Il libro della padovana Gigliola Alvisi ricostruisce la storia di Egea Haffner, oggi nonna ultraottantenne che lasciò Pola a 4 anni. La sua foto fu il simbolo dell’esodo
Una bambina con il vestitino a quadretti rosa e gialli, i calzini dal risvolto di pizzo, i sandaletti bianchi e una piccola valigia con la scritta «Esule Guliana n°30001» (riferito al numero degli italiani residenti a Pola). Il fotografo ha fermato in quell’attimo, 6 luglio 1946, la fine del piccolo mondo di Egea Haffner, 4 anni, che lasciava la sua terra, Pola, la casa e tutto ciò che conosceva per fuggire altrove. Quella foto, ripresa in una mostra del Museo della Guerra di Rovereto, è diventata virale in rete, simbolo dell’esodo giuliano-dalmata, del dramma delle foibe e del Giorno del Ricordo. Quasi 80 anni dopo, Egea Haffner che oggi vive a Rovereto, ha deciso di raccontare la sua storia di esule al tempo delle foibe, alla scrittrice padovana Gigliola Alvisi.
Il libro
Il libro La bambina con la valigia (Piemme, 205 pagine, 14 euro) è stato presentato per celebrare il Giorno del Ricordo da Egea Haffner e Gigliola Alvisi alla libreria Jolly di Verona, in streaming su Facebook e in collegamento con le scuole veronesi.
«Nella mia memoria c’è l’eco di un ricordo lontano. Sei ripetizioni, un lamento prolungato che metteva in moto l’intera Pola e le campane delle chiese che suonavano esortando i ritardatari: correte, correte sembravano urlare – racconta Egea Haffner nel libro La bambina con la valigia – . In quell’ululare di sirene, campane e fragore di esplosioni appariva mio padre, come per magia. Eccolo lì che mi afferrava al volo e iniziava a correre. Per me era un gioco, avevo tre anni e mi rannicchiavo nel suo abbraccio sicuro…». Di lì a poco quel papà amatissimo, prelevato da casa di notte, verrà ucciso dai titini jugoslavi e gettato nelle foibe. Un dramma che condannò la piccola Egea e i suoi parenti alla fuga e all’esilio. «Come mio padre, furono molte le persone prelevate dai titini e scomparse nel nulla. Come noi, molte famiglie non ebbero diritto alla verità. Il numero preciso non fu mai calcolato. Qualche storico parla di 4000, 5000 persone. Tante, troppe. Per i titini tutti gli italiani erano fascisti, anche se spesso quelli gettati nelle foibe erano semplici cittadini o anche partigiani antifascisti che avevano combattuto contro i tedeschi. L’unica loro colpa era di essere italiani». Il libro ripercorre l’esilio di Egea, prima a Cagliari, poi a Bolzano e il doloroso tentativo della famiglia Haffner di ricominciare una nuova vita.
L’archivio di Egea
La scrittrice Gigliola Alvisi ha scelto questa vicenda per la memoria lucidissima degli eventi di quel tragico periodo storico che Egea Haffner ancora oggi ha e per il grande archivio famigliare di foto e documenti conservato. «Mi hanno avvicinata a lei soprattutto la sua capacità e propensione a comunicare con le giovani generazioni – spiega Gigliola Alvisi – , la voglia di testimoniare e di raccontarsi. La sua storia personale è quella di tanti, parla di sradicamento, viaggio verso l’ignoto. Fa riflettere anche su tutti gli altri profughi. Oggi Egea, 81 anni e sei nipoti, è l’ultima Haffner rimasta».
La maternità
Il libro affronta anche un tema lacerante come quello della maternità biologica e la maternità invece di cuore, legata alla crescita e all’accudimento di figli nati da altre madri. La piccola Egea, si troverà a fare una scelta difficile: seguire la mamma biologica a Cagliari dove era riuscita ad avviare un’attività lavorativa, o restare a Bolzano con la zia che l’aveva cresciuta e accudita ogni giorno. Anche questa sarà una svolta nella vita di Egea, un nodo cruciale affrontato con coraggio e determinazione. «La condizione di esule fa abbassare lo sguardo, smorza la voce, toglie la speranza. Fa sentire straniero e inadeguato – confida Egea Haffner nel libro – . In un’Italia in cui i poveri erano ancora molti, gli esuli venivano considerati dei ladri perché ricevevano un contributo di sussistenza. In un’Italia che non conosceva ancora le vicende complesse della Venezia Giulia, era facile additare gli esuli semplicemente come fascisti. Gli esuli erano forestieri, concorrenti, qualche volta perfino nemici».
Francesca Visentin
Fonte: Corriere del Veneto – 10/02/2022