“La sacra entrata” di d’Annunzio a Fiume, 105 anni fa

3 novembre 1918, l’armistizio di Villa Giusti con il quale l’Austria-Ungheria si arrende, sconfitta sul fronte italiano e invasa da sud dalle truppe serbe e dell’Intesa che hanno sfondato il fronte di Salonicco.

4 novembre, la vittoria italiana nella Prima guerra mondiale: truppe del Regio Esercito sono entrate a Trento e a Trieste, proseguono la loro marcia in Istria e verso il Brennero, mentre la Regia Marina prende possesso della Dalmazia. Sono le conquiste che spetterebbero all’Italia in base al Patto di Londra con cui ha denunciato la Triplice Alleanza con Germania e Impero asburgico per poi entrare nel conflitto a fianco dell’Intesa. Ma il successivo intervento degli Stati Uniti come cobelligeranti (ai fini di non legarsi alle reciproche promesse delle Potenze alleate nell’Intesa) ha cambiato l’approccio alla definizione dei nuovi confini, in quanto il Presidente americano Wilson parla di autodeterminazione dei popoli. Ed è appellandosi a tale principio che il 30 ottobre 1918 il Consiglio nazionale italiano di Fiume ha proclamato l’annessione al Regno d’Italia, coerentemente con quanto anticipato dal rappresentante fiumano nel Parlamento magiaro, Andrea Ossoinack, durante una delle ultime sedute del consesso.

Si apre la questione di Fiume, che non era presente nelle rivendicazioni italiane del Patto di Londra (benchè abitato in prevalenza da italiani, il capoluogo del Carnaro avrebbe dovuto sostituire Trieste come principale sbocco marittimo della duplice monarchia) ed è invece uno degli obiettivi del nascente Regno dei Serbi, croati e sloveni. Un corpo di spedizione interalleato prende possesso della città mentre proseguono lentamente le trattative della Conferenza di Pace: gli scontri tra nazionalisti italiani e croati sono frequenti, spesso degenerano in incidenti con i militari di presidio e c’è anche una significativa presenza autonomista. I Granatieri di Sardegna ivi dislocati solidarizzano sempre più con la comunità italiana, la componente slava ha il sostegno sempre meno occulto del contingente francese, poiché Parigi mira a fare di Fiume un suo punto di riferimento per la penetrazione economica nei Balcani. Nell’estate 1919 la tensione è alle stelle e nei cosiddetti “vespri fiumani” gli scontri tra italiani spalleggiati dai granatieri e truppe coloniali francesi si concludono con alcuni morti. La brigata Granatieri di Sardegna viene allontanata da Fiume: la sua uscita dalla città diventa un corteo patriottico, in cui i fiumani disperati inneggiano all’Italia e ai granatieri. Il reparto viene collocato nella bassa pianura friulana, ma al suo interno c’è chi già pianifica un ritorno in grande stile a Fiume: sette “giurati” in particolare si impegnano a tal fine e riescono a convincere Gabriele d’Annunzio, eroe di guerra ed autore di imprese clamorose come la beffa di Buccari ed il volo su Vienna, a porsi a capo dell’impresa.

La sera dell’11 settembre 1919 l’autoparco militare di Palmanova viene svuotato ed una colonna di disertori segue il Vate nella sua marcia verso Fiume: i posti di blocco fanno passare i commilitoni, volontari provenienti non solo da Fiume si aggregano e altri militari disertano per seguire la sedizione in atto che sta gettando nello scompiglio gli alti comandi ed il governo. La mattina del 12 settembre alle porte di Fiume il generale Pittaluga intima a d’Annunzio e ai suoi Legionari di fermarsi, ma il poeta soldato mostra il suo petto plurimedagliato ed invita i soldati presenti ad aprire il fuoco: Garibaldi sull’Aspromonte fu ferito e bloccato dai militari italiani nel suo tentativo di liberare Roma, d’Annunzio vede aprirsi il passaggio e prosegue la sua marcia nel tripudio dei presenti.

La trionfale accoglienza dei fiumani celebra quella che verrà enfaticamente ricordata come “la sacra entrata”: i contingenti stranieri nei giorni seguenti evacuano la città per evitare ulteriori incidenti, le truppe italiane circondano Fiume ed il Regno dei serbi, croati e sloveni segue con preoccupazione la vicenda.

Nei mesi seguenti d’Annunzio sarà protagonista assoluto: il Comandante terrà infuocati comizi patriottici; raggiungerà il governatore militare Millo a Zara per proclamare che tutta la Dalmazia verrà annessa all’Italia; respingerà anche contro la volontà dei fiumani un “modus vivendi” che avrebbe sancito l’indipendenza di Fiume e scongiurato l’annessione al confinante Regno jugoslavo; promulgherà la Carta del Carnaro, un documento costituzionale eccezionale nelle forme e nei contenuti; proclamerà la Reggenza italiana del Carnaro visto che il governo italiano non vuole annettere Fiume e si arrenderà solamente al termine dei combattimenti del Natale di Sangue a fine dicembre 1920.

Lorenzo Salimbeni

Il labaro della Reggenza italiana del Carnaro – Foto gentilmente concessa dall’Archivio Museo Storico di Fiume (Roma)
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