non solo di ricordi e di tristi memorie, ma di un mondo che sappia superare, con animo pacificato, tutte quelle amarezze e quelle ingiustizie che purtroppo spesso appartengono al passato di ognuno di noi.
Nella sostanza si tratta di fare appello alla buona volontà di tutti perché ricordare e dimenticare è difficile, ma non impossibile. Si sa che l'odio e l'astio, in troppi casi riescono a rendere ciechi. Mentre noi abbiamo il dovere di migliorarci. E la speranza in questo senso è il nostro conforto, la nostra giusta causa di persone nate spesso per patire, per soffrire, ma anche per ragionare come esseri umani responsabili.
Basta osservare intorno e già all'interno di molte famiglie noi possiamo vedere dissidi d'ogni tipo, incomprensioni tra mariti e mogli, odi addirittura tra padri e figli, guerre tra persone che per aver subito un torto se lo legano al dito incapaci di scordarselo per tutta la vita. Quando dall'ambito familiare questi scontri si trasferiscono all'esterno, investono la società oppure gli stati, si arriva spesso a scontri permanenti che possono assumere aspetti tragici. E tutto questo non solo non è utile, ma direi che non è degno dell'uomo per cui ne ricaverei una formula semplice e difficile: ricordare ciò che è positivo per dimenticare tutto ciò che è negativo.
C'è un noto poeta italiano, Giorgio Caproni, il quale ha scritto questi versi impietosi:
"Nel sangue i miei rancori
bruciavano come amori".
Ma sinceramente la cosa non mi piace. Io non voglio coltivare rancori che qualcuno erroneamente possa chiamare amori. I rancori sono rancori e basta. Fanno male da qualsiasi parte li si coltivi. E soprattutto nelle questioni più delicate, dove il ricordare è giusto e sacrostanto, anche il dimenticare può essere altrettanto saggio e benefico.
Questo e solo questo è il significato della mia "giornata dell'oblio". Nel mondo si sono consumate, e purtroppo tuttora si consumano, una quantità di ingiustizie. Tra le brutalità del secolo scorso noi troviamo le foibe, la shoah, i gulag staliniani, le stragi in Africa e in Cambogia, lo sterminio degli armeni e tante altre tragedie che a enumerarle tutte non basterebbe l'inchiostro. Quindi è giusto che queste tragedie si ricordino a chiare lettere. Debbono essere conosciute e condannate nei libri di storia come atti ignominiosi che non devono ripetersi nel futuro. Mentre per il resto si cerchino di dimenticare le cause nefaste e le tensioni che possono condurre a nuovi odi.
Pur non essendo un frequentatore di chiese condivido l'invito del sacerdote quando dice nel corso della messa: "Scambiatevi un segno di pace". La mia "giornata dell'oblio" in fondo significa questo: conservare le proprie memorie, difendere a spada tratta le proprie ragioni, ma evitare il più possibile quei risentimenti che a volte finiscono con l'esacerbare gli animi.
Ricordare per dimenticare. Ed anche se per molti tutto ciò suona come un'utopia, personalmente da scrittore, da poeta, o da intellettuale se volete, rivendico il mio diritto di essere un utopista. Probabilmente il mondo senza utopie sarebbe peggiore di quello che è. E un intellettuale non è solo colui che professa idee elitarie impraticabili, ma è anche colui che usa semplicemente l'intelletto per giudicare in termini di buonsenso.
È a questo proposito che vorrei invitare alla riflessione tutte le persone di buona volontà, e non solo quelle presenti nel nostro paese, ma tutte quelle comunità che al di là e al di sopra di qualsiasi appartenenza, e di qualsiasi orizzonte culturale, osano riconoscersi in un messaggio che mi sembra prima di tutto ragionevole.
Poiché la giornata della memoria è arrivata sia la benvenuta. Ma ben venga anche il giorno in cui gli uomini, insieme o singolarmente, sapranno ricordare e dimenticare seppellendo tutte le asce di guerra.
Come ha detto un famoso filosofo, Sören Kierkegard: "La vita si può capire soltanto guardando indietro: ma si può vivere solo guardando avanti".
Raffaele Cecconi