Emilio Biagini con Montallegro e altri racconti (Fede & Cultura) si riconferma scrittore autentico ed in crescita per una saggezza se possibile ancor più profonda. Guarda alla vita con le coordinate di sempre del suo pensiero e sentimento, in cui brilla la fede cristiana in tutta la passione: miracoli, un seminarista martire, una canzone alla Vergine scritta da uno dei protagonisti in un momento di lutto del cuore come da un novello Jacopone ma anche il problema del male che continua a sovvertire esistenze. Né manca la grande Storia, considerata da visuali non conformiste. Biagini ne precisa errori e rettifica sui fatti come avrebbero potuto e dovuto essere.
Già nel primo racconto, dedicato al processo che si tenne a Genova sull’icona della Vergine per cui fu edificato il Santuario di Montallegro, un’interessante puntualizzazione storica oltre al fatto in sé. L’icona proveniva da Ragusa da cui era scomparsa 17 anni prima nel 1557 ed accadde che da una nave di ragusei in procinto di naufragare il capitano De Allegretis facesse voto (se si fossero salvati) di recarsi con l’equipaggio al santuario più vicino.
Scampati sbarcarono a Rapallo e a Montallegro ritrovarono l’icona bizantina scomparsa dalla loro cattedrale. Ed ecco la puntualizzazione: di Ragusa Biagini ci ricorda che non si tratta dell’omonima città siciliana ma «un’orgogliosa repubblica indipendente, nella quale si parlava un dialetto veneto, poiché la progredita età del nazionalismo e delle foibe era ancora lontana». È una prima «rettifica» della storia mentre nonostante la giornata del ricordo, il 10 febbraio, ogni anno arrivano menzogne e negazionisti. Quest’anno al Teatro della Gioventù ho sentito dire da un funzionario della Regione che tali infamie derivarono da una pulizia etnica «che si è voluta ascrivere al comunismo». A chi altri avrebbe dovuto?
Verso le vulgate della Storia Biagini offre altre sorprendenti precisazioni. In Montallegro ci ricorda che Andrea Doria (vanto di noi genovesi) da una parte combatteva il nemico islamico e dall’altra commerciava con esso. Nel processo ci rammenta la protervia interessata dei giudici del tempo. Alla domanda su quale fosse il bene supremo della Repubblica i giudici risposero: «il traffico, il commercio, le finanse, le palanche». Anzi, si azzardò: «la cunveniensa».
Sono spunti ma c’è un pagina sui delitti e l’espansione del comunismo (p. 89), sugli errori della politica inglese e gli efferati bombardamenti dell’ultima guerra come quello su una scolaresca ad Amburgo mascherata da carnevale (p. 140) o la sparatoria nell’insurrezione nel 1953 a Trieste.
Fa ridere a crepapelle un’altra pagina (p. 189) sulla Chiesa del dialogo con conclusione sui teologi che hanno ripudiato il Dio giudice per farne un «omino di zucchero» ma avranno «orrende sorprese» quando verrà la loro ora. Una lettura godibile e certi dialoghi la movimentano con ritmo e andamento teatrale.
Biagini è nato a Genova ed è sua questa definizione di Patria: «Non la Grande Patria che ci chiede servizio militare e tasse, è il breve spazio dell’infanzia». Per lui pur se ha girato il mondo e conosce cinque lingue straniere tra cui oltre alle classiche il nederlandese e l’afrikaans, la Liguria resta quello spazio: la sua Patria.
Uno dei racconti più intensi riguarda un voto fatto da un pensionato di Savona che si rovina per poter «guidare» la cassa della Confraternita della Madonna di Castello, la più imponente e pesante della Processione del Venerdì Santo. Altri racconti convergono sull’incredulità dell’uomo comune verso l’invisibile. Ci appassiona il verificarsi di un miracolo: la guarigione di un bimbo (già dato per morto dal medico) per intercessione di un giovane seminarista, martire dei partigiani rossi negli ultimi giorni di guerra. Un racconto che il giornalista di cronaca non osa scrivere perché così «not politically correct».
E ci fa riflettere la giovinezza ribelle che si sottrae al mondo degli adulti con il suicidio: ma «la vita è un prestito», un intangibile dono che ci viene dato e in cui dare a nostra volta. E c’è la droga, anzi anche le droghe di idee errate. C’è l’incapacità di saper amare: solo ora si capisce che nelle scuole più che dare educazione sessuale bisogna educare all’affettività. Biagini scrittore ha già offerto opere egregie. Nel 2011 La nuova terra, romanzo di grande respiro e si è distinto in dirompenti pièce satiriche. Uno dei suoi testi universitari Ambiente, conflitto, sviluppo (è stato professore ordinario di Geografia all’Università di Cagliari) ha provocato reazioni per farlo ritirare, ma il testo è rimasto al suo posto (www.itrigotti.it).
In Nebbia, un racconto di quest’ultimo libro, Biagini ci presenta anche «il decalogo del perfetto arrampicatore universitario». Sì, saggezza è guardare questi fatti come da lontano, è ora sorriderne. Prima com’è mortificante la strada del merito non riconosciuto, osteggiato.
m.l.b. / www.ilgiornale.it 6 giugno 2013