Moriva 7 anni fa a Roma Valentino Zeichen, poeta e scrittore esule fiumano, le cui opere furono apprezzate dalla critica ma non ottennero la vasta conoscenza che avrebbero meritato presso il grande pubblico. Il Comitato provinciale di Roma dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia ha quindi organizzato presso la Casa del Ricordo giovedì 22 giugno un appuntamento in cui ha coinvolto Diego Zandel, scrittore e grande amico di Zeichen, e Lucilla Bonavita, autrice del saggio Valentino Zeichen: un uomo, un poeta. Voci polifoniche nell’opera del poeta «ribelle» (Sinestesie, Avellino 2018).
Introducendo la serata, la professoressa Donatella Schürzel (Presidente dell’Anvgd Roma) ha ricordato che di Zeichen era stata molto apprezzata la schiettezza, dovuta al fatto che non si faceva condizionare da ideologie e conformismi, esprimendosi con la massima libertà nei suoi componimenti. Impossibilitato a intervenire, il regista Nello Correale ha voluto inviare un messaggio in cui ha ricordato la «colloquialità morbida e corrosiva» che faceva apprezzare Zeichen nei più importanti salotti della capitale. Importante anche il saluto inviato dal Prof. Giulio Ferroni, il quale, avendo peraltro scritto la prefazione alla raccolta Mondadori delle poesie di Zeichen, ha evidenziato nei suoi componimenti un carattere aereo ed inafferrabile, attraverso il quale il poeta rivendicava la sua marginalità. L’esule fiumano, in effetti, conduceva una vita disagiata, in cui coltivava il suo spirito anarchico e la nostalgia per Fiume, la città della sua infanzia da cui fu strappato dall’esodo.
La professoressa Bonavita ha quindi ripercorso il suo rapporto personale con Zeichen, il quale le aveva chiesto di ricordarlo con una pubblicazione, che l’autrice ha poi elaborato mettendo in evidenza il carattere poliedrico della sua opera, in cui tuttavia prevalgono i temi legati alle donne, alla guerra ed ai ricordi dell’infanzia. Riguardo alle figure femminili, furono veramente importanti per lui la madre (morta di tubercolosi quando lui era ancora bambino) e la figlia Marta, che oggi segue il progetto che intende valorizzare quella che era stata la casa del poeta. Poeta che nella fase finale della sua vita scrisse anche il romanzo La sumera, esperimento di trasformazione della sua lirica in prosa ed in cui ripose invano la speranza di vincere il premio Strega 2015. Questo funambolo della letteratura sarebbe morto il 5 luglio 2016 nella Casa di cura Santa Lucia dopo una vita sobria (rifiutò anche la possibilità di ottenere il sussidio della Legge Bacchelli) e consacrata alla produzione letteraria con l’auspicio di lasciare ai giovani un messaggio di ribellione contro le ideologie ed i conformismi. L’ironia e la poesia fenomenologica che caratterizzarono la sua opera consentono un accostamento al grande poeta latino Marziale, mentre non ebbe buoni rapporti con la neoavanguardia a lui contemporanea.
Il maestro Mario Alberti con il flauto e la chitarra ha realizzato degli intermezzi musicali, ovvero ha accompagnato la lettura di alcune poesie di Zeichen, che è stato quindi ricordato con commozione da Diego Zandel, nato in campo profughi a Servigliano nelle Marche ma anche lui con origini fiumane: «Zeichen abitava in una baracca felliniana al Borghetto Flaminio e spesso lo andavo a trovare a pranzo, portando magari una bottiglia di vino. Al termine del pasto si trasfigurava e mi recitava a memoria le sue nuove poesie, con estrema enfasi e grande trasporto emotivo. Avrebbe potuto essere anche un grande attore, invece si limitò a qualche comparsata pubblicitaria» La sua economia di sussistenza si basava appunto su lavoretti di questi tipo, gettoni di presenza a conferenze o a serate culturali e sulla vendita dei collage che realizzava: «Era un monaco laico, indossava sempre un paio di sandali, ma aveva fascino con le donne». Non si faceva scrupoli ad esternare il suo odio per la Jugoslavia comunista che aveva distrutto il suo microcosmo di origine, ma chi lo definiva perciò un nazista era lontano anni luce dalla verità: «Zeichen era un sostenitore della causa israeliana ed aveva molti amici ed estimatori nella comunità ebraica romana» ha ancora puntualizzato Zandel.
«La madre morì di tubercolosi nel 1946, pochi giorni dopo avergli fatto per l’ultima volta visita in colonia a Cantrida – ha aggiunto la Bonavita – e quindi abbandonò la natia Abbazia solamente assieme al padre giardiniere. Dopo aver trovato un pessimo ambiente sia a Salsomaggiore sia a Parma, è a Roma nel 1950 che si sentirono finalmente bene accolti» Non sarebbe mai più tornato a Fiume, troppo era il rimpianto per ciò che era stato costretto ad abbandonare: «Io andavo spesso in Jugoslavia e a Fiume in particolare, alla fine mi disse che sarebbe voluto venire con me ma solamente ad Abbazia. Questo viaggio non siamo riusciti a farlo…» ha ricordato con commozione Zandel.
Lorenzo Salimbeni