Prima di parlare delle vicende del Battaglione Zara, una breve introduzione sulle vicende jugoslave. Il 27 marzo 1941 viene deposto il principe reggente Paolo, fratello di Alessandro I – che era stato assassinato a Marsiglia nel 1934 – e zio del re Pietro II ancora minorenne. Per pochi giorni Pietro II eserciterà il potere, poi sarà costretto a lasciare il paese invaso dai tedeschi per rifugiarsi a Londra. Nel 1945, dopo la proclamazione della repubblica da parte di Tito, il giovane sovrano si recò in esilio negli Stati Uniti. Per effetto dell’invasione della Jugoslavia da parte della Germa¬nia assieme agli eserciti alleati, com¬preso quello italiano, la situazione precipita rapidamente; i confini ven¬gono chiusi e Zara, fino al 1947 italiana, rimane isolata. Le truppe presenti in città ammontavano a circa 7 mila uomini.
Dal 1° aprile era iniziato lo sgombero della popolazione civile, circa 12 mila persone verranno ospitate in gran parte nelle città marchigiane sull’altra sponda dell’Adriatico. Nella notte del 5 aprile, giunto l’ordine di mobilitazione, il Battaglione Zara si era attendato nei campi, pronto all’azione. Le truppe jugoslave, stima¬te nell’ordine di 18 mila uomini, avevamo iniziato a muovere verso la costa, ma la loro azione viene bloccata prima dalle incursioni aeree italiane, poi, dal 10 aprile, dalla fulminea avanzata tedesca. All’alba del 12 aprile le “Truppe Zara” aprono il fuoco e superano agevolmente il confine, senza incontrare resistenza. Lo scopo principale, oltre all’autodifesa, era quello di occupare la maggiore quantità possibile di territorio in vista di una rapida resa dell’esercito jugoslavo, che si verificherà infatti il 18 aprile. In conseguenza, verrà creato il Governatorato della Dalmazia, con poco più di 320 mila abitanti. La situazione rimane stabile per circa due anni, in quel periodo il Battaglione Zara parteciperà, assieme ad altri reparti bersaglieri che si avvicenderanno nei Balcani e alle forze germaniche, a continue azioni. Arriva l’8 settembre.
Il mattino seguente all’armistizio, le forze italiane ricevono l’ordine di ripiegare entro i confini della Dalmazia annessa. Il Battaglione Zara che si trovava fuori città in ricognizione, rien-trerà immediatamente. Vengono convocati ufficiali e sottufficiali per decidere le alternative: collaborare coi tedeschi o finire in campo di concentramento. Di resistere non se ne parla per l’eccessiva sproporzione di forze. Si giungerà tuttavia, dopo qualche giorno, ad un compromesso: gli italiani sarebbero rimasti come presidio della città, a difenderla soprattutto contro la reazione e le mire annessionistiche degli “ustascia” croati, aizzati anche dalla promessa di Hitler di cedere Zara alla Croazia. Inoltre, anche i tedeschi avevano i loro problemi, trovandosi soli a presidiare una vasta regione caratterizzata dalla forte presenza partigiana. Con una lenta ma inesorabile emorragia, i reparti cittadini perdono via via uomini, alcuni avviati in Germania, altri scappati tra i partigiani o in fuga verso le proprie case in Venezia Giulia. Nell’autunno del 1943 iniziano i micidiali bombardamenti alleati, in tutto se ne conteranno 54, un numero enorme se si pensa che la città non rivestiva alcuna importanza strategica. Il 4 gennaio 1944, quel che rimaneva del battaglione, circa 200 uomini, viene trasferito a Trieste per andare ad inquadrarsi nell’esercito della Rsi; quei pochi che hanno voluto restare a tutti i costi vengono accerchiati, disarmati ed inoltrati verso varie località limitrofe per essere impiegati come forza-lavoro dai tedeschi. Il 31 ottobre 1944 i partigiani occupano Zara: “iniziarono allora – scrive Ricciardi – gli eccidi con diversi metodi: i più comuni la fucilazione e l’annegamento in mare.
