di ROBERTO MORELLI
Diciamo due cose senza giri di parole. La prima: la posizione del presidente della Slovenia sulla pacificazione (negata) con l'Italia è inaccettabile, storicamente infondata e al limite dell'insolenza istituzionale nei confronti dello Stato italiano. La seconda: non esiste in merito una posizione italo-croata in contrasto con quella slovena. Esiste una posizione italiana, orientata a fare i conti (tutti) con il passato, e una slovena e croata che si differenziano (molto) nei toni, ma purtroppo non nella sostanza. È quello che alcuni giorni or sono abbiamo definito "negazionismo" alla rovescia: non c'è alcunché da riconciliare, le foibe e l'esodo furono reazione al fascismo, chi ha avuto ha avuto e chi ha dato ha dato, e sia piuttosto l'Italia a fare ammenda delle sue colpe. Una smaccata offesa alla realtà dei fatti, nonché uno sconcertante esercizio di miopia politica.
In moltissimi ambiti della propria vita economica e sociale il nostro Paese ha un "deficit etico" da superare, per usare le parole del Capo dello Stato Danilo Turk. Ma non certo nel fare i conti con il proprio passato. Li ha fatti la sinistra, fino in fondo, patendo una scissione senza la quale forse oggi governerebbe l'Italia, e ancora li sta facendo: basta leggere i libri di Pansa. Li ha fatti la destra, fino in fondo e fino al cuore d'Israele, dove l'attuale presidente della Camera pronunciò parole definitive e incancellabili. Non più tardi d'un mese fa i ministri degli Esteri italiano e tedesco interruppero un vertice internazionale per entrare sommessamente e con immutabile sgomento alla Risiera. Che altro si vuole, quale mai "deficit etico" andrebbe colmato? Lo stesso non si può dire, purtroppo, delle Repubbliche a noi vicine, per i crimini che uno Stato e un regime cancellati dalla storia (e con cui esse non hanno alcun rapporto) perpetrarono sessant'anni fa. Basti pensare alla beffa linguistica con cui ancor oggi viene definito chi dovette fuggire: "optanti", come se ci fosse alcunché da optare tra la libertà e la persecuzione.
Solo un motivo aiuta a spiegare l'inspiegabile uscita del massimo esponente istituzionale sloveno, al quale, ambasciatore di alto livello e docente di diritto internazionale, pur non dovrebbero mancare prudenza ed esperienza politica.
Ed è la sensazione di una manovra diplomatica a tenaglia tra Roma e Zagabria a supporto dell'adesione croata all'Unione europea (bloccata da un aspro contenzioso sui confini con la Slovenia) e di eventuali rivendicazioni italiane. Sensazione diffusa a Lubiana, ma del tutto errata per due motivi. Il primo è che il dibattito sulla riconciliazione è stato riaperto da questo giornale e non dal presidente croato Stipe Mesic, che si è limitato a rispondere alle domande dei giornalisti de Il Piccolo. Non esiste una proposta croata. E, se esistesse (secondo motivo), avrebbe lo stesso tenore di Lubiana. Mesic, che non aveva la minima voglia di riaprire la dura polemica già intrattenuta con il Capo dello Stato Napolitano sul tema, ha infatti solo espresso una generica disponibilità alla riconciliazione, ma circondandola di distinguo tali da negarla di fatto. Altri modi, quindi, ma nessuna sostanziale diversità con la Slovenia, se non il fatto che la parola pacificazione ha fatto virare il dibattito in un'inesistente posizione italo-croata.
Su tutto ciò, purtroppo, è passato un colpo di spugna. Le parole del presidente sloveno vanificano per ora ogni possibile atto comune, invece così necessario per il percorso europeo di queste terre, per rendere giustizia morale a chi l'attende (gli esuli), nonché per la vitale cooperazione economica e sociale tra vicini. La Slovenia merita rispetto e ammirazione per la capacità dimostrata di affrancarsi rapidamente dal giogo balcanico e di costruire un tessuto economico e sociale di prim'ordine. Purtroppo la maturità politica non è andata di pari passo. Ma se non ci produciamo tutti in un salto di qualità guardando all'altro con occhi diversi, dal dopoguerra non usciremo mai.