Il Comitato provinciale di Milano dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, insieme alla Federazione delle Associazioni degli Esuli istriani, fiumani e dalmati ed al Comune di Milano, ha articolato in tre momenti le celebrazioni del Giorno del Ricordo 2024 nel capoluogo lombardo.
Giovedì 8 febbraio è stata inaugurata la mostra “Tu lascerai ogni cosa diletta più caramente. L’esilio dei giuliano-dalmati alla fine del secondo conflitto mondiale”, allestita nella Sala degli Arazzi di Palazzo Marino, sede dell’amministrazione comunale. Sono intervenute la Presidente del Consiglio Comunale Elena Buscemi e l’esule istriana Anna Maria Crasti, la quale ha illustrato la mostra ai molti Consiglieri comunali presenti.
Sabato 10 febbraio, Giorno del Ricordo, alla presenza del Sindaco di Milano Giuseppe Sala, che ha ricordato con toccanti parole gli uccisi dai titini e la tragedia dell’esodo, del Presidente del Comitato ANVGD di Milano Claudio Giraldi, di autorità civili e militari, sono state deposte due corone al Monumento ai Martiri delle foibe e dell’Esodo in Piazza Repubblica. Per l’ANVGD di Milano Barbara Tarticchio ha letto alcune righe scritte dal padre Piero, esule e testimone delle stragi delle foibe, che ha anche progettato il monumento (finanziato dalla Fondazione Bracco) davanti al quale si è svolta la cerimonia. Il “Silenzio” ha concluso l’affollata sentita cerimonia.
Discorso tenuto dal Sindaco di Milano, Giuseppe Sala:
Fare memoria delle ferite e delle tragedie provocate dai nazionalismi e dall’odio è importantissimo per la nostra città. Maggiore è la condivisione del ricordo delle sofferenze e delle cause che l’hanno provocato, più salde sono le basi della convivenza, e migliori le prospettive per un futuro di pace, libertà e giustizia.
Questa visione ci riunisce oggi, in occasione del Giorno del Ricordo, davanti al più significativo monumento alle vittime delle Foibe e all’esodo degli italiani dalla Venezia Giulia e dalla Dalmazia realizzato in Italia.
Grazie ancora alle associazioni degli esuli istriani, fiumani e dalmati, al presidente del comitato pro-monumento Romano Cramer e al suo ideatore Piero Tarticchio per il loro impegno nella progettazione di questa lapide. Sono passati circa di 3 anni e mezzo dalla sua inaugurazione qui in piazza Repubblica, in quella che una volta si chiamava piazzale Fiume, ed è ancora estremamente viva l’emozione per questo lembo d’Istria e Dalmazia, arrivato a Milano dopo un’attesa durata troppi anni. Grazie a quest’opera la nostra città commemora il sacrificio degli italiani dell’Adriatico orientale, per non dimenticare un orrore che pesa ancora sulle coscienze di tutti.
La commemorazione di oggi ha ancora più significato perché nel 2024 ricorre il ventesimo anniversario dell’istituzione del Giorno del Ricordo. Una solennità con cui l’Italia fa i conti con una tragedia a lungo negata. Un momento in cui le istituzioni e ogni parte politica hanno il dovere morale e civile di commemorare il sacrificio di migliaia di italiani e degli esuli dalla Venezia Giulia, dall’Istria, da Fiume e dalla Dalmazia, con la stessa unità mostrata nell’approvazione del Giorno del Ricordo o nella costruzione di questo monumento.
Gli orrori delle Foibe sono una macchia indelebile della nostra storia. Per questo è fondamentale ricordare e tramandare al fine di scongiurare sia l’odio che il negazionismo, mali che abbiamo il dovere di estirpare. Una necessità ancora più avvertita in questa epoca di emergenze e di guerre.
La violenza etnica subita dagli italiani residenti in Venezia Giulia, così come in Dalmazia, è stata una tragica conseguenza delle ideologie nazionalistiche e razziste propagate dai regimi dittatoriali, responsabili del secondo conflitto mondiale e dei drammi che ne seguirono, come ricordò Carlo Azeglio Ciampi nella prima commemorazione del Giorno del Ricordo. L’odio, la sopraffazione e la violenza citati dal Capo dello Stato sembravano essere stati sconfitti grazie al lungo periodo di pace vissuto dopo la sconfitta del nazifascismo, quantomeno in Italia e nell’Europa occidentale. Purtroppo però questa convinzione, illusoria se paragonata a quanto accadeva nel resto del mondo, s’è dissolta con l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia.
