L’analisi storica accurata, prese di posizione politiche inequivocabili, le emozioni delle testimonianze: il Quirinale, “la casa degli italiani”, ha fatto da cornice ad una cerimonia istituzionale del Giorno del Ricordo 2025 davvero significativa e che sicuramente consolida il percorso di consapevolezza che l’opinione pubblica nazionale sta compiendo riguardo le vicende della frontiera adriatica.
La cerimonia vede la partecipazione delle massime cariche dello Stato (il Presidente del Senato della Repubblica, Ignazio La Russa, il Presidente del Consiglio dei Ministri, Giorgia Meloni, il Presidente della Corte Costituzionale, Giovanni Amoroso, il Vice Presidente della Camera dei deputati, Giorgio Mulè) nonché di esponenti del Governo, del Parlamento ed autorità civili, che hanno così confermato la crescente sensibilità che c’è attorno al Giorno del Ricordo ed alle Associazioni degli Esuli.
La strage di Vergarolla nella testimonianza di Claudio Bronzin raccolta da Greta Sclaunich nel suo libro “Le foibe spiegate ai ragazzi” ha portato immediatamente la cerimonia nel cuore degli eventi, in una delle pagine più sanguinose e meno note della storia dell’Italia repubblicana. A quella tragica domenica 18 agosto 1946 ha fatto poi riferimento anche Davide Rossi (Vicepresidente FederEsuli), auspicando un ulteriore riconoscimento per il «silenzioso ed umanissimo eroismo» di Geppino Micheletti, il chirurgo che continuò ad operare i feriti dell’attentato dinamitardo pur sapendo che tra le oltre 100 vittime c’erano i suoi due figli. Il docente dell’Università di Trieste ha poi ricordato i vari anniversari (1915 entrata dell’Italia nella Prima guerra mondiale, 1945 fine della Seconda guerra mondiale e seconda ondata di stragi nelle foibe, 1975 Trattato di Osimo) del 2025, che invece resterà agli annali per Nova Gorica e Gorizia «nella comune designazione a Capitale europea della Cultura: una piazza ha sostituito un nefasto muro». Ma oltre alle pagine di storia, ci sono questioni ancora aperte, come il riconoscimento del martirio patito da Zara sotto i bombardamenti, l’individuazione di strumenti tecnici e giuridici con cui risolvere gli indennizzi per i beni abbandonati dagli esuli «con cui si sono illegittimamente pagati i debiti di guerra» e la costituzione di una Fondazione «con cui perpetuare l’azione in difesa dei diritti e delle aspirazioni sociali e culturali della gente giuliano-dalmata». Per queste ed altre problematiche è stata auspicata la riunione del «Tavolo di Coordinamento Governo-Esuli da tempo non convocato, che sarebbe utile anche per sciogliere problemi anagrafici che purtroppo ancora ricorrono».
Egidio Ivetic insegna Storia Moderna all’università di Padova, è nato a Pola ed ha una conoscenza della storia della frontiera adriatica che va molto a ritroso nel tempo: «Il dualismo litorale/entroterra ha distinto l’alto Adriatico da sempre. Per capirlo, si deve considerare il Golfo di Venezia sin dall’antichità: un mare che univa e integrava le sponde rispetto agli entroterra. […] La logica tutta moderna dell’omologazione nazionale dei territori ha ovviamente travolto gli equilibri sedimentati da secoli tra le popolazioni istriano-venete e slave». La nazionalizzazione delle masse creò linee di frattura che le politiche fasciste avrebbero esasperato e sarebbero esplose con l’irruzione della dittatura comunista di Tito, le stragi delle foibe e la carneficina di Vergarolla («Bisogna ricordare Vergarolla ogni anno. Mai nella storia bimillenaria di questa città ci fu una strage del genere, ci fu tanto orrore»). Ivetic, denunciando l’oblio in cui sono cadute queste pagine di storia patria, ha evidenziato che «in Istria, fino al Novecento, la storia non registra ostilità tra le diverse comunità; non ci fu una guerra per oltre trecento anni. Gli esiti politici e sociali del 1947 rispetto a tale passato sono di per sé eccezionali e traumatici». Pola, Fiume e Zara rappresentano quindi «città spezzate», fra la nostalgia degli esuli e «il non radicamento di chi ha occupato le case abbandonate». Tuttavia nell’Euroregione adriatico-jonica si riscontrano strategie integrative che fanno ben sperare per il futuro.
