La Slovenia si arrabbia di nuovo. E torna in piazza. A protestare contro il malgoverno, la crisi, i politici ladri e le lobby finanziarie. Ma, stavolta, anche contro Bruxelles, contro la supposta liason tra la cancelliera Angela Merkel e la premier Alenka Bratušek, contro la tassa sugli immobili. L’insurrezione popolare degli “arrabbiati”, o, forse meglio, la “rivoluzione dei fiori” è ricomparsa esattamente un anno dopo la sua nascita. Stessi slogan, stessa rabbia, ma molte meno persone a urlare la propria ira.
A Lubiana circa 500 davanti al Parlamento (lo scorso anno erano in 20mila), altrettante a Maribor dove la protesta era nata sotto l’impulso della rabbia popolare per gli autovelox collocati in città dall’allora amministrazione municipale poi decapitata proprio dalla rivolta di piazza. Solo 10 persone in piazza Tito a Capodistria, piazza che peraltro non è stata mai eccessivamente “calda” neppure un anno fa.
Cos’è cambiato? Innanzitutto Janez Janša, leader del centrodestra sloveno, non è più primo ministro e gran parte della prima rivolta aveva come bersaglio proprio lui, il premier inquisito. La forza di mobilitazione delle sinistre era stata il jolly giocato lungo le vie e le strade della Slovenia. Oggi è al governo la sinistra, o meglio, un’icona un po’ blasfema della vera socialdemocrazia, impersonificata da quella Slovenia positiva voluta dal sindaco tycoon di Lubiana Zoran Jankovi„ per garantirsi sopravvivenza politica. Un partito un po’ frettolosamente “beatificato” dai grandi vecchi della sinistra slovena come l’ex presidente Milan Ku›an che, comunque, nel populismo socialista di Jankovi„ hanno visto, e da questo punto di vista sono stati lungimiranti, il grimaldello per scassinare la cassaforte conservatrice custodita da Janša.
E così, un anno dopo, si ritrovano in 500 a protestare davanti al Parlamento della capitale quando, a stretto rigor di logica, avrebbero dovuto essere almeno in 50mila visto che le condizioni economiche e sociali del Paese sono di gran lunga peggiori rispetto a 365 giorni or sono, visto che la Slovenia è oramai nell’anticamera che aspetta di chiedere gli aiuti all’Unione europea, con un sistema creditizio praticamente in fallimento e un governo che ha appesantito la croce fiscale che grava sulla schiena dei contribuenti. C’erano gli anarchici, gli “arrabbiati”, quelli cioè che non trovano lavoro, che non arrivano alla fine del mese e che non hanno una casa, qualche studente sensibile alle mobilitazioni popolari ma, grande assente, era il popolo della sinistra.
Va detto, inoltre, che la rivolta popolare slovena sorta e organizzatasi attorno i socialnetwork, Facebook su tutti, ha avuto, e ha ancora, la tentazione di trasformarsi in partito per potersi presentare alle prossime elezioni, vuoi politiche, vuoi europee. Una tentazioni che da molti è stata letta come una sorta di sacrilegio, di peccato mortale che lede lo spirito stesso che ha fin qui alimentato la “rivoluzione dei fiori”.
E poi nel mare magnum dei movimenti che costellano la “rivolta” non c’è un Walesa in grado di catalizzare i consensi e offrire una leadership forte e credibile da spendere anche sul fronte politico del confronto. Così due giovani che si baciano davanti al Parlamento di Lubiana tenendo in mano un cartello su cui sta scritto «il governo cadrà, ora basta. Autore: il popolo» che campeggia in prima pagina del quotidiano Delo di ieri è forse l’icona più rappresentativa della rabbia popolare slovena di questo autunno del 2013. Un mix tra “fate l’amore e non la guerra” e quello rigorosamente sessantottino di “fantasia al potere”. Insomma più una rabbia da bar esplicitata in piazza che una vera e propria insurrezione popolare come viene proposta dagli artefici. Dalla “rivoluzione dei fiori” alla “rivolta dei baci”. Chissà, per la Slovenia, forse, un’occasione mancata.
Mauro Manzin
www.ilpiccolo.it 31 ottobre 2013