Un saggio che raccoglie ed elabora le testimonianze legate alla minoranza italiana dell’Istria e di Fiume, ponendo particolare accento sulle trasformazioni sociali subite dal popolo giuliano nel dopoguerra e sulle nuove identità comunitarie. Si presenta così il volume “Nascita di una minoranza – Istria 1947-1965: storia e memoria degli italiani rimasti nell’area istro-quarnerina”, della ricercatrice triestina Gloria Nemec. L’opera, pubblicata per i tipi del Centro di Ricerche storiche di Rovigno nella collana “Etnia”, sarà presentata alla Comunità degli Italiani di Rovigno oggi alle ore 18. In occasione dell’uscita del volume abbiamo raggiunto l’autrice, docente presso il Dipartimento di storia dell’Università degli studi di Trieste.
“La ricerca – esordisce Gloria Nemec – è nata da un progetto congiunto tra il CRS di Rovigno e l’Università di Trieste – Dipartimento di Studi umanistici, finalizzato a ricostruire la storia sociale degli italiani che rimasero nei luoghi d’origine attraverso fonti di memoria. Tra il 2008 e il 2010 si è svolta la raccolta delle testimonianze orali di un’ottantina di connazionali residenti in dodici comunità istro-quarnerine. I narratori sono stati in grado di rievocare eventi personali e familiari del tormentato ventennio post-bellico, delineando un ampio e ricco panorama dei processi di formazione della minoranza, di ri-stabilizzazione nel dopo-esodo, di integrazione entro una nuova cornice istituzionale quale quella jugoslava post-bellica”.
A quali conclusioni è giunta?
“Il lavoro sulle memorie non giunge a conclusioni univoche, ma apre la gamma delle differenze, arricchisce di complessità il quadro rendendo giustizia a tanti percorsi soggettivi e comunitari, spesso occultati da definizioni univoche e semplificatorie come quella dei ‘rimasti’. Ciascuna delle tante questioni trattate – le condizioni materiali di vita, la percezione dell’esodo, la formazione dei giovani, il comunismo, il rapporto con il territorio, l’economia e il lavoro– si prestano poi più che a conclusioni a considerazioni, spero di tipo nuovo”.
Ha incontrato delle difficoltà?
“Quelle proprie di ogni ricerca storica sul campo che comporti il lavoro con i testimoni. Con l’obiettivo di dar voce a chi non ne aveva avuta, e con quello di ricostruire quella pluralità dinamica di storie che è tratto fondamentale della realtà istriana, ho intervistato contadini e cittadini, operai, pescatori e insegnanti, illetterati e laureati, gente che fu di partito e anticomunisti, persone di italianità acquisita e lavoratori rientrati dopo periodi all’estero. Compaiono anche ‘voci alte’ di intellettuali ed esperti nella comunicazione, che sono parte integrante di una minoranza capace di produrre ‘elites’ culturali di fondamentale importanza per la salvaguardia identitaria. Lavorando con i protagonisti di un passato discusso e spesso traumatico, non si tratta solo di ‘sporcarsi con la polvere degli archivi’ – come sosteneva lo storico francese, Le Goff –, ma di entrare in relazione: raccogliere e poi restituire in una cornice più ampia. Ci ho messo molto tempo, ma ne valeva la pena, attraverso l’ascolto un ricercatore si arricchisce enormemente”.
Che cosa rappresenta per lei la memorialistica?
“Una fonte per la storiografia che accede a esperienze non altrimenti documentabili, ma anche una trasmissione di vita e non solo un passaggio di informazioni. Va detto della grande qualità e vivacità di queste memorie, che la pagina scritta non potrà mai rendere completamente. La forza comunicativa del parlato, il colore del dialetto, le pause, i silenzi, il tono, l’espressione del viso e la gestualità, i momenti di commozione e di allegria, sono elementi che ho cercato di rendere mantenendo i tratti dell’oralità del parlato, talvolta anche le espressioni dialettali che in poche parole costruiscono un quadretto – come mi ha detto Ester Barlessi – mentre per tradurle ci vogliono perifrasi e spiegazioni. Credo ci siano testimonianze indimenticabili, che trasmettono l’energia dell’espressione spontanea. Ci sono storie che descrivono in pieno come poteva essere il transito umano attraverso tempi così turbolenti, sono ricche di particolari, di percezioni soggettive proprie di determinate età della vita e possono se non azzerare perlomeno ridurre la distanza tra il lettore e la storiografia”.
Gianfranco Miksa
“la Voce del Popolo” 1 marzo 2013