È scomparso Marcello Staglieno, tra i fondatori del Giornale di Indro Montanelli ed ex direttore del Secolo d’Italia. Giornalista, politico, è stato soprattutto un uomo di cultura da sempre attento ai nodi cruciali della storia. Riproponiamo qua un brano del direttore – tratto dal volume Sessant’anni di un Secolo d’Italia – nel quale ricorda lo storico incontro a Trieste in cui si aprì il dibattito bipartisan sulla tragedia delle Foibe e l’esodo dei giuliano-dalmati. Un contributo prezioso di un giornalista d’altri tempi.
«Uno degli eventi politico-culturali più significativi del 1998, l’anno in cui, sia pure a partire dal 1° settembre, io divenni condirettore responsabile del Secolo d’Italia – ritengo sia stato, il 14 marzo di quell’anno, il dibattito tra Gianfranco Fini, a nome di Alleanza nazionale, e Luciano Violante (allora presidente della Camera) a nome dei Democratici di sinistra. Perché in quel loro ampio quanto coraggioso dibattito, nell’affollatissima Aula Magna dell’Università di Trieste, si possono rinvenire non soltanto i prodromi del “Giorno del ricordo”, sollecitato da Fini e istituito dalla Legge 92 /2004, dedicato a tutte le vittime delle Foibe e all’esodo dalle loro italianissime terre degli Istriani, Fiumani e Dalmati.
Infatti dal dibattito tra Fini e Violante – sul tema Il ruolo della memoria nella politica contemporanea per una riconciliazione nazionale e una rilettura della nostra Storia per disvelarne le zone d’ombra specie relativamente ai tragici anni della guerra civile 1943-’45 – affiorarono soprattutto, su un piano più generale, elementi a tutt’oggi ben presenti, e purtroppo non del tutto risolti, intendo per l’Unità della Nazione anche se appena ci siamo lasciati alle spalle i festeggiamenti per il 150mo anno da che, 31 marzo 1861, essa fu proclamata .
Il “Giorno del ricordo” è certo una tappa importante, verso quella memoria condivisa indispensabile per l’Unità nazionale. A insidiare quest’ultima non ci sono però soltanto crescenti spinte centrifughe (al limite di un secessionismo leghista nuovamente ribadito da Umberto Bossi in opposizione al governo Monti) di quelli che, anche in relazione a valenze neo-borboniche affioranti nel nostro Meridione, già nel 1974 Giovanni Spadolini (in Autunno del Risorgimento) definì «particolarismi gelosi, campanilismi sordi, odi di comune o di borgo».
C’è soprattutto, elemento non ancora superato, l’incapacità di darci un’identità nazionale davvero condivisa, specie relativamente, e chi non lo sa, alla guerra civile 1943-’45. È ben vero che Violante, nel suo discorso d’insediamento (10 maggio 1996) alla presidenza della Camera, aveva dichiarato che, in fondo, partigiani e combattenti della RSI erano tutti italiani e che, pur avendo combattuto su barricate opposte, lo scopo ideale rimaneva per loro comunque lo stesso: la Patria. Ma è altrettanto vero che, certo per sfuggire all’accusa di revisionismo, nell’incontro con Fini in quel 14 marzo 1998 lo stesso Violante affermò che «ricordare vuol dire capire, anche se capire non vuol dire condividere», precisando che «una è solo la Storia: le memorie sono diverse».
L’accettazione del celebre mònito di Renan (Qu’est-ce que une nation?, Paris 1882) – «la nazione è un plebiscito che si svolge ogni giorno», metafora d’un riconoscimento reciproco basato su vicende comuni, sembra lontana perché – e cito stavolta una memorabile pagina del mio amatissimo Carl Schmitt (Ex captivitate salus, 1946) – sono i vincitori a imporre una loro verità storica anche se in realtà «la Storia la scrivono i vinti: Tucidide, Polibio, Tacito; e Tocqueville». Nonostante Gianfranco Fini, proprio guardando all’obiettivo della suddetta memoria condivisa, il 25 marzo 2009 abbia voluto riconoscere i valori della Resistenza tra cui quello della recuperata libertà democratica dopo il 25 aprile 1945, soprattutto a sinistra le passioni restano fin troppo accese, tenendoci ancora lontani da una vera pacificazione nazionale.
Nondimeno il giorno in memoria delle Foibe, celebrato da otto anni, resta indubitabilmente una benemerita quanto fondamentale tappa verso tale memoria condivisa. Ovvero quale verità conseguita contro le persistenti accuse di revisionismo, le stesse che Claudio Magris (Le Foibe, silenzio e chiasso, Corriere della Sera, 1° febbraio 2005) così ha voluto condannare, ricordando d’avere più volte sottolineato, in passato, «la viltà e il calcolo opportunista di tanta sinistra italiana, che in nome di un machiavellismo da quattro soldi, destinato a ritorcersi contro se stesso, cercava di ignorare, dimenticare e far dimenticare il dramma dell’esodo istriano, fiumano e dalmata e gli eccidi delle foibe, affinché non si parlasse di crimini commessi dal comunismo o in nome del comunismo». Ma quanti altri lati oscuri della Storia nostra restano ancora da disvelare: è il compito, e la sfida, per tutti noi, specie per le più giovani generazioni».
(fonte www.barbadillo.it 16 maggio 2013)
Gianfranco Fini e Luciano Violante in un’immagine di repertorio (foto www.blitzquotidiano.it)