La strage titina dei Carabinieri di Pedena nel giugno 1944

Il dono di un importante libro consente di conoscere una drammatica pagina di storia, vissuta anche da un giovane Carabiniere calabrese diventato patriota della “Osoppo”. Il volume Pedena. Un borgo istriano tra guerra e dopoguerra, curato dal docente e storico gradese Guido Rumici, è stato infatti donato alla Biblioteca “Movm Renato Del Din” da Marco Rensi, udinese di origini istriane e trentine, che deve a Pedena le sue radici familiari. Nel paese dell’Istria orientale ora croato (Pićan), vivevano infatti il padre Tullio, allora bambino, il nonno Aldo, impiegato nella miniera dell’Arsia, rapito dai partigiani titini nel maggio del 1944 e di cui ancor oggi non si conosce il destino, ed il prozio Pietro, il parroco locale, autore del prezioso diario pubblicato nel libro.

Monsignor Rensi è, infatti, testimone di quanto avviene a Pedena l’11 giugno del ‘44, il giorno in cui alcune centinaia di partigiani della Brigata Vladimir Gortan assaltano la caserma dei Carabinieri, costretti alla resa dopo dodici ore di disperata resistenza. Nonostante le rassicurazioni ricevute dal tenente ligure Angelo Finucci, comandante del presidio, parimenti assalito, della vicina Gallignana (Gračišće) e da Mons. Rensi, i prigionieri sono rinchiusi nei locali della scuola di Pedena assieme ad altri finanzieri italiani. Vengono tutti interrogati. Tra loro, ci sono anche Carabinieri che erano già stati disarmati e catturati dai tedeschi l’8 settembre ’43, in Dalmazia. A quella data, appartenevano al 23° Battaglione Mobilitato, dislocato a Segna (Senj), lo stesso reparto del pugliese Cosimo Moccia, l’osovano “Aldo”, fucilato dai militi della Decima Mas a Tramonti di Sotto il 10 dicembre 1944. Condotti a Pola, i Carabinieri erano stati costretti a prestare servizio in Istria.

Conclusi gli interrogatori, iniziano le esecuzioni sommarie. Coloro che non vengono immediatamente uccisi, sono costretti, a gruppi, a lunghe marce forzate di trasferimento, nel corso delle quali altri Carabinieri vengono trucidati. Le vittime dell’Arma sono complessivamente ventiquattro. Tra i superstiti c’è il ventiduenne Saverio Mellea di Montepaone (Catanzaro), in servizio a Pedena. Le sue memorie, per tempo raccolte da Tullio Rensi e dal prof. Guido Rumici, spiegano le circostanze dell’assalto partigiano, della sua avventurosa fuga e dell’arrivo a Forame di Attimis, tra i patrioti osovani del comandante Francesco De Gregori “Bolla”, dai quali è accolto e rifocillato. Saverio diventa quindi “Cairo”, componente della squadra servizi del Battaglione Guastatori, agli ordini di Umberto Michelotti e della missione britannica. Come tale, partecipa a numerose azioni di sabotaggio, in particolare lungo la ferrovia Pontebbana, sfuggendo all’eccidio di Porzûs solo perché inviato, quel giorno, a Borgo Pecol. Dalla valle “Cairo” ha modo di sentire le raffiche dei gappisti. Nel dopoguerra, si trasferisce a Trento, come sono costretti a fare Monsignor Pietro, che vi muore nel 1967, e Tullio Rensi, che tuttora vi risiede. Saverio Mellea si è, invece, spento il 27 luglio 2011.

Jurij Cozianin
Fonte: “Pai nestris fogolârs”, Notiziario dell’Associazione Partigiani Osoppo-Friuli, ANNO IV – n. 72 – 11 ottobre 2023.

Associazione Partigiani Osoppo
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