Mare, l’Adriatico, porto e vento, tramontana, anche se è bello fantasticare sugli estremi sbuffi della nordica bora. Sei a Bari e ti senti a Trieste e non solo per le affinità elettive urbanistiche e meteorologiche. Bari come Trieste è una città di confine. Lo scopri camminando lungo le sue vie a ridosso del centro storico, alle spalle del porto e di San Nicola. L’aria salmastra che si appiccica ai capelli e quella commistione di lingue e dialetti, paradigmi dell’importanza emporiale del sito. La pianta ortogonale degli isolati tra corso Vittorio Veneto e corso Italia, di napoleonica “invenzione”, ma a un triestino viene in mente Maria Teresa e il suo borgo, rendono facile l’orientamento, tra negozi e boutique e gli immancabili cinesi conditi da una buona presenza indiana. Percorri via Sparano e ti sembra di essere in via Condotti. Tanto lusso ma negozi tristemente vuoti. La strada però è affollata dal tradizionale e imperdibile “struscio”. Improbabili “dottori” che salutano obsoleti “cavalieri”, la pronuncia è musicale tra il civettuolo e l’impertinente. Le ragazze danno il meglio di se stesse esplodendo nella mediterranea bellezza del meridione che ha oramai riposto nel baule dei ricordi lo stereotipo del femminino basso e tozzo, vestito di nero che al massimo fa capolino dall’uscio delle case.
Tanti giovani, cartina al tornasole di una società viva che sa rinnovarsi. Popolazione giovanile che cresce in prossimità dell’Università. Alle spalle c’è piazza Umberto I e qui il cuore ha un tuffo. Ti sembra di essere piovuto attraverso un buco nero della memoria direttamente in piazza della Libertà a Trieste. E ti senti confuso. Stessi alberi, stessi colombi, stesso odore, un misto tra lo sterco e l’aria di mare, e poi quei gruppi così ben ordinati che si riuniscono e parlano, parlano, raccontandosi le storie di infinite migrazioni. Al centro, infatti, il parco è attraversato da una linea di panchine divise in blocchi. Nel primo che incontri sul tuo cammino ci sono i maghrebini, poi gli albanesi, seguono gli omosessuali, alla fine gli slavi, un misto di serbo e croato che solo l’orecchio fine dell’uditore esperto riesce a “separare”.
E scopri che la Puglia è terra di migrazione e che il suo mare, il nostro mare Adriatico non è uno iato, ma un confine che congiunge due culture, due mondi e anche due povertà. E di questa contiguità si occupa attivamente proprio l’Università di Bari. «La nostra idea che solo a una prima e sommaria analisi può sembrare utopica – spiega il professor Franco Botta, presidente del Centro di studi e formazione nelle relazioni interadriatiche – è quella di unire le due sponde ma anche di rilanciare il dialogo nei Balcani tra albanesi, serbi, croati nell’ambito delle relazioni di prossimità, anche perché avere buoni vicini rappresenta senza ombra di dubbio un’ottima risorsa».
«Il passo in più che stiamo cercando di realizzare – precisa – è quello di creare un’identità adriatica nell’ambito europeo e questo passa attraverso la conoscenza culturale, delle letterature adriatiche, degli usi e dei costumi per arrivare a dare forma a un pezzo d’Europa capace di dialogare di più nel Mediterraneo». Su tali presupposti si innesta anche l’azione istituzionale e amministrativa della Regione Puglia. «In questa temperie – afferma l’assessore regionale al Mediterraneo, cultura e turismo, Silvia Godelli – quello delle regioni diventa un ruolo motore. Per noi il mare non è un fattore di divisione, ma uno strumento di unione. La Puglia ha in essere numerosi partenariati con tutti gli Stati dell’ex Jugoslavia e in tutti i settori socio-economici. Il progetto europeo più importante di cui siamo il capofila riguarda le energie da fonti rinnovabili e il settore idroelettrico. Anche alla luce della nostra esperienza – conclude la Godelli – la nascita di una macroregione europea Adriatico-Ionica costituirebbe un nuovo strumento nel cui ambito sviluppare la cooperazione».
Contrariamente a quanto siamo propensi a credere, e cioè che la Puglia guardi più al Sud del Mediterraneo, si scopre invero una realtà tutta proiettata ad Est, all’inizio concentrata sulla realtà albanese e oggi intenta a tessere un ampio ricamo di rapporti con la realtà ex jugoslava. Al punto che alla mente torna il grande interrogativo lanciato da Predrag Matvejevic nel suo “Breviario Mediterraneo”: l’Adriatico è un mare o un golfo?
Mauro Manzin
“Il Piccolo” 25 settembre 2012