Le “solite” vecchie ruggini, le solite ferite che non si rimarginano. A grattare via la cicatrice stavolta è stato il neo-presidente della Serbia Tomislav Nikolic. Il nervo scoperto è quello delicatissimo di Vukovar. In un’intervista rilasciata all’autorevole quotidiano tedesco Frankfurter Allgemeine Zeitung a una constatazione del giornalista il quale sosteneva che oggi a Vukovar, la città martire croata, simbolo della cosiddetta Guerra patriottica (1991-1995), vivono più serbi che croati il presidente Nikolic ha candidamente interloquito: «Vukovar era serba, i croati non hanno motivo per farvi ritorno». Apriti cielo. Il ministro degli Esteri di Zagabria, Vesna Pusic, ha subito definito le parole di Nikolic «scioccanti» e «del tutto inaccettabili per la Croazia». Immediate le smentite da Belgrado: «Il presidente non ha mai pronunciato quelle parole».
Pronta lo controsmentita dell’autore dell’intervista Michael Martens il quale ha confermato quanto riportato sul suo giornale. Alla voce della Pusic, sul versante croato, si è unita anche quella del presidente della Repubblica Ivo Josipovic, il quale ha affermato che «la Croazia saprà difendere la propria indipendenza» e che «le idee degli anni Novanta non resusciteranno». «La collaborazione con la Serbia deve essere ancora sviluppata – ha proseguito l’ospite di Pantovak – ora dipende dalla politica di Nikolic se sarà pronta ad accogliere la nostra mano tesa. Spero che Nikolic riveda la sua posizione». Anche il ministro Pusic ha ribadito che la Croazia e la Serbia devono collaborare in virtù della loro contiguità geografica se hanno a cuore il bene dei rispettivi popoli». «Per fare ciò – ha aggiunto – ci vuole buona volontà e preparazione da entrambe le parti in causa». «Probabilmente – ha concluso – bisogna attendere ancora che in Serbia si affievolisca la febbre elettorale e che a Belgrado si insedi il nuovo governo».
Le parole di Nikolic sono state criticate sia dalla minoranza serba in Croazia che dalle autorità locali di Vukovar. Simili affermazioni, hanno riferito, rischiano di vanificare tutti gli sforzi per una pacifica convivenza a Vukovar tra serbi, croati e le altre etnie. Al momento, infatti, nella città martire vi è un terzo di abitanti serbo, ma vi sono numerosi residenti di altre minoranze etniche. Il commento più duro di tutti però è quello del deputato croato della Lega democratica croata della Slavonia e della Baranja, Boro Grubišic, il quale ha sostenuto che «da un cetnico non ci si poteva aspettare altro». E che l’atmosfera tra Zagabria e Belgrado non sia più quella che si respirava ai tempi della leadership di Boris Tadic, il quale lo scorso anno si recò a Vukovar per rendere omaggio alle vittime (croate) della strage di Ovcari, lo conferma anche il fatto che Nikolic, senza eccessivi afflati, ha sostenuto che serbi e croati «sono condannati» alla pace.
Prima di recarmi in visita a Zagabria, ha afferma, ho alcune cose più importanti da fare e poi devo ancora ricevere l’invito. Ma nell’intervista “incriminata” c’è un altro passaggio molto importante che la dice lunga sulla valutazione di Nikolic del recente passato, peraltro cruento, della ex Jugoslavia. Interrogato sull’idea della Grande Serbia, cavallo di battaglia politico e ideologico del defunto Slobodan Miloševic, egli ha candidamente affermato che «ciascuno ha i propri sogni che non potrà mai avverare». Insomma la Grande Serbia resta per Belgrado (almeno la Belgrado di Nikolic) un grande sogno (tutto è grande nei Balcani). Ora però, ha ancora sostenuto Nikolic, la Croazia è uno Stato riconosciuto dalla comunità internazionale per cui non ci saranno mutamenti nei confini con la Serbia lungo il Danubio. Meno male, e dire che Nikolic sostiene di essere un fautore dell’allineamento euroatlanico della Serbia. Se fosse il contrario sarebbe da preoccuparsi per davvero.
Mauro Manzin
“Il Piccolo” 29 maggio 2012