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Le iridescenze della Rovigno di ieri nei versi di Libero Benussi (Voce del Popolo 02ago13)

Ama la natura, la poesia e la sua Rovigno, Libero Benussi, il quale, come dice il significato del suo nome – specie ora che si gode la quiescenza dopo quarant’anni di vita spesa nel mondo scolastico della CNI – cerca di vivere in libertà e in sintonia con la natura e con la sua dimensione umana più autentica. Una dimensione che si esprime in maniera multiforme tramite la poesia, la musica, la ricerca culturale, linguistica ed etnica, che riguarda il colorito microcosmo rovignese. Un piccolo universo che egli cerca di perpetuare tramandandolo alle giovani generazioni tramite scritti e poesie. Ultima in ordine di tempo la silloge “Verba Volant, scripta manent”, a cui è stato assegnato il Primo Premio a Istria Nobilissima 2013 per la poesia dialettale, con la seguente motivazione: “La Rovigno di un tempo, nelle sue sfaccettature, nella sua iridescenza di luci, colori e sapori, ma anche nel ricordo amaro e nostalgico del passato, costituisce la centralità di questa silloge in dialetto rovignese, riflette la realtà del microcosmo assediato”.

Vuole raccontarci la sua raccolta poetica, i contenuti, i tratti stilistici?

“Il lavoro s’intitola ‘Verba Volant, scripta manent’. Contiene dodici poesie il cui filo si presenta tematicamente vario. Nella prima poesia, il cui titolo è quello di tutta la raccolta, rilevo appunto che la pagina scritta rimane e, in questo caso, diventa testimonianza per le generazioni presenti e future. Nella seconda poesia rievoco il giocare alla guerra di noi ragazzini rovignesi, ancora a distanza di quindici anni dalla fine della Seconda guerra mondiale, tanto era ancora presente il ricordo del grande conflitto. Solo più tardi capii che la guerra era un’altra cosa, una realtà molto crudele e violenta, e non un gioco da ragazzi”.

“Continuo con la terza – prosegue lo scrittore – facendo riferimento alla ‘De vulgari eloquentia”, di Dante, in cui il Sommo poeta scrive della parlata degli istriani ‘che parlano con accento ferino’, mentre il prof. Antonio Miculian, a cui leggevo dei versi in rovignese, trovava che fosse un vernacolo molto musicale. Per noi il rovignese è il dialetto della vita vera, quotidiana, che esprime ciò che noi siamo; il modo in cui mangiamo il pesce con le mani o assaporiamo le ciliegie raccogliendole dall’albero… In un’altra lirica rievoco una vicenda tragica, la morte di una bimba di otto anni – la figlia del bidello –, che uscendo da scuola fu investita da un camion; ricordo il corpicino senza vita e lo sguardo fisso della morticina. Parlo ancora del mare, che io amo tanto, della sua pace e immensità, dello spirare della brezza, del rumore delle onde, mentre in un’altra poesia ricordo quando mio padre – io ero un ragazzino – mi affidò il comando della sua barca dicendomi che io affrontavo meglio le onde; per me fu il più bel ‘diploma’ che avessi potuto desiderare. Parlo poi dell’esodo e della nostra storia che non sempre è stata facile, prendendone a simbolo ‘le scarpe’, con le quali la nostra gente ha percorso tanti chilometri prendendo le tante vie del mondo; rifletto quindi sulla vita in generale e sulla caducità umana; sulla sorte degli istriani attraverso i secoli, trattati anche male dai vari padroni; delle limitazioni per noi, gente dell’Istria, rappresentate dagli innaturali confini. Concludo la silloge con una poesia dedicata alla mia professione e ai ricordi dei miei giorni scolastici.

Parliamo di dialetto rovignese e del suo “albero genealogico”

“Il rovignese è uno dei dialetti istrioti che si parlano oltre che a Rovigno, a Valle, Dignano e Gallesano. L’istriota è lingua romanza e deriva direttamente dal latino volgare. Attraverso i secoli si è differenziato a seconda dei luoghi, con espressioni e pronunce particolari; comunque dignanesi, rovignesi ecc… si comprendono a vicenda. È come il dialetto veneto, che a Verona viene parlato in un certo modo a Venezia in un altro, però sempre veneto è”.

