Anticipiamo una parte del capitolo ”La caccia a Tito” dal libro ”Il commando di Hitler”, per gentile concessione della Leg.
di FRANZ KUROWSKI
Nella notte di Capodanno del 1944 i difensori croati di Banja Luka, rinforzati da reparti della divisione Brandenburgo, respinsero l’attacco di dieci (!) brigate partigiane, che, secondo la leggenda, erano comandate da Tito in persona. Fu l’inizio di una caccia – l’operazione fu denominata ”Salto del cavallo” – che doveva durare un mese.
I Cetnici impiegavano un’intera rete di pattuglie che, accompagnate da squadre radio della Brandenburgo, cercavano le tracce dei partigiani in territorio nemico, mentre il reparto Wildschuetz, composto da elementi del IV Reggimento, effettuava ricognizioni contro il nemico e teneva d’occhio, con informatori permanenti o temporanei i concentramenti di truppe avversari.
Assieme al grosso della brigata motorizzata, quelli del Brandenburgo raggiunsero il villaggio di Jaice, fino a poco prima sede del comando partigiano e del generale Tito. Il comando, situato in una fabbrica chimica, era stato abbandonato da poco.
Poco dopo giunsero informazioni dal villaggio di Dvar che Tito era nelle vicinanze e nel tentativo di catturarlo e di eliminare la prevista minaccia partigiana la II Armata Corazzata fece intervenire un battaglione paracadutisti delle SS e raggruppò il IV Reggimento Brandenburgo, rinforzato da due battaglioni del I Reggimento, elementi della XCII Brigata Motorizzata ed un gruppo di combattimento speciale della VII Divisione da Montagna Prinz Eugen delle SS.
Il comando della II Armata Corazzata lanciò le sue truppe concentricamente verso il punto in cui si sospettava che Tito si trovasse assieme al suo comando, ma il capo partigiano riuscì all’ultimo minuto ad evitare la cattura. I paracadutisti delle SS giunsero a piedi sulla scena a cose fatte; il colpo era fallito, ma l’interrogatorio dei locali accertò che Tito aveva in effetti abitato in quella casa.
Tito e il suo comando, che all’epoca comprendeva anche una delegazione militare inglese, si trasferirono a Dvar, un centro di montagna a circa 100 km ad ovest di Jaice, al principio di gennaio. Prima si sistemò in un gruppo di case abbandonate, poi, per motivi di sicurezza si spostò in alcune caverne vicine. Infine, temendo, com’era accaduto davvero, che informatori avessero riferito ai tedeschi dove si era rifugiato, Tito ed il suo comando si trasferirono in una vasta caverna nella zona di Bastasi, a sei chilometri da Dvar.
Dopo la scoperta di un altro informatore nell’ambiente vicino a Tito, il 27 marzo 1944, fu chiaro che i tedeschi dovevano essere al corrente del suo nuovo nascondiglio. Incidentalmente l’informatore riuscì a fuggire prima che il plotone d’esecuzione fosse pronto. Ed il comando partigiano fu preso dal panico quando un altro informatore, catturato nella zona, ammise di avere rivelato ai tedeschi il rifugio.
La decisione avvenne il 4 maggio: durante un’imboscata ad un plotone di cetnici in servizio di sicurezza, venne trovata una mappa che indicava una serie di capisaldi militari e basi nella zona attorno a Dvar e Bastasi. Allo scopo di schierare i paracadutisti delle SS esattamente ed al momento giusto, il capitano delle SS Skorzeny, dal cui reparto speciale provenivano i paracadutisti, fu convocato in Jugoslavia per preparare e coordinare l’azione.
L’operazione cominciò nelle prime ore del 25 maggio 1944. Mezz’ora prima bombardieri tedeschi avevano cominciato a battere la zona, e riuscirono a distruggere il centro radio del comando partigiano. A Tito rimase soltanto una linea telefonica per le comunicazioni. Sulle prime i partigiani a Dvrar e al comando nella caverna presso Bastasi erano rimasti scossi e paralizzati.
Erano le 7 precise del mattino quando la prima ondata di paracadutisti del capitano delle SS Rybka scese nella valle di Dvrar e gli alianti da carico furono sganciati sopra Dvrar per iniziare la planata a spirale verso il punto di atterraggio previsto. In città non erano rimasti partigiani; si erano rifugiati nelle montagne quando era cominciato il bombardamento. Tuttavia nella caverna di Tito i cento allievi ufficiali della guardia erano pronti a battersi e furono i primi ad impegnare i paracadutisti tedeschi.
Un’ora dopo lo sbarco la città era quasi tutta in mano ai tedeschi e le ultime case furono ripulite a colpi di bombe a mano. Tuttavia la scuola ufficiali, ben protetta dalle rocce e difesa dalle mitragliatrici, resisteva ad ogni attacco. La seconda ondata di paracadutisti prese terra attorno alle 11.50 ed attaccò con molto impeto le posizioni dei partigiani, ma gli allievi ufficiali resistettero con bravura.
Nel frattempo quelli del Brandenburgo stavano ancora marciando da Knin, verso Bosniach Grahovo, e parecchie volte furono attaccati da cacciabombardieri nemici, che operavano da un campo avanzato situato sul pianoro roccioso fra le due montagne di Sator e di Jadovnik. Tutti gli assalti del Brandenburgo al campo d’aviazione fallirono di fronte al massiccio fuoco delle difese e i partigiani riuscirono a ripiegare su svariate batterie italiane d’artiglieria media ed una pesante. Quando lo raggiunsero, il campo d’aviazione era vuoto. L’ultimo aereo era decollato con a bordo la missione militare inglese nel tardo pomeriggio del giorno prima.
«L’intero reggimento – scrisse il comandante – inseguì i nemici che fuggivano verso Nord senza offrire resistenza perché il loro obiettivo di permettere a Tito di scamparla era stato raggiunto. Tito fuggì, anche se non vestito come avrebbe dovuto, perché trovammo la sua uniforme nuova di maresciallo, assieme ad alcuni documenti che si dimostrarono molto informativi».
Inseguiti dalla ”Prinz Eugen”, i partigiani e i difensori del comando si ritirarono a Potocki, a ovest di Jaice, da dove il comando di Tito raggiunse un aeroporto presso Kupreskopolje e da qui decollò per l’isola di Lissa, dove Tito e il suo comando giunsero il 4 giugno 1944. Il tentativo di catturare Tito ed eliminare il suo comando era fallito.