Da due anni un popolo nostro amico sta rivivendo le tragedie che gli italiani e gli europei avevano vissuto nel Novecento, a causa di altre intollerabili ideologie di sopraffazione. Milano, in coerenza con la sua storia di città Medaglia d’Oro della Resistenza, dirà sempre no a chi vuole schiacciare altri popoli, perché l’unica via verso il progresso dell’umanità è il dialogo, la condivisione, lo scambio e l’anelito verso la fratellanza.
Questa consapevolezza è figlia delle sofferenze vissute da comunità che hanno deciso di diventare milanesi, sviluppando il nostro patrimonio valoriale e rendendo sempre più convinto il nostro umanesimo e il nostro spirito d’accoglienza. Tanti dei 350 mila esuli dell’Adriatico orientale hanno ritrovato qui e in Lombardia una nuova casa, ed è anche per ringraziare queste persone che ogni anno Milano commemora il Giorno del Ricordo con convinzione.
Il dolore delle famiglie che avevano subito la tragedia delle foibe e il dramma di chi era stato costretto ad abbandonare la propria casa e il proprio lavoro per evitare le persecuzioni del regime di Tito spero siano stati leniti dall’accoglienza riservata loro da istituzioni e società civile.
È con questa certezza che oggi Milano fa memoria della tragedia delle foibe, con l’auspicio che nessun essere umano viva più questi drammi, e con l’obiettivo di rendere sempre più diffusa un’idea di società basata su diritti, apertura e tolleranza, in grado di portare progresso ed equità in ogni parte del mondo.
A seguire presso la Sala Alessi di Palazzo Marino si è svolta una conferenza cui sono intervenuti l’Assessora Elena Grandi per il Consiglio Comunale di Milano, l’Assessore Romano La Russa per la Regione Lombardia, Claudio Giraldi per ANVGD di Milano ed Anna Maria Crasti per FederEsuli. Tra il pubblico vi erano il Ministro Daniela Santanché, l’Onorevole Andrea Mascaretti, il consigliere regionale Christian Garavaglia, autorità civili e militari.
Il giornalista e scrittore Dario Fertilio ha tenuto un intervento di cui riportiamo alcuni passaggi particolarmente interessanti.
Che cos’è un genocidio? Secondo la formula dell’Onu, è la soppressione intenzionale di un gruppo nazionale, etnico o religioso. La legge francese aggiunge: o di una classe sociale. In questi termini, la pulizia etnica commessa dai partigiani comunisti di Tito negli anni Quaranta nei confronti degli italiani di Istria, Fiume, Quarnero e Dalmazia, con 15-30 mila vittime, e con l’esodo successivo di 250.000-350.000 persone, può anche essere chiamata genocidio. Ma, al di là delle definizioni, le radici di quell’odio risalivano a prima della Seconda guerra mondiale, e affondavano nella mitologia nazionalistica serba, teorizzata fin dagli anni trenta e iniettata in seguito nel regime totalitario comunista jugoslavo. Le efferatezze di quegli anni, commesse anche ai danni di sloveni, croati e degli stessi serbi non comunisti, vanno dunque inquadrate in quella ideologia nazicomunista che sarebbe esplosa di nuovo, nel corso della guerra 91′-95′ che portò alla dissoluzione della Jugoslavia, e che rivive oggi nelle azioni delittuose della Russia di Putin.
Non si trattò dunque soltanto di vendette personali, rappresaglie politiche e militari, e odio per la lingua e cultura italiane, ma di un progetto “scientifico” messo in atto secondo una prassi totalitaria che annientava preventivamente tutti i possibili critici e dissidenti..
Il silenzio che seguì in Italia fu dovuto a varie cause: rimozione della sconfitta, censura e boicottaggio del Partito Comunista che voleva accreditarsi come patriottico, pressioni internazionali legate al ruolo “eretico” assunto da Tito nei confronti di Stalin, e impreparazione culturale ad affrontare l’ideologia nazicomunista di Tito. Oggi è tempo di denunciarla, e, oltre ad onorare la memoria delle vittime e degli esuli, di chiedere con forza i riconoscimenti dovuti. Dall’Italia, con una legge di interesse permanente per esuli e rimasti e con una legge sull’equo e definitivo indennizzo per chi ha perduto i suoi beni. Dalla Croazia, con lo sblocco dei “soldi di Osimo” dovuti ancora dalla Jugoslavia; e con l’attuazione dell’accordo Dini-Granić sulla toponomastica in lingua italiana, nelle città e regioni dove la cultura italiana è autoctona e ambientale.
[rassegna a cura di Lorenzo Salimbeni]