Da una corrispondenza dell suo amico e giornalista di Palmanova, Mario Grabar, molto conosciuto per le tante pagine scritte per il periodico della Famiglia parentina "In Strada Granda", Elio Musizza ci ha inviato giorni fa una storia di ricordi parentini ed istriani legati al famoso circo “Zavatta”. "Il testo è stato ripreso da un volume di Giallo Ricciotti pubblicato 39 anni fa. Ecco il racconto.
Navigando sul filo della memoria
Mi è capitato sotto gli occhi, rovistando in mezzo a vecchie pubblicazioni da un amico antiquario, un libricino di Ricciotti Giallo, del maggio 1968, presentato garbatamente da Silvio Rutteri e stampato da quel grande editore di cose nostre che fu Gaetano Coana. È un’edizione curiosa, piena di richiami e di aneddoti, di antiche foto e di un’interessante “appendice” sui Raiceveich e le loro rappresentazioni, cosicché navigando – come il solito – sul filo della mia labile memoria e della fantasia, mi sono immerso in quella Parenzo “nostra” degli anni prima dell’ultimo conflitto, quando Cimarè non era ancora stata asfaltata, e c’erano soltanto il polverone e la fontana alla quale le donne di casa nostra attingevano l’acqua per le “banchele” (“banchella” o “banco dell’acqua” = credenza superiore portante recipienti di acqua potabile) e noi ragazzi correvamo felici a giocare, fin verso il “Laco” di Madonna del Monte o sotto le mura della caserma di via Tamaro, a parlamentare coi soldati che stavano mangiando il rancio per avere, in cambio di chissà quali leccornie, quella pagnotta grossa e fumante che ci piaceva tanto.
Cimarè, luogo circense ideale
Cimarè fu per anni, vorrei dire da sempre, il luogo ideale delle carovane circensi, dove le grandi famiglie di saltimbanchi, di clown, di giocolieri, piantavano il loro “chapiteau” colla barriera ed il palco per la musica, col rideau che soltanto i più audaci ed i più scalmanati scavalcavano per fare il baciamano a miss Michelina dopo uno spettacolo sui cavalli, colle tende e le carrozze dipinte coi nomi prestigiosi di Zavatta, di Fumagalli, dei Canestrelli.
Ricordo la paglia, la carne che davano gli aiutanti ai leoni spelacchiati ed alle tigri, le visite ai cammelli con le misteriose gobbe, i ponie scalpitanti e persino le scimmie che i ragazzini del circo Zavatta ostentavano sulla spalla, chiedendoci le noccioline americane per poterle accarezzare un momento.
Una cosa magica
Era una cosa magica, il circo. Diverso tempo fa, in un locale pubblico qualcuno mi additò una signora ancora avvenente, elegante e dal sorriso accattivante, dicendomi che quella era stata tanti anni fa una star del circo. Non ebbi l’occasione di poterla avvicinare, ma la ricordo bene ritta sui cavalli intorno al rideau, a volteggiare leggera mentre la musica suonava allegre marcette: era, e chi non se ne rammenta?, la “famosa”, bellissima, biondissima miss Michelina. Uno dei numerosi figli del patron Oreste Zavatta, che a settant’anni (me lo ricorda Ricciotti Giallo) aveva preso il posto di direttore che era stato di Riccardo Zavatta, patriarca del circo nazionale, sposato a quella tal Luigia Belley che, unica figlia di una grande nidiata di maschi, aveva portato per anni, nel circo del suo celebre padre, i vestiti dei fratelli, mimetizzandosi in mezzo a loro e ricevendo con quegli acrobati incredibili, gli applausi a scena aperta del pubblico. Mise i vestiti femminili, la povera Luigia, solo sposando Riccardo Zavatta e la sua avvenenza apparve, subito, nella pienezza di una figura slanciata e per anni osannata.
L'equilibrista Aiccio, nato a Capodistria
Oreste aveva un sacco di figli pure lui: Alfredo, grande atleta; Rodolfo, oppure Pierino, che era l’autentico “mago” della bicicletta ed andava famoso per quell’esercizio sulla scala che gli valse persino una medaglia d’oro e lo portò nel dopoguerra a farsi applaudire nel complesso dei fratelli Orfei; così come arrivò, in sella a quell’incredibile bici, persino nella tournée americana del prestigioso Barnum and Bailey. Si esibì anche in modo spregiudicato ed audacissimo nei luna parks sui “muri della morte”.
