La passione per la storia l’ha portato a ricercare le tracce del Risorgimento, a ripercorrere documenti e testimonianze del Novecento, fino a scrivere la prima completa biografia di Cesare Battisti. Ora Stefano Biguzzi, storico, collaboratore dell’Arena, è il presidente dell’Istituto veronese per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea. «Un’istituzione molto importante», spiega Biguzzi, «perché preserva la memoria della Resistenza in una città che, volenti o nolenti, è medaglia d’oro al valor militare nella lotta di liberazione nazionale. È un dato di fatto. Verona ha sopportato un’occupazione durissima e ha visto episodi eroici, come l’assalto agli Scalzi, e l’attività di brigate partigiane in montagna. È una città che ha un’identità resistenziale, seppur difficile e complessa.
E in quest’ottica i rapporti con il Comune sono improntati a una collaborazione che prende forma nel contributo economico che Palazzo Barbieri dà ogni anno all’istituto. Non facciamo politica, ma senza riflessione sul passato non c’è vera coscienza civile». Dalla storia alla cronaca: le svastiche tracciate sulla sinagoga, come nel 1939. «Quelle scritte», s’indigna Biguzzi, «sono la dimostrazione di quanto un’istituzione come la nostra, che cura la memoria, sia basilare; e di quanta strada c’è ancora da fare nell’educazione alla democrazia e all’antifascismo. Per far capire compiutamente gli orrori del Novecento e cosa sia stato il nazifascismo».
Ricordare la Resistenza, che ci ha portato alla democrazia, vuol dire riaprire ferite del passato? Impedire che gli italiani abbiano una memoria condivisa della loro storia? Risponde Biguzzi: «Tra la memoria di un partigiano e quella di un repubblichino, di condiviso c’è solo l’aver partecipato entrambi a quegli eventi, ma la visione che ne hanno non è conciliabile. Di condiviso c’è, ed è un valore assoluto, quello che è uscito dalla Resistenza, ed è una Repubblica che, pur con tutti i suoi limiti, rappresenta una democrazia in cui anche i vinti hanno avuto voce e attraverso un lungo itinerario sono diventati parte compiuta del processo parlamentare dell’Italia democratica. E questo è un patrimonio di tutti, che consente a noi cittadini di vivere in maniera civile. La condivisione, come coperta che ognuno tira dalla sua parte e che tiene tutti al caldo, è impossibile da pensare.
Questo riguarda qualsiasi evento della nostra storia passata. Un anarchico che fa uno sciopero nei primi del Novecento, il sindacalista che scende in piazza e il carabiniere che li carica per disperdere la manifestazione non possono avere una visione condivisa di quell’evento. La Resistenza è il vertice di questa difficoltà di condivisione. Il vero valore è la Costituzione che nasce dalla vittoria della democrazia e della libertà di pensiero contro la dittatura e l’intolleranza verso le voci discordanti».
A proposito di voci discordanti: l’istituto si occupa di storia contemporanea e negli ultimi mesi, a Verona, si sono scatenate polemiche e azioni violente a seguito della conferenza della storica Alessandra Kersevan, organizzata all’Università, una studiosa accusata di negare le foibe, a cui è stato impedito di parlare con un’azione squadrista. «L’atteggiamento del negazionista», dice Biguzzi, «tende a demolire la memoria di un evento, partendo da fonti univoche; è un atto di violenza verso la verità storica. Ed è quest’ultima che dobbiamo condividere: la ricerca di una verità storica. Se qualcuno nega l’Olocausto, le foibe o qualsiasi evento storico, con tesi negazionista, dovrebbe sempre trovarsi di fronte un contradditore. Un controrelatore che abbia gli strumenti per affrontarlo. Il problema delle foibe e della Shoah affonda le radici nella politica, e quindi da una parte e dall’altra si sentono le Giornate della Memoria e i Giorni del Ricordo come una rivincita. Visto che il Giorno del Ricordo è nato in una precisa area politica, non si capisce come mai, per attaccare questa area politica, si debba storpiare una verità storica o deformare degli eventi. Il negazionismo o riduzionismo è sbagliato, se non poggia su basi solide. Se salta fuori che a Marzabotto o nel conteggio delle stragi nazifasciste in Italia si riducono i numeri di qualche cifra, per fare un esempio, non si fa un affronto alla Resistenza ma si disinnescano possibili azioni di chi fa revisionismo stupido, di chi nega. Non bisogna avere paura della verità anche a fronte del mito».
C’è ancora chi vorrebbe «processare» la Resistenza veronese per i ponti fatti saltare dai tedeschi l’ultimo giorno di guerra. Perché i partigiani non lo impedirono? «A Verona non si è mai contenti. Se i partigiani avessero ucciso i soldati tedeschi che minavano i ponti, magari ci sarebbe stata la rappresaglia dei nazifascisti, che avrebbero preso dieci civili per ogni morto dei loro e li avrebbero massacrati. E adesso saremmo qui a discutere sulle responsabilità della strage…».
Giulio Brusati
www.larena.it 7 giugno 2013