Ovunque nel mondo i dialetti sono un patrimonio inestimabile. La parlata fa parte degli elementi quotidiani della vita di ciascuno di noi. È qualcosa di molto di più che una serie di vocaboli. Ha radici profonde nella storia, nella tradizione e nei costumi di un paese. È testimonianza della singolare identità delle nostre genti. Un tempo si trasmetteva di generazione in generazione, da padre a figlio, da nonno a nipote. Oggi spesso, purtoppo, non accade più. Ogni dialetto custodisce in sé un vero patrimonio di saggezza e nello stesso tempo un patrimonio lessicale di ricchezza antologica delle parole.
“Il dialetto – per citare la professoressa Maria Schiavato che del vernacolo fiumano è una delle poche ultime vere esperte – riflette come uno specchio la coscienza di un popolo, il suo spirito, il suo estro più genuino. Esso, però, così come la lingua letteraria, è un soggetto vivo, che subisce l'usura del tempo ed i mutamenti che in esso si susseguono, da un lato accettando voci nuove e dall'altro lasciandone morire altre, che 1'uso corrente trascura perchè non più necessarie. Oggi il nostro dialetto non è più quello d'una volta. Ridotto all' osso per mancanza di un numero consistente di parlanti, fornisce ancora alla lingua croata le sue voci di uso più comune, ma continua pure ad assorbire da essa, ed in maggior misura, delle altre”.
Lasciare quindi delle tracce sull’etimologia dei dialetti, soprattutto di quelli veneti che dalle nostre parti ormai, vuoi perché nelle poche scuole italiane di cui dispone la nostra etnia si parla in lingua, vuoi per le inevitabili influenze che ha la parlata della lingua del popolo di maggioranza sui nostri idomi dialettali, rischiano ormai, purtoppo, di scomparire. Per tale motivo ogni iniziativa tesa a recuperare e a salvaguardare il dialetto è degna di elogio
Quella realizzata nei corridoi del Piano Nobile di Palazzo Modello, allestita in occasione dei festeggiamenti indetti dalla Comunità degli Italiani di Fiume per la Festa dei patroni San Vito, San Modesto e Santa Crescenzia nell’ambito della Settimana dedicata alla cultura fiumana, si deve alla professoressa Erna Toncinich. È frutto di un certosino lavoro di ricerca durato anni, estratto da un cassetto al momento giusto, per offrire a tutti i fiumani, anziani e giovani, adulti e bambini, uno scorcio della loro storia, fatta anche di proverbi, di detti e filastrocche, di battute spiritose, spesso anche piccanti e un po’ sconce che oggi molti ragazzi e molti bambini forse non conoscono, ma che i meno giovani ricordano.
Ve ne proponiamo qui soltanto alcune. Le altre andate a leggerle in Comunità, che non ve ne pentirete.
"Fioi, quando che passè in piaza dele Erbe, dè un'ociada su per la caleta a sinistra del palazo, de la parte dove che xe la botega de magnativi del Fabiani, e vederè un antico arco tuto smagnado e rovinado che par che 'l stia su proprio per miracolo. Ben, quelo xe l'Arco roman. La jente studiada la dixe che lo ga fato i antichi romani, inveze lo ga fato le strighe in una sola note e una bela matina i veci fiumani de quela volta i ve ga visto sta granda porta. Mi non ve saprio dir indove che se andava una volta per sta porta ma là la xe e là la resterà per sempre. Molte volte i fiumani i voleva butar xo sto arco, ma no i xe mai riussidi a far altro che rovinarlo, come che potè veder se ghe passè sotto".
E poi: “Iera una vola una dona che non la ghe avrebe zedudo gnanche a Cristo e la voleva gaver essa sempre l'ultima parola. Una volta la se ga barufado col marito e la ghe dixeva: 'Pedocioso, pedocioso!' El marito 'l se ga stufado e el ghe ga deto: 'Bruta linguazona sporca, se non ti tasi te tocio in aqua!' E essa la continua: 'Pedocioso, pedocioso!' Lu la tocia fin la boca e el dixe: 'Adesso ti taserà, si o no?' Te nego se no, vara!' E ela: 'Pedocioso, pedocioso'. Lui alora el perde el lume dei oci e el te la caza soto aqua fino ai cavei. E ela che no la pol più parlar, cossa la fa? La alza la man sopra la testa e batendo un su l'altro i polizi, la ghe fa el moto de mazar i pedoci. Lui alora, disperado, el la tira sù e el ghe la dà per vinta".
E, ancora, storielle sull’avarizia dei lussignani, proverbi come “stuco e pitura fa bela figura”, “non xe per cicio barca”, “ogni pignata trova el suo copercio”, quadretti con tantissime parole ormai cadute quasi in disuso, spassose filastrocche. "Xe passà la Gigia Valzer, co le cotole incolade. I ghe ziga per le strade: Gigia Valzer indove ti và?". O ancora "Povera mi senza marì, panza me cresse, non so più con chi" oppure "Povera mi, xe morto mio marì. De tanto bon che 'l iera el xe finì in galera".
La raccolta di quadretti è iniziata sei anni fa, quando la professoressa Erna Toncinich propose di allestire per la prima volta una mostra tematica sui vari detti fiumani ai quali lei, da abile artista che è, ha allegato delle simpatiche illustrazioni. Con il passare degli anni il fondo si è arricchito, fino a diventare una raccolta che ora è alla portata di tutti.
Parole, proverbi, poesie e storielle tratti dal libro "Folklore fiumano" di Riccardo Gigante e dal "Dizionario del dialetto fiumano di Salvatore Samani". Due bei documenti, come rileva l'autrice della mostra, "dela parlada popolare fiumana" che lei ha rallegrato con originalissimi disegnetti.
"Questa mostra per i anditi dela nostra Comunità xe un regalo per San Vito a tuti i fiumani. Quei che ne vien trovar ogni ano, quei che xe lontani, ai fiumani rimasti e a tuta quela brava gente che ghe vol ben ala nostra zità" – scrive Erna Toncinich nel primo dei quadretti esposti all'entrata al Piano Nobile di Palazzo Modello.
Fa tenerezza, in questi giorni, vedere per i corridoi della Comunità degli Italiani nonni e nipoti che tengono per mano e si soffermano dinanzi alle immagini e alle scritte esposte leggendo insieme questi piccoli collage. È davvero bello e emozionante. E a momenti, a chi riesce a lasciarsi andare con un po’ di fantasia, magari socchiudendo gli occhi, sembra quasi di ritrovarsi non nei corridoi di Palazzo Modello, ma nel cuore della Cittavecchia, come se si passeggiasse in Barbacan, in Gomila, in Calle dei Canapini, in Calle della Marsecia o per qualcuna delle tante altre antiche calli ritratte nei bei dipinti di Romolo Venucci, che oramai, purtroppo, non esistono più.
Un’esposizione, quella della professoressa Toncinich, che in questi giorni ha offerto al pubblico di connazionali fiumani anche svariati temi di dibattito. “Se dixeva così o se dixeva colà”; “Sta parola non la go sentì dai tempi de mia nona”;.”Ma vara ti che ne semo squasi dimenticadi che una volta se usava dir così”.Un regalo per San Vito a tuti i veri fiumani. Grazie professoressa Toncinich. Grazie di questo bel regalo.