Ma Oreste aveva addestrato al circo anche Maurizio, nato a Capodistria, che tutti conoscevano più familiarmente per “Aiccio”, gran cavallerizzo ed equilibrista, finito poi sulla pista del non meno celebre complesso di Ferdinando Togni; Amedeo, e Biglietto, ossia Emilio che era conosciuto per la sua bravura come saltatore e funambolo. Certo un capitolo a parte lo meriterebbe proprio miss Michelina, la bionda esplosiva per la quale i corteggiatori erano una falange ed i fiori, i doni, le promesse piovevano come caramelle ad ogni rappresentazione. Ma a guardia della famosa e bellissima sorella, stavano la barba patriarcale di papà Oreste e l’esercito dei fratelli.
Per un quarto, di sangue blu
Questi Zavatta, scoprirono persino di avere un quarto di nobiltà! Pensate che discenderebbero, e dicono che ci siano i documenti riconsegnati alla famiglia dalla vedova del deputato Giacomo Matteotti che si stava interessando alla causa, dal conte Cristoforo Zavatta, grande proprietario delle valli di Comacchio. Certo per l’eleganza, lo stile, la bravura eccezionale e le maniere da gentiluomini che avevano questi Zavatta sono chiara dimostrazione di una discendenza che veramente trova le sue radici nel sangue blu.
Uno dei Zavatta, probabilmente il vecchio Antonio o il patriarca Oreste, fu testimone di nozze, in Istria, di mio nonno Checo. Conservo ancora parte di un servizio per dolci dalle foglie di vite, bellissimo, portato in dono dalla famiglia Zavatta appunto quando Francesco Grabar e Maria Burlini si sposarono. E l’affetto che ebbero sempre i proprietari del circo per noi fu costante, ed altrettanto mio nonno e mio padre sentirono per loro.
Il nano Bagonghi
Ricordo che solitamente quando il circo metteva il chapiteau in Cimare, uno Zavatta andava subito a salutare mio nonno, nella sua bottega in via Tamaro. Qualche volta si fermavano a dormire nella mia camera vicino alla terrazza, dove trovò ospitalità persino quel famoso nano Bagonghi che aveva la moglie tedesca o vichinga.
Un donnone alto, bianco e rosso, dalle bionde e fluenti chiome, che litigava sempre col piccolo, ma terribile Bagonghi ed io me la spassavo, per le scale della casa, a sentire le loro baruffe, aspettando Bagonghi sull’uscio della camera. Perché era solito regalarmi qualche dolce o una caramella che succhiavo voluttuosamente, pensando alla celebrità di chi me l’aveva donata!
Poi arrivò l'asfalto…
Il circo, il suo fascino. Ricordate il “serraglio”, con le bestie feroci? Le foche ammaestrate, che tenevano sul muso il pallone e lo facevano ruotare e volteggiare con tanta grazia e maestria? Ricordate il gruppo dei clown con Aiccio e Florian? Certo qualcheduno di voi, un po’ più avanti di me, rammenterà anche le sorelle Riedsen, i Berneschi, le belle Aliberti e gli Andreff, che coi nani, i ginnasti, i trapezisti famosi che si buttavano dal cielo del tendone senza la rete, gli equilibristi sul filo d’acciaio, i cavallerizzi, le ballerine, facevano una grande, meravigliosa festa di colori e d’armonia per la quale ci spellavamo le mani dagli applausi e sognavamo, la notte, i miracolosi prodigi del circo.
Poi asfaltarono anche Piazza Cimarè, il regime fece l’acquedotto e piantarono aiuole. Così il circo si trasferì in altre zone di Parenzo: il “pra’ de Visse”, talvolta la Riva, i viali, la distilleria dei Rocco dove i pescatori mettevano le reti al sole, persino il campo sportivo di Via Tamaro prima che vi costruissero il “silo” furono teatro dei circhi equestri.
