Un anno fa in questo periodo fervevano gli ultimi preparativi per il Ritorno alla Terra dei Padri, il viaggio che avrebbe condotto alcuni rappresentanti della comunità giuliano-dalmata di Fertilia (provincia di Sassari) fino in Istria, a bordo della barca Klizia.
Tale viaggio avrebbe fatto tappa anche a Ferrara e a Venezia, allo scopo di recuperare le radici di Fertilia, città di fondazione che il fascismo realizzò in Sardegna affidando a coloni ferraresi e veneti il compito di bonificare le circostanti paludi. Lo scoppio della Seconda guerra mondiale interruppe il progetto: la piccola comunità che aveva comunque preso possesso delle abitazioni realizzate dal regime si sarebbe ampliata dopo il conflitto grazie all’apporto di 53 famiglie di esuli istriani, fiumani e dalmati che salparono da Chioggia nella primavera del 1948 a bordo dei pescherecci con cui avevano abbandonato le proprie case nell’Adriatico orientale e raggiunsero la località vicino ad Alghero dopo aver circumnavigato la penisola italiana.
L’Ecomuseo Egea di Fertilia ricorda tale storia nella più ampia cornice di un allestimento museale dedicato all’Esodo giuliano-dalmata e con il viaggio del Ritorno alla Terra dei Padri, da cui sono stati tratti un libro scritto da Mauro Manca ed un film che è in lizza per partecipare al Festival del Cinema di Venezia, si è chiuso il cerchio. È stato ristabilito il collegamento con le terre di origine: Giulio Marongiu, comandante del Klizia, è per la prima volta tornato a Pola dopo averla abbandonata da bambino esule con la famiglia e la storia di Fertilia, città di accoglienza, inclusione e resilienza, è stata al centro dell’attenzione a Ferrara come a Venezia, a Trieste come a Gorizia, a Capodistria come a Pola, nonchè in tutte le località in cui il viaggio ha fatto tappa.
Klizia oggi è diventata il simbolo di questo viaggio a ritroso, ridando contestualmente lustro a quelle barche che veleggiarono dall’Adriatico alla Sardegna: «In questa fotografia degli anni Novanta si può vedere il relitto della Buona Speranza, uno degli scafi giunti da Chioggia nel 1948, con a bordo diverse famiglie di pescatori istriani, ormai completamente distrutta dal tempo e dal peso dei rifiuti e della vegetazione che per anni la hanno avvolta – racconta Mauro Manca, Direttore dell’Ecomuseo Egea – I resti dello scafo, gettati in discarica da parte dell’ERSAT (Ente per la Ricerca e l’Assistenza Tecnica in Agricoltura) ricordano la fine dell’avventura della flotta peschereccia di Fertilia»
Ma all’interno dell’Ecomuseo c’è ancora un tassello di quell’epico viaggio, rappresentato da una batana, la piccola imbarcazione a remi istriana che veniva usata per la pesca sotto costa: trainata all’epoca da un peschereccio, apparteneva ai fratelli Barison da Orsera e dopo la loro scomparsa è stata custodita dal Circolo del Mare, che ne ha poi fatto dono al museo intitolato ad Egea Haffner, la bambina con la valigia raffigurata nella fotografia diventata ormai icona dell’esodo giuliano-dalmata. [LS]