Come vede il futuro dei dialetti istrioti?

“Il futuro non si presenta roseo. C’è sempre meno gente che li parlano. A ciò si aggiunge la corruzione linguistica – come succede del resto per la lingua italiana – con l’introduzione di parole inglesi, legate spesso alla nuova tecnologia, al computer (‘ti ghe ga mandà una mail?’), i neologismi legati alla politica e l’uso di parole dal croato connesse perlopiù alla quotidianità, agli uffici, a documenti, malattie ecc. Si stanno perdendo purtroppo i nomi e le espressioni legate ai vecchi mestieri, alla pesca, al mare, all’agricoltura. È tutto il modo di vivere e la vita sociale che tendono ad un uso di parole che non rientrano o non esistono nel vernacolo rovignese. I giovani tra di loro – a meno che non si tratti di rovignesi autentici – parlano in croato”.

Lei ama la natura, il mare ed ogni estate trascorre un certo tempo in campeggio in condizioni quasi da Robinson Crusoe: senz’acqua e senza luce…

“Sono cinquant’anni che ogni anno per un mese e mezzo faccio campeggio con la mia famiglia; a me piace così. Non ho molte pretese in quanto ad agi, ed è un modo per ritrovare una vita semplice, vera, per essere in contatto con la natura e con la gente. Amo parlare con i pescatori, collaborare e partecipare alla vita di comunità con gli altri, con gli amici che qui incontro…

L’ambiente naturale secondo lei viene tutelato abbastanza in Istria?

“A mio avviso no. Un danno notevole viene dal turismo, ossia dal grande flusso di persone che, nella maggior parte dei casi, non hanno una sensibilità e una cultura ambientalista, per cui spesso arrecano danni e disagio all’ambiente ed alla gente che vorrebbe poter usufruire di una natura decente”.

Quali sono per lei i valori non negoziabili?

“Un valore per me di base è il rispetto per le persone, per la loro lingua, cultura ed etnia. Mi piace rispettare ed essere rispettato. Purtroppo, anche a livello politico e sociale ciò spesso non avviene. Prendiamo il caso dell’Egitto, un paese bellissimo, che ho visitato, in cui si sta consumando una tragedia”.

L’onestà oggi ha senso?

“Considero l’onestà un valore imprescindibile; l’onestà prima di tutto, che sta pure alla base della mia vita famigliare. Purtroppo a volte gli onesti vengono presi per persone ingenue. Io ci tengo; mi piace andare a dormire tranquillo.

Lei come vede la società contemporanea? Dove sta andando?

“Come chimico, fisico e biologo sono dell’avviso che l’uomo contemporaneo non ce la fa. Sta andando incontro all’autodistruzione che credo sia impossibile arrestare. L’uomo sfrutta e viola la natura in maniera insensata a scopi economici e verrà il giorno in cui non troverà più le risorse per il sostentamento, insorgeranno nuove malattie e l’umanità non ce la farà più ad andare avanti. Prima o poi troverà un punto di non ritorno. È la mia opinione di persona di scienza”.

Come si spiega questa pazzia?

“L’uomo è l’unico animale che non ha nessun freno, non si ferma davanti a niente; è il più avido e vorace degli animali. Sfrutta, distrugge, uccide…E mica per bisogno! Mi spiega che ci fa un riccone con tutti i suoi miliardi? Che cosa ci fa, a cosa gli servono? È forse più felice di me? Tutti quegli zeri del conto in banca cosa gli portano? È un assurdo. Gli animali uccidono per sopravvivere. L’uomo no: lui arraffa, arraffa, arraffa. L’avidità umana è un tema del quale ho trattato più volte nelle mie poesie”.

Patrizia Venucci Merdžo su “la Voce del Popolo” del 2 agosto 2013

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