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La rivoluzione di Fiume e l’ultima utopia (Libero 23 mag)

«Non erano pochi quelli che consideravano la città come il laboratorio di una rivoluzione necessaria: era da quel magma ribollente che sarebbe nato il cristallo attraverso il quale guardare i colori del futuro. Dalla forgia della guerra era nata una generazione nuova». Da questa frase traluce il senso riposto che anima Le stelle danzanti (Vallecchi, pp. 320, euro 15), il romanzo che Gabriele Marconi ha dedicato all’impresa fiumana.

Molte sono le vicende italiane del Novecento sulle quali s’è posata la polvere spessa dell’oblio, e più d’ogni altra su questa, che si deve contentare di giudizi sbrigativi e sommarie ricostruzioni: una damnatio memoriae cominciata durante il fascismo, per il quale essa rappresentava un bagaglio scomodo, un’incompiuta di cui si temevano le premesse quanto gli esiti; il secondo dopoguerra, poi, ha del tutto rimosso la questione dei confini orientali, fino a negarla nel turpe ossequio all’ideologia e alle convenienze. Di Fiume non si parla, se non come appendice dannunziana, e buonanotte.

Serviva il coraggio corsaro di Marconi – oggi tra l’altro direttore della rivista Area – per violare l’interdetto e colmare la lacuna. L’ha fatto da par suo, cioè da scrittore vero, che è riuscito nel più arduo degli artifici: raccontare attraverso gli occhi e la sensibilità dei contemporanei, rifuggendo le scorciatoie da fiction in costume, nelle quali tutto è riportato all’oggi, salvo i fondali, come in tante sopravvalutate prose di stagione.

Comincia, Le stelle danzanti, nel 1918, sul Col Moschin, nelle trincee della Prima guerra mondiale, dove s’incontrano il capitolino Giulio e il bergamasco Marco, entrambi arditi: le loro storie personali, da quel momento in poi, s’intrecceranno nella cornice della grande storia. Sono appena ventenni, «maturati al sole delle bombe», pronti a sacrificare la vita per una Patria che il primo dopoguerra sembra rifiutare e deridere. Come molti reduci, si sentono esuli nell’Italia del biennio rosso, di cui avvertono l’ostilità e il disprezzo, tanto che Giulio decide d’emigrare. Sul punto d’imbarcarsi per l’Argentina, parte fortunosamente alla volta di Fiume. È il febbraio del 1920; qualche mese prima, nel settembre del ’19, D’Annunzio era entrato nella città olocausta» alla testa dei suoi legionari. Tra di loro, anche Marco: i due amici si ritrovano, destinati però a perdersi di nuovo e di nuovo ritrovarsi; saranno insieme impegnati a scongiurare intrighi e bassezze del governo romano, mentre Giulio diverrà un uscocco, come l’Imaginifico, resuscitando una parola antica, aveva soprannominato i corsari fiumani incaricati di assaltare navi da trasporto per procacciarsi i rifornimenti. Così il romanzo ci guida senza un attimo di respiro fino al Natale di sangue del 1920, quando le truppe regie costringono alla resa la Repubblica del Carnaro.

L’impresa fiumana è stata feconda officina politica e di costume; anticipò, per esempio, la liberazione sessuale degli anni Sessanta. Marconi, calandosi nello spirito del tempo, ne coglie non soltanto gli accadimenti, restituiti con puntualità scevra di sfoggi eruditi, ma il clima, il sapore, gli umori; nel suo stile sapido, a tratti piacevolmente colloquiale, mescola figure storiche a personaggi immaginari, sempre calandosi nel linguaggio di ciascuno, accenti regionali compresi, come un testimone fedele: ne scaturisce un romanzo dal vero, quasi un reportage.

La narrativa italiana, per decenni, si vergognò di raccontare, come faceva invece il nostro cinema, quand’era grande; se ne rintracciano ben filtrati echi anche in queste pagine (non è un caso se Le stelle danzanti ha già attirato l’attenzione d’un produttore, che vorrebbe John Malkovich nel ruolo di D’Annunzio).

Attorno ai protagonisti, il testo delinea una mirabile galleria di ritratti: avventurieri e idealisti, rivoluzionari e sbandati, militari tutti d’un pezzo e anarchici, signore molto disponibili e ragazze generose, notti di parole e di attese, di nostalgie struggenti, la fronte alta, lo sguardo rivolto al futuro, alla rivoluzione che verrà… Ma questo è soprattutto il romanzo dell’amicizia: quella tra Giulio e Marco, che neppure l’innamoramento per la stessa donna riesce a incrinare, quella che unisce tutti coloro che combattono insieme, il valore sul quale si fonda una comunità di battaglia e di destino (s’intravede, nel cantare la generazione della trincea e le sue gesta, un’altra generazione, che tra i Settanta e gli Ottanta non si è piegata al conformismo, e forse non ha ancora smesso di credere).

 

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