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La Regione FVG e il bene dell’Unità (Il Piccolo 27 mar)

Da pochi giorni si è compiuto l’anno delle celebrazioni del 150° anniversario dell’Unità d’Italia, nel gennaio del 2013 lo Statuto speciale di autonomia della Regione Friuli Venezia Giulia compirà cinquant’anni e, a distanza di mesi, saranno sessant’anni dal Memorandum d’Intesa di Londra che ha segnato il ritorno dell’amministrazione italiana a Trieste. È sperabile che la sequenza delle ricorrenze consenta di riprendere il discorso dell’Unità d’Italia dal nostro osservatorio regionale utilizzando scadenze diverse da quella testé compiutasi, e di chiedersi dunque cosa significhi per Trieste, e non solo per Trieste, il compimento dell’Unità d’Italia e quali siano i tramiti per cui questa arriva a prendere consistenza per le nostre terre, pur secondo una scansione temporale diversa da quella del resto della penisola. Può essere un’occasione per porre rimedio alla scarsa attenzione dedicata al Centocinquantenario, purché di Memorandum e di Regione si parli con l’occhio rivolto al futuro e si dimentichino le pregiudiziali paesane (rectius, leghiste, per intenderci) che hanno probabilmente impedito di parlare dell’Unità includendovi Venezia Giulia e Friuli. Sono molteplici i punti di vista che si possono assumere per affrontare questo impegnativo problema. Anzitutto, partendo dall’attualità, ci si può chiedere, da un lato, che senso abbia – nella prospettiva dell’Unità – porre la questione della permanenza delle Province, e di quella di Udine in particolare, in termini di contrapposizione etnica e, dall’altro lato, ci si può interrogare sulla convenienza – dallo stesso punto di vista – di discorrere della nuova presidenza dell’Irci (Istituto regionale di cultura istriana) quasi che si tratti di patrimonio esclusivo di una comunità istriana che è ormai integrata in quella più ampia italiana.

 

Dimenticando – fra l’altro – che si tratta di patrimonio culturale che a quest’ultima nella sua interezza appartiene, ed evocando un’improbabile epifania comunista sino a metterci in mezzo il presidente Napolitano che tanta attenzione ha rivolto al tema dell’Unità. Certo la salvaguardia delle memorie istriane stimola riflessioni ricche di spunti, quando ancora si rinnova la favola mitteleuropea di una Trieste che è stata invece – come di recente ha ricordato Cazzullo sul Corriere – città cosmopolita anzitutto perché rivolta al Mediterraneo, ed in particolare ai Paesi dell’area balcanica e mediorientale. Forse, più che confondere la nostra comunità nella galassia delle popolazioni centroeuropee vicine e lontane con una nostalgia asburgica che ricorda quella di altre parti d’Italia per gli Stati preunitari spesso censurata da Napolitano, converrebbe riflettere sulla apertura al dialogo e al confronto che la cultura italiana, con il grave e pesante intervallo del fascismo, ha saputo dimostrare in queste terre. Anche il problema sloveno non è più un problema oggi, specie dopo le iniziative prese nei rapporti con i vertici dei Paesi confinanti. Ma se spostiamo il fuoco della nostra attenzione vi è anche ragione di meditare sul positivo significato della innovativa proposta fatta in questi giorni dal presidente della Camera di commercio di Udine agli operatori friulani di concorrere alla logistica del porto di Trieste, sempreché egli parlasse di utilizzo delle strutture e non di solo concorso nei lavori per le opere edilizie e proponesse di far passare per Trieste traffici tante volte dirottati su altri porti adriatici. Il tema è quello della valorizzazione dell’intuizione che volle la Regione speciale unitaria per legare Venezia Giulia e Friuli in uno sforzo economico comune teso a risaldare, tramite lo sviluppo economico, l’appartenenza di queste terre all’Italia.

 

Se in particolare di Italia ragioniamo in termini di Nordest, è palese che in tanto Trieste ha un ruolo nel contesto in quanto aggancia il Friuli e, per converso, il Friuli dà un senso alla sua appartenenza a un Paese collocato nel cuore del Mediterraneo legandosi alla Venezia Giulia. La politica regionale era partita con il piede giusto quando aveva attivato l’autostrada Trieste – Udine prima ancora di quella Venezia – Trieste, quando aveva pensato ad una programmazione urbanistica regionale, quando aveva anteposto il rafforzamento della capacità di guida del centro regionale al decentramento delle sue funzioni. Ma queste prime scelte sono state sfruttate e valorizzate dall’adesione della società civile? A esse non ha fatto seguito la cecità degli operatori economici? Non è poi venuto il tempo degli egoismi provinciali, dalla originaria miope difesa del suo Ateneo da parte di Trieste fino alla invenzione della portualità friulana, a una politica sanitaria che, incapace di usare la legge per garantire coordinamento e unità delle iniziative, preferisce accentrare in un’unica Azienda sanitaria la gestione del problema con il rischio di perdere di vista i particolari. Certo c’è stato il terremoto, ma ancora si ricorda l’apprezzamento dei vertici regionali per la convinta adesione dei triestini allo sforzo dei vicini friulani. Non è stato questo un segno di una solidarietà che doveva andare oltre la dimensione campanilistica, anche a voler mettere nel conto l’interlocuzione esclusivamente romana della Lista per Trieste? Il Friuli ha trovato in Trieste il punto di appoggio per la politica di Alpe Adria e fa bene oggi, nella linea della tradizione, il presidente Tondo a trascendere la dimensione centroeuropea per ragionare di rapporti con la Serbia, come già si è tentato di fare per la Croazia e per altri Paesi balcanici, e come fa chi felicemente attiva i traffici con la Turchia, che oggi più della Grecia in crisi può essere un motore di sviluppo per l’area mediterranea. Il nodo del problema, che è un nodo economico, pur nei suoi risvolti culturali, è di evitare che Paesi che si affacciano sui mari sui quali noi ci affacciamo, guardino al centro dell’Europa e dimentichino, aggirandola, il ruolo che Trieste ha svolto nel passato ed è in grado di svolgere ancor oggi.

 

Sergio Bartole

“Il Piccolo” 27 marzo 2012

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