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La pulizia etnica in Jugoslavia (Il Piccolo 06 giu)

LETTERE

Ho letto il ringraziamento di un lettore del 17 maggio ai poveri ragazzi stroncati dal piombo fascista negli anni ’30 e il richiamo ai colori della libertà, dell’uguaglianza e dell’antifascismo. Evidente riferimento al bianco, rosso e blu della bandiera francese, nobilitata dalla presenza della stella rossa. Li ringrazia perché «Come vittime siete caduti nella lotta per noi». Esprime la sua riconoscenza e la perenne gratitudine per il sacrificio che essi hanno compiuto per noi. Noi chi? Io ringrazio chi ha evitato che Trieste fosse esclusa dall’Europa occidentale e non sono solo. Ha dimenticato di dire lo scopo primario delle organizzazioni, collegate ai servizi jugoslavi, Borba e Tigr (a cui i baldi giovani aderivano). Nella relazione storica italo-slovena (http://www.kozina.com/premik/idexita-porocilo.htm) si conferma che «l’organizzazione Tigr decise di reagire alla violenza con la violenza sviluppando azioni dimostrative e atti di terrorismo. Di fronte alla durezza della repressione fascista le organizzazioni clandestine slovene decisero verso la metà degli anni Trenta di porsi come obiettivo il distacco dall’Italia dei territori considerati (da chi?) etnicamente sloveni e croati».

Chi quindi fa atti di terrorismo è un terrorista e non un eroe, ricordiamo altresì che l’Italia è l’unico Stato al mondo che ospita sul proprio territorio un monumento a chi voleva staccare una parte del territorio stesso (costato 600.000 caduti e milioni di mutilati) e cederlo a uno Stato confinante. Alto tradimento eroico? «Nel periodo 1941-45 fra gli sloveni della Venezia Giulia la lotta di liberazione, capeggiata dal partito comunista, trovò un terreno particolarmente fertile, perché aveva fatte proprie le loro tradizionali istanze nazionali tese all’unione alla Jugoslavia di tutti i territori abitati da Sloveni, anche di quelli in cui si riscontrava una maggioranza italiana…». Nel periodo 1880-1918, «… Trieste era a maggioranza italiana, ma il suo circondario era sloveno (si tace furbescamente sui numeri assoluti e percentuali). Quindi ben prima delle violenze fasciste erano presenti le pretese slovene.

I puntuali informatori delle violente snazionalizzazioni fasciste, non hanno mai speso una parola sul «Marburger Blutsonntag». Maribor, fino al 1918, si chiamava Marburg an der Drau e secondo il censimento austriaco del 1910 l’80% della cittandinanza dichiarò come lingua d’uso il tedesco, come a Pettau, oggi Ptuj. Alla fine della guerra, Marburgo fu contesa tra il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni e la Prima Repubblica Austriaca. Nel novembre 1918, l’ex maggiore austriaco di etnia slovena Rudolf Maister occupò la città, sciolse la giunta cittadina e proclamò l’annessione di Marburgo e di tutta la Bassa Stiria al neonato stato jugoslavo. Il 17 gennaio 1919, mentre la popolazione attendeva nella piazza principale l’arrivo di una delegazione americana che aveva l’incarico di verificare la situazione etnica per le successive trattative di pace, le truppe slovene al comando di Maister chiusero gli accessi alla piazza e aprirono il fuoco, causando 13 morti e oltre 60 feriti tra i civili. La giornata viene ricordata dalle fonti tedesche come Marburger Blutsonntag (La domenica di sangue di Marburgo).

Le fonti slovene tendono a rovesciare la responsabilità sui germanofoni, affermando che ci fu un attacco dei dimostranti contro le truppe slovene, le quali però non lamentarono morti o feriti… Successivamente, la città fu assegnata al Regno di Jugoslavia, e già nel primo censimento post-bellico del 1921 la percentuale dei germanofoni di Maribor scese al 25%. La politica del neonato stato jugoslavo fu fortemente discriminatoria contro i tedeschi, tendendo alla loro rapida slovenizzazione. C’era di che imparare…

Flavio Gori

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