È ormai un’icona dell’esodo giuliano-dalmata la fotografia della “bambina con la valigia” e quella bambina racconta ancora oggi la sua testimonianza di figlia di un infoibato e di esule che ha attraversato l’Italia prima di trovare una collocazione in Trentino. Lei si chiama Egea Haffner ed è stata la testimone d’eccezione alla cerimonia istituzionale del Giorno del Ricordo che è stata organizzata dal Comitato provinciale di Roma dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia questa mattina alla Protomoteca del Campidoglio con il patrocinio di Roma Capitale.
Davanti a una sala piena di esuli e discendenti di esuli, studenti di scuole superiori romane, rappresentanti istituzionali e delle comunità italiane in Slovenia e Croazia nonché del mondo della diaspora adriatica, il Sindaco Roberto Gualtieri ha iniziato la celebrazione dopo l’esecuzione dell’Inno d’Italia da parte del musicista fiumano Francesco Squarcia con la viola. Il primo cittadino dell’Urbe ha ricordato che, a differenza di altre località, Roma accolse generosamente i profughi giuliano-dalmati, senza pregiudizi politici. Gli oltre 200 presenti hanno quindi potuto rendersi conto, specialmente i più giovani, di quali condizioni caratterizzarono l’Esodo grazie alle immagini d’epoca ma sempre toccanti del documentario della Settimana Incom dedicato all’abbandono di Pola nei primi mesi del 1947.
All’epoca era già andata via dalla natia Pola Egea Haffner, che venne immortalata in quella fotografia proprio il giorno della sua partenza nell’estate del 1946. Il padre era sparito l’anno precedente, dopo che una sera avevano bussato alla porta di casa alcuni miliziani jugoslavi che affermavano di volerlo solamente interrogare: «Mio padre non fece mai ritorno a casa – ha ricordato la Haffner ripetendo quello che tanti esuli amaramente hanno testimoniato in varie occasioni – forse perché era stato condannato in quanto sapendo il tedesco aveva fatto da traduttore per i soldati tedeschi in occasione di alcuni interrogatori a prigionieri partigiani» Successivamente iniziarono le peregrinazioni tra i Centri Raccolta Profughi, con un vano tentativo della famiglia di espatriare attraverso i canali dell’Organizzazione Internazionale per i Rifugiati, la quale gestiva il flusso di profughi dall’est Europa verso le Americhe o l’Oceania, ove vi era disponibilità ad accogliere quanti fuggivano dalle dittature comuniste. Alla fine Egea arrivò a Bolzano, ove visse presso parenti fino a quando la sua famiglia potè permettersi di affittare un appartamento. L’allestimento da parte del Museo della Guerra di Rovereto di una mostra sugli esuli giuliano-dalmati portò alla ribalta quella fotografia che ormai tutti conoscono e fa anche da copertina ad un libro destinato ai ragazzi che Egea, alla quale è intitolato anche l’Ecomuseo dell’Esodo sorto recentemente a Fertilia in Sardegna, ha voluto scrivere.