I cosacchi del Don
Ricordo che al campo sportivo si allenarono, per un lungo periodo, i cavallerizzi ed in particolare una troupe, vera o falsa, di cosacchi del Don coi lunghi mantelli neri con le cartucciere, le spade, i colbacchi con l’aquila d’oro degli zar, gli stivaloni lucenti. Correvano sui loro cavallini, sparendo e ricomparendo in corsa, talvolta stretti sotto la pancia dei cavalli, talvolta diritti in groppa, magari con le giravolte a terra, senza fermarsi mai. E noi ragazzi seduti, accoccolati a terra, a mangiarci lentamente con gli occhi quei cavalli e quei terribili cavalieri coi loro baffoni, certamente sognando di poter fare, la sera, sotto il tendone del circo Zavatta, spettacoli meravigliosi e ricevere dal pubblico, sempre appassionatissimo del circo, una messe di applausi.
L'urlo delle sirene
Poi si spensero le luci, si oscurarono i balconi, le rive rimasero buie e disperate, si sentì una sera il primo urlo delle sirene. Era venuta la guerra, quella vera, coi palloni frenati sul porto, con le navi cariche di bauxite. Erano venuti i mitragliamenti, gli spezzonamenti, gli incendi e le distruzioni.
C’erano stati i primi morti e molte cose spaventose dovevano ancora accadere. Ma al circo, al circo Zavatta chi ci pensava più? Riccardo e tutti gli altri, che pure avevano partecipato all’Impresa fiumana offrendo a D’Annunzio i tendoni e le armi, erano rimasti in Dalmazia allo scoppio della guerra e avrebbero ripreso la loro attività tanti anni dopo, senza poter tornare in quell’Istria e in quella Dalmazia che amavano così profondamente, ricevere i nostri applausi, i nostri sorrisi, i baciamani per miss Michelina. Rimasero in piedi, come complesso, fino allo spettacolo di Trieste del 1950, poi arrivò, come per tutto ciò che accade nella vita, la decadenza e lo scioglimento di una famiglia che aveva dato lustro e fama, coi suoi spettacoli, a generazioni di artisti circensi.
Molti, però, non hanno mollato e Aiccio, coi figli Gilberto, Marzio ed Amedeo nel 1965 ha vinto il prestigioso Festival internazionale dei clowns a Campione d’Italia; l’anno dopo, nello stesso spettacolo organizzato da Pino Correnti, anche Achille, figlio di Demetrio, è riuscito a conquistare il Grock d’oro che è la massima aspirazione di goni artista del circo che si rispetti. Questo Achille, poi, ha persino una rubrica fissa, dicono, alla televisione francese.
Ecco: piegate le tende, rimesso via la chapiteau, chiusi i bauli coi costumi di scena, rimesse le bestie feroci nelle gabbie ed i cavalli nelle stalle, il circo chiude, a Parenzo. Chiude per non tornarvi mai più, almeno col nome prestigioso di Zavatta, di Zoppè, Canestrelli, Fumagalli. È un’epoca che la guerra ha spazzato via insieme con le evoluzioni dei cosacchi dalle lunghe palandrane ed i colbacchi, cogli aerei trapezisti, col nano Bagonghi ed i suoi clown, coi funamboli guidati da Biglietto, coi cavalli di Aiccio e le biciclette impossibili di Rodolfo. Ma soprattutto, con la biondissima chioma di miss Michelina, che al circo dette la grazia, l’impronta della signorilità e lo stile di quella famiglia Zavatta che ormai, per noi parenzani, era diventata sinonimo di circo.
Sior Piero Vezzil
Sì, è vero, nel circo ci furono: Buffalo Bill (se lo ricordava mio nonno, il colonnello William Cody colle sue pistole), il tedesco Hummer Smith grande ammaestratore di cavalli e cavallerizzi, il dresseur francese Vinella ed un sacco di altri personaggi più o meno famosi. Adesso ci sono gli Orfei, che sono una grande famiglia. Ed i Togni. Ma a noi parenzani, chi leva dalla testa il circo Zavatta?
Al complesso musicale del circo partecipava con il suo favoloso clarino sior Piero Vezzil (per fare un piacere agli amici Zavatta) e qualche altro musicante parentino.
La naturale disponibilità parentina nei riguardi dei forestieri, per i quali, se meritevoli, diventava generosa cordialità, stabiliva una corrente di simpatia e di reciproca amicizia. Perciò i Zavatta erano considerati a Parenzo come se fossero gente di casa nostra.
Forse con queste parole, tratte dal libricino di Ricciotti Giallo, ho ricordato a qualcuno di voi un momento magico della sua giovinezza? Almeno, me lo auguro.