Molti furono imprigionati e una buona parte di essi continuò a morire negli anni successivi”. La testimonianza di Rino Mioni è particolarmente interessante sia per la varietà delle situazioni sia perché è un esempio del differente comportamento tenuto dai tedeschi delle forze armate regolari e delle S.S., e dagli jugoslavi, in particolare gli sloveni. L’8 settembre 1943, racconta Mioni, il Battaglione Zara si trovava a presidiare la località di Zaravechia, in croato Biograd: per sua sfortuna proprio quel giorno rientrava dalla licenza: “Il 9 settembre rientrai al Battaglione, già c’erano i parti¬giani di Tito a parlamentare con il nostro Comando perché volevano le armi nostre. La richiesta dei partigiani non è stata accettata malgrado le minacce. È arrivata poi una colonna di automezzi da Zara e siamo tornati con le nostre armi in città, festeggiati dagli zaratini”. Il generale Ricciardi descrive le vicissitudini di Mioni prigioniero dei tedeschi. Sulla costa a nord di Sebenico si troverà sotto la sorveglianza di un anziano militare che nel corso della Prima guerra mondiale era stato prigioniero degli italiani che lo avevano trattato bene. Fino a quando era rimasto sotto il controllo della Wehermacht, le condizioni erano rimaste accettabili; diversa la situazione quando Mioni e altri bersaglieri verranno presi in consegna dalle SS. Le percosse e i mal¬trattamenti erano all’ordine del giorno. Poi inizia la ritirata dei tedeschi dalla Dalmazia con al seguito i prigio¬nieri italiani.
Così continua il racconto di Mioni: “Ormai la ritirata era continua, anche 40 km di strada al giorno. La strada era piena di soldati tedeschi e loro alleati. Giunti alla periferia di Zagabria venimmo sistemati in baracche su una collina. La città era tutta illuminata in quanto considerata “città aperta”. Ma la sera successiva i bagliori delle cannonate si avvicinavano a Zagabria. Con altri italiani decidemmo di fuggire e, elusa la sorveglianza delle sentinelle, ci ritrovammo in strada con una moltitudine di italiani. Ad un bivio la gendarmeria tedesca ci indicò, senza considerarci, la strada per l’Italia”. Mioni assieme ad altri bersaglieri riesce ad arrivare a Postumia, località allora italiana e sotto occupazione jugoslava. “Entrando a Postumia si vedevano prigionieri impiegati per lo sgombero di macerie. Ci condussero ad un comando “partigiano” dove uno per uno, con modi bruschi, fummo sottoposti ad interrogatorio circa il reparto di apparte-nenza. il precedente impiego, la collaborazione e la prigionia con i Tedeschi. Era una beffa, erano sloveni, giovani di 17-18 anni, che volevano sfogarsi dell’odio che avevano verso di noi”. Lo scorso 18 marzo, è venuto a mancare a Bologna, dove si era stabilito nel dopoguerra, il professor Bruno Raccamarich, reduce ed ultimo ufficiale del Battaglione Zara. Era nato nell’isola dalmata di Pago nel 1920.
Aldo Viroli
“La Voce di Romagna” 11 giugno 2013
Chi sono i protagonisti
Dalla prigionia tedesca a quella jugoslava
C’erano anche diversi emiliano – romagnoli tra gli appartenenti al Battaglione Bersaglieri Zara, che dopo l’8 settembre 1943 avranno la sventura di cadere prigionieri dei tedeschi, alcuni in seguito anche delle forze partigiane del maresciallo Tito, tanto da finire internati nel tristemente noto campo di concentramento di Bo-rovnica, a metà strada tra Postumia e Lubiana. Le vicende del Battaglione Zara sono state raccontate in “Studi storico – militari”, pubblicazione dell’Ufficio storico dello Stato Maggiore dell’Esercito, dal generale Elio Ricciardi che si è avvalso anche del diario del reduce Rino Mioni, che vive a Padova e che da sempre cura i rapporti con gli ex commilitoni anche per quan¬to riguarda l’organizzazione dei raduni. Mioni ha vissuto l’esperienza di Borovnica; pesava 80 chili, al momento della liberazione appena 43. Il generale Ricciardi, dal 1984 al 1987 comandante del Distretto mi¬litare di Forlì, nonché comandante militare per le province di Forlì e Ravenna, ha avuto modo di consegnare numerose Croci di guerra al merito a ex combattenti. Una buona parte di loro aveva combattuto in Dalmazia e Venezia Giulia; la grande maggioranza dei decorati, conversando con Ricciardi, aveva dichiarato di aver evitato di passare con i partigiani jugoslavi dopo l’8 settembre per non tradire quanto fatto allora.