Il Professor Giovanni Stelli, Presidente della Società di Studi Fiumani, ha quindi contestualizzato questa testimonianza nella cornice storica più ampia di quell’epoca, in cui anche il comunismo portato avanti da Tito in Jugoslavia si cimentava nella semplificazione etnica. Nell’ambito di un’epurazione politica che colpì pure sloveni e croati, la comunità italiana dovette abbandonare le province in cui viveva radicata da secoli e che erano state annesse alla Jugoslavia comunista con il Trattato di Pace del 10 Febbraio 1947. «Oggi la Società di Studi Fiumani – ha aggiunto Stelli – si adopera affinché esuli e rimasti, italiani, sloveni e croati della frontiera adriatica cooperino per ricostruire una memoria storica nell’ambito di un’Europa fondata sulle diversità. Il pluralismo culturale e non la semplificazione rappresenta la grandezza dell’Europa»
Un ulteriore approfondimento storico è giunto grazie ad Andrea Ungari, docente di Storia contemporanea negli atenei romani Marconi e Luiss, il quale ha fatto riferimenti non solo alle stragi titine in Venezia Giulia, Carnaro e Dalmazia, ma anche alle vicende diplomatiche che riguardarono la definizione del nuovo confine italo-jugoslavo. Trieste in particolare sarebbe stata al centro della diplomazia internazionale fino al 1954, anno in cui il Memorandum di Londra ne affidò l’amministrazione civile all’Italia, mentre per l’Istria racchiusa nella ex Zona B del Territorio Libero di Trieste ci fu un ulteriore passo verso l’annessione ufficiale alla Jugoslavia. «L’esodo giuliano-dalmata rientra in un più vasto contesto di trasferimenti coatti di popolazioni nell’Europa orientale. La cronaca più recente invece – ha precisato il Professor Ungari – ci racconta spesso che in territorio sloveno e croato continuano ad essere portate alla luce le spoglie di vittime occultate nelle foibe e nelle fosse comuni dai partigiani jugoslavi, mentre in Italia comincia ad avere più visibilità la sanguinosa strage di Vergarolla. Le ricerche e la divulgazione su questi ambiti vanno avanti grazie al sostegno delle associazioni degli esuli»
È stato quindi proiettato il documentario “Altrove. Viaggi di un’anima”, realizzato dall’Anvgd in collaborazione con il Ministero dell’Istruzione nell’ambito del progetto “Perle del Ricordo”: si tratta di una suggestiva raccolta di testimonianze di esuli di prima generazione e di parenti di infoibati.
La presidente del Comitato di Roma dell’Anvgd Donatella Schürzel, che prima dell’inizio dei lavori è stata ricevuta dal Sindaco Gualtieri, ha quindi insistito sull’importanza che le ricerche storiche documentate ed approfondite hanno nello sbugiardare la sparuta ma fastidiosa fazione di coloro i quali insistono a sminuire o a giustificare le foibe e l’esodo. «I discendenti degli esuli oggi si adoperano pure nel riallacciare i rapporti con le terre di origine – ha aggiunto la professoressa Schürzel – e sono sempre più intense le sinergie tra associazioni di esuli e di rimasti. Non solo ci impegniamo per far conoscere la nostra storia in Italia, ma anche sosteniamo i nostri connazionali in Slovenia e Croazia ad uscire da quel senso di spaesamento che provano quando cercano di esprimere la propria identità italiana, che pur gode di leggi di tutela» Particolarmente significativa è stata in tal senso la tappa compiuta a Pola dal progetto “Dante Adriaticus” realizzato dall’Anvgd di Roma in collaborazione con la sede nazionale: insignito dalla medaglia della Presidenza della Repubblica per il suo alto valor culturale, tale evento ha consentito di ribadire la profondità delle radici della comunità italiana autoctona in Istria, “sì com’a Pola presso del Carnaro ch’Italia chiude e suoi termini bagna”, come scrisse Dante Alighieri nella Divina Commedia.
Ha quindi concluso gli interventi l’Assessore alla Cultura Miguel Gotor, il quale ha sottolineato l’importanza di far conoscere ai giovani queste pagine di storia troppo a lungo rimosse. «Quando andavo a scuola – ha ricordato il componente della giunta Gualtieri – avevo un compagno di classe figlio di profughi giuliani e così avevo saputo qualcosa in merito ad una storia di cui in giro si faceva appena qualche timido accenno sottovoce. Le vittime di quelle tragedie hanno invece il diritto di essere ricordate pubblicamente ed in maniera istituzionale, non solo nell’ambito famigliare: è doveroso che si sappia che nelle province italiane che non furono liberate dagli anglo-americani ma dai partigiani jugoslavi ebbero luogo stragi che colpirono non solamente i fascisti, ma tutti gli strati sociali e politici dell’italianità locale»
Ancora le note della viola del Maestro Squarcia hanno regalato emozioni con l’esecuzione infine del “Va, pensiero” del Nabucco verdiano, vero e proprio inno degli esuli istriani, fiumani e dalmati.
Lorenzo Salimbeni