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Le patrie perdute di Tomizza (Il Gazzettino 22 mag)

di Ulderico Bernardi

Dieci anni sono trascorsi dalla morte di Fulvio Tomizza. Un convegno itinerante fra Trieste,Capodistria e Umago ricorderà il valore del grande scrittore, riflettendo sulle. Sue molte opere. Tante cose sono cambiate da allora nella sua terra natale. C`è aria di maggiore benessere, ma i tratti essenziali restano quelli incisi nelle pagine dei suoi libri.

L`Istria è un abecedario spalancato sulle culture. Nell`aria che odora di mare e di terra grossa scaldata dal sole.

Camminando per campagne silenziose vegliate da una chiesetta rustica, percorrendo calli cittadine e villaggi di pietra bianca, l’occhio alzato al campanile d’impronta veneta, ascoltando l’onda verde dell’Adriatico che spruzza i pini affacciati alla scogliera, un brusio di voci mescola dialetti e lingue differenti. Il fascino dell’Istria sta nelle sue diversità, qualche chilometro appena oltre la soglia di Trieste. Uno scenario estroso, scabro e armonico, dove le asprezze carsiche sfumano nella dolcezza delle doline coltivate con cura amorosa, e l’eleganza di umili architetture rurali rispecchia l’urbanità dei centri costieri. La malia di parlari mischiati, il vino schietto, l’olio, simbolo dorato della mediterraneità, il pescato fragrante. C’è più da imparare in un bicchiere di malvasia bevuto al banco di un’osteria istriana, immersi nella girandola di voci venete, croate, slovene, di Ciciarìa, che in un intero trattato sul valore dell’interculturalità. Un luogo di convivenze che ha patito, e talvolta subisce ancora, malvagi oltraggi.

Chi visita l’Istria compie un pellegrinaggio di memoria, per i molti segni di patrie perdute che questa terra conserva. Ma al tempo stesso avverte la percezione di camminare lungo la fresca via del mattino d’una umanità che avrà in orrore le prigioni, etniche o d’altro genere, mentre vive sommessamente ogni giorno la speranza tenace di aria nuova per le sue culture. La morte di Fulvio Tomizza ha costituito una perdita grave per l’Istria delle diversità. Nodo cruciale della sua ispirazione, vena memoriale che ha alimentato i battiti della sua feconda creatività, è stato il vincolo con l'Istria contadina, così prossima e così lontana dalle marine. Il paese natale di Fulvio è a mezzavia tra Buje, alta sulle colline, e Umago, affacciata all'Adriatico. I borghi tutto attorno sono stati sempre di lingua mista, parlata veneta e dialetto croato. Su di loro si sono abbattuti come cataclismi politici i nazionalismi: italiano, durante il regime fascista, croato con Tito e dopo. Dietro al furore ideologico hanno lasciato una scia di drammi umani, sofferenza, morte, sradicamenti di esuli.

Lacerando nel profondo l'anima di chi riconosceva la sua umanità nel conporsi delle due culture. Con modestia pari alla tenacia, Fulvio Tomizza s'impegnò a riscattare questa condizione. Muovendo dall’appartenenza locale guidava a riflettere sull'universalità della mescolanza. Della sua terra d'origine faceva il mondo. Nel cuore e nella mente, Tomizza ripercorreva il filo delle migrazioni che avevano ripopolato spesso la sua terra. Dopo le pesti, dopo tante scorrerie sanguinose del Turco nei domini veneziani di Dalmazia, Albania e Grecia. Illirici slavi, veneti, greci avevano rimpastato le loro vite, e costruito un'identità comunitaria che per consolidarsi aveva bisogno di stabilire "i confini con l'estraneità". Per la gente di questa manciata di villaggi, dove la vigna aveva preso il posto della macchia solo a prezzo di enormi fatiche e di fede messa alla prova, l'altro, le altre culture fondate su appartenenze definite da tempo, viveva ad un tiro di schioppo. Nella "cittadina di mare con l'intero filo azzurro che la lambisce", che gli sta davanti, e avendo alle spalle, "il centro urbano appollaiato sul primo dei colli che introduce in un territorio molto meno ospitale, tra gente ancora più sparsa, avventizia e tribolata". L'alto buiese slavo, il litorale di Umago, veneto, latino.

L'uomo di Materada partecipa, nello scambio, dell'uno e dell'altro. Parla "due dialetti intercambiabili tra loro e che per forza di cose tutti conoscono: in uno prevale il veneto, nell'altro lo sloveno-croato; ma esistono oggetti, animali, piante, atti, sensazioni, comandi, esortazioni, che impongono quel solo vocabolo e non un altro, sia esso italiano, croato, sloveno e perfino tedesco. Sulla frontiera tra impero veneziano, dei marcolini, e dominio asburgico, degli imperiali, il confronto e lo scambio non cessano mai, ma ciascuno si tiene stretta la sua sofferta identità, orgoglio e bisogno di un'appartenenza continuamente strattonata verso l'una o l'altra cultura dominante. Di tutto questo era perfettamente consapevole, nella sua vasta cultura di ricercatore e di curioso del mondo, Fulvio Tomizza. Su di ogni altra cosa deciso, man mano che veniva crescendo in età e in consapevolezza delle sue radici, di "non dover più scegliere tra le diverse e magari opposte componenti di sangue, di cultura, di mentalità, tentando piuttosto di accordarle, riconoscendole proprie di un uomo di frontiera, sentendole stimolanti anziché gravose".

Una scelta che "aveva ed ha un carattere prevalentemente morale e riparatore". Il migliore omaggio che si possa fare all’Istria e alla cara memoria di Fulvio Tomizza, restituito per sempre a Materada, è d'intendere la sua terra come tutta la Terra, e la cultura universale come universo di culture. Ciascuna degna di rispetto.

 

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