Miei cari concittadini e amici del campo profughi caserma Ugo Botti, dal 1947 al 1952 ho vissuto insieme a voi, in mezzo ad una comunità che ha saputo resistere e superare infinite prove per ricostruirsi un futuro soltanto con la propria intelligenza e con il proprio onesto lavoro, sfidando le tante contrarietà e ingiustizie subite, senza protestare, senza scendere nelle piazze a spaccare vetrine oppure occupare abusivamente alloggi liberi di case sfitte.
Però in mezzo a questa comunità ho vissuto anche tanti momenti felici e spensierati. Siamo venuti qui a commemorare i sessanta anni del nostro esodo. Molti di noi sono già nel mondo della Verità. Rivolgiamo loro un filiale o un fraterno pensiero di imperituro affetto. Credo che il Padreterno abbia riservato un angolo di cielo per questi nostri cari dove un giorno potremo ritrovarli. Sono contento di essere stato in vostra compagnia a festeggiare questo anniversario e ricordare tanti momenti sereni vissuti insieme a voi.
Un sacerdote che noi tutti abbiamo conosciuto, don Mario, amico del nostro caro cappellano don Pio, un giorno disse: «Credo veramente che la gente istriana e dalmata dell’esodo rappresenti la parte più nobile dell’italianità di oggi. Il sacrificio che ha dovuto subire abbandonando tutto: case, terreni, affetti, memorie, la propria storia, le proprie radici per non perdere l’identità e rinunciare alla propria fede, è qualcosa di eroico.» Con queste parole chiudo il mio ricordo augurando a tutti voi un futuro ancora ricco di soddisfazioni, oltre che in buona salute, naturalmente. Grazie a tutti coloro che sono intervenuti e anche a coloro che hanno dovuto rinunciarci.
Tullio Tulliach