Gli intermezzi musicali dell’orchestra d’archi del conservatorio Giuseppe Tartini di Trieste hanno introdotto la lettura di altre pagine di “Le foibe spiegate ai ragazzi”, con il commovente ricordo di un bimbo istriano che trascorse un gelido inverno in un campo profughi sul Carso triestino, e testimonianze dirette, in primis quella di Egea Haffner. Lei è “la bambina con la valigia” dell’iconica fotografia e protagonista di una fiction RAI di cui è stato proiettato il trailer prima dell’intervento dell’esule polesana, la quale ha ricordato con profonda emozione e commuovendo tutti i presenti non solo le difficoltà dell’abbandono della propria terra e del reinserimento nel tessuto sociale italiano, ma anche il trauma di una bambina che una sera di maggio del 1945 vide portare via suo padre dagli agenti dell’OZNA, la polizia segreta di Tito, ed ancora oggi non sa che fine abbia fatto. Esule da Pola è anche Giulio Marongiu, il quale a 77 anni dall’esodo torna per la prima volta nella città dell’arena compiendo un viaggio a ritroso in barca, raccontato nel docufilm “Ritorno alla terra dei padri”, partendo da Fertilia, luogo di accoglienza, resilienza e rinascita per decine di famiglie istriane: «Ciò che il passato ha diviso, con tanta sofferenza, noi dobbiamo riunirlo per chi verrà dopo di noi. Seguendo l’esempio che Lei, Presidente Mattarella, ci ha dato alla Foiba di Basovizza, in quella immagine che rimarrà un simbolo per tutti noi».
Di buoni rapporti con Slovenia e Croazia nell’ambito delle istituzioni europee ed atlantiche ha parlato il Vicepresidente del Consiglio e Ministro degli Esteri Antonio Tajani, il quale ha severamente condannato il fanatismo ideologico che pochi giorni prima aveva oltraggiato con scritte indegne il Monumento nazionale della foiba di Basovizza: un gesto isolato al quale si è contrapposta la commozione che si respirava in Piazza Transalpina all’inaugurazione di Nova Gorica e Gorizia Capitale Europea della Cultura transfrontaliera. Le foibe sono state quindi indicate come un’operazione di «pulizia etnica compiuta nel nome del nazionalismo esasperato e del comunismo» che ha colpito civili inermi e innocenti, molti dei quali antifascisti, e anche tante donne perseguitate in quanto parenti o amiche di obiettivi della repressione titina, come Norma Cossetto, le sorelle Radecchi o Giuseppina e Alice Abbà, madre e figlia. Episodi simili rappresentano un «monito verso la guerra e l’odio interetnico» mentre oggi il compito delle istituzioni italiane è quello di salvaguardare la tradizione millenaria della comunità italiana autoctona nell’Adriatico orientale.
Ancora una volta il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella si è accostato con sensibilità e attenzione alla storia e al presente della frontiera adriatica, denunciando i totalitarismi che si sono succeduti nel Novecento, dalla politica segregazionista fascista nei confronti degli slavi alla dittatura comunista di Tito passando per l’occupazione nazista. Le foibe in particolare sono state indicate come il «simbolo più tetro della furia omicida dei comunisti jugoslavi» che compirono due ondate di stragi, dopo le quali la quasi totalità degli italiani fece la drammatica scelta dell’esilio per non rinunciare alla propria identità, ma trovando spesso in Italia «accoglienza fredda, diffidenza e ostilità da quei partiti che si richiamavano alla stessa ideologia di Tito». Il mancato riconoscimento di queste tragedie rappresentò una pena dolorosa ed il Giorno del Ricordo è stato istituito proprio per riconnettere pagine di storia senza riprendere divisioni e rancori, come le parole di pacificazione pronunciate dagli esuli Egea e Giulio hanno confermato. Nella difficoltà di addivenire ad una memoria condivisa, il Capo dello Stato ha ricordato il lavoro portato avanti con il Presidente della Slovenia Borut Pahor nel nome del dialogo, del rispetto e della condivisione delle sofferenze in un percorso di reciproca comprensione. Mattarella ha quindi ringraziato le associazioni degli esuli per il loro contributo nella ricerca della verità storica e della concordia nell’odierna cornice europea, così come le associazioni delle minoranze hanno promosso incontri ed eventi che hanno creato i presupposti per addivenire a quello storico evento rappresentato da Nova Gorica Capitale Europea della Cultura in rappresentanza della Slovenia ma insieme a Gorizia.
Le sue parole hanno quindi evidenziato che proprio l’Unione Europea ha conseguito risultati impensabili andando a ricomporre lacerazioni profonde: un’intuizione che la classe dirigente degli esuli adriatici più attenta aveva colto fin dai primi anni dell’esilio, mentre le istituzioni comunitarie muovevano i primi passi. In tale contesto «le nuove generazioni trasformano le differenze in opportunità» ed è a loro che bisogna passare il testimone della speranza: «la Repubblica guarda con rispetto e solidarietà alle sofferenze» del popolo dell’Esodo mentre porta avanti una collaborazione sempre più stretta con Slovenia e Croazia nell’Unione Europea.
Lorenzo Salimbeni