L’eccidio di Porzus (febbraio 1945): fatti, contesti ed interpretazioni

Il Comitato provinciale di Milano dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia comunica che giovedì 7 marzo alle ore 17:00, in diretta sulla pagina Facebook ANVGD di Milano. Per far conoscere e tramandare la storia della Venezia Giulia, e in differita dal giorno successivo sul canale YouTube ANVGD Comitato di Milano, in collaborazione con ANPC (Associazione Nazionale Partigiani Cristiani), il prof. MAURIZIO  GENTILINI, Ricercatore dell’ Istituto Di Storia dell’Europa Mediterranea del CNR, ed il dottor ROBERTO VOLPETTI, Presidente dell’Associazione Partigiani Osoppo, parleranno di:
L’ECCIDIO DI PORZUS (febbraio 1945)
FATTI, CONTESTI E INTERPRETAZIONI 
All’indomani dell’armistizio dell’8 settembre 1943, l’area del Friuli Venezia Giulia, così come l’Istria e Fiume, passarono sotto le dirette dipendenze dell’autorità tedesca, divenendo la Zona d’Operazioni del Litorale Adriatico per la presenza in quest’area delle combattive formazioni partigiane slave del IX Corpo sloveno.
Assieme all’Esercito Popolare di Liberazione Jugoslavo, stavano formandosi due formazioni italiane partigiane: la Divisione Garibaldi Natisone, costituita prevalentemente da militanti comunisti, e la Brigata Osoppo Friuli, con componenti di ispirazione monarchica, repubblicana, democratica, azionista, socialista e laica, decisi a continuare la guerra contro i Tedeschi.
Tenendo fede alle aspirazioni di Tito, per altro già rivendicate almeno fin dal 1941, la nascente Jugoslavia avrebbe dovuto annettere, a fine guerra, tutti i territori italiani al di là del Fiume Isonzo, ovvero tutto il Friuli Venezia Giulia, Trieste e Gorizia, l’Istria e la Dalmazia: tutte concessioni che, il 17 ottobre 1944, furono appoggiate dal futuro leader del Partito Comunista Italiano Palmiro Togliatti, in un incontro personale a Roma con Edvard Kardelj, braccio destro di Tito.
Lo stesso Togliatti, ebbe a scrivere che sarebbe stato “un fatto positivo, di cui dobbiamo rallegrarci e che in tutti i modi dobbiamo favorire, la occupazione della regione giuliana da parte delle truppe del Maresciallo Tito”.
La Divisione Garibaldi Natisone passò immediatamente alle nuove dipendenze, venendo schierata in Slovenia a combattere i Tedeschi, facendo ritorno in Italia solo nel maggio 1945.
Il comando della Brigata Osoppo, invece, si oppose fin da subito, volendo rimanere agli ordini e alle dipendenze del Comitato di Liberazione Nazionale.
Già nel gennaio 1945 cominciarono a verificarsi degli incidenti ai danni dei partigiani osovani: il 16, tre di essi, mentre si trovavano in un presidio a Taipana, furono sequestrati e uccisi da partigiani jugoslavi.
Il comandante De Gregori lanciò un grido di allarme ai suoi superiori, rimanendo però inascoltato.
Poco meno di un mese dopo, il 6 febbraio 1945 venne organizzata l’azione contro tutta la Brigata: agli ordini di Mario Toffanin, la 1ª Brigata GAP entrò in contatto con la Osoppo con l’intento di annientarla.
Avvicinati con l’inganno (venne usato lo stratagemma che si trattasse di un gruppo di sbandati che fuggivano dai Tedeschi), gli Osovani, ignari, vennero fatti prigionieri. La stessa sorte toccò a Francesco De Gregori. Tutti gli appartenenti alla Brigata Osoppo vennero così inizialmente scortati al comando garibaldino e interrogati, non prima di essere stati costretti a consegnare le armi: almeno uno di essi, il giovane Giovanni Comin, venne ucciso nelle fasi iniziali mentre tentava la fuga. Degli altri non si saprà più niente.
Fu solo dopo la fine della guerra, in una serie interminabile di processi, che l’eccidio venne ricostruito. In tutto furono diciassette gli Osovani uccisi, tra cui lo stesso De Gregori.
Nelle giornate immediatamente successive, la locale sezione del PCI mise in circolazione la voce che l’eccidio fosse stata opera di forze nazi-fasciste.
I corpi degli uccisi vennero ritrovati il 21 giugno 1945 e, dopo essere stati pietosamente ricomposti, venne celebrato un rito funebre.
Le vicende dei processi che ne seguirono si protrassero fino all’11 luglio 1959, data in cui un decreto presidenziale di amnistia fece si che gli imputati, tra cui lo stesso Mario Toffanin, nel frattempo fuggito nella “sua” Jugoslavia, non scontassero neanche un giorno di carcere.
A memoria di tutto resta, però, la sentenza del 30 aprile 1954 che definì la strage “un atto tendente a porre una parte del territorio italiano sotto la sovranità jugoslava”. 
Claudio Giraldi
Presidente del Comitato provinciale ANVGD di Milano
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