Quello che sull’onda dell’avanzata degli Alleati avvenne in gran parte dell’Italia settentrionale nelle giornate a ridosso del 25 aprile 1945, con l’insurrezione ovvero con l’entrata nei grandi centri urbani delle formazioni partigiane operative nel territorio, a Trieste si verificò il 30 aprile.
Da poco fatto evadere dalle carceri cittadine, fu don Marzari a guidare il Comitato di Liberazione Nazionale di Trieste nel combattimento decisivo contro i tedeschi che nel capoluogo giuliano erano stati presenti per quasi due anni in maniera ancor più invasiva rispetto al resto dell’Italia che aveva fatto parte della Repubblica Sociale di Mussolini. Dopo l’8 settembre 1943, infatti, le province di Fiume, Pola, Lubiana, Gorizia, Udine e Trieste appunto erano state inglobate nella Zona di Operazioni Litorale Adriatico, un governatorato militare in cui i nazisti ed i loro collaborazionisti locali (soprattutto sloveni) volevano controllare direttamente le importanti vie di comunicazione con il Reich tedesco vero e proprio, come avveniva analogamente con la Zona di Operazioni delle Prealpi che si estendeva sulle province di Trento, Bolzano e Belluno. Nel comprensorio adriatico era inoltre operativa e bellicosa fin da subito la resistenza organizzata dai partigiani comunisti jugoslavi, i quali avevano ampliato il loro raggio d’azione dai confini del vecchio Regno di Jugoslavia sconfitto nel 1941 dalle truppe dell’Asse alle zone del confine orientale italiano in cui erano presenti comunità slovene e croate, con l’auspicio di future annessioni a guerra finita, anche laddove la maggioranza della popolazione risultava italiana.
Questa differenza sostanziale aveva inoltre provocato un regime repressivo particolarmente efferato da parte degli occupanti, incentrato sulla Risiera di San Sabba, luogo di tortura e prigionia oltre che di deportazione verso i campi di concentramento in Germania. Nell’ottica germanica, inoltre, tale settore non afferiva ai comandi militari che coordinavano le armate nella penisola italiana, bensì a quelli che gestivano le operazioni nei Balcani: da tutti i punti di vista l’italianità giuliana era sotto assedio e considerata avulsa dal contesto italiano.
Molto difficile fu quindi per il CLN triestino operare nei mesi della Resistenza, schiacciato tra le mire annessionistiche tedesche e jugoslave, ma era almeno riuscito ad infiltrare in maniera significativa la Guardia Civica. Si trattava di una formazione volontaria istituita dal podestà Pagnini che svolse compiti di polizia durante l’occupazione tedesca, ma i partigiani che vi si erano arruolati ebbero l’occasione di ricevere un addestramento per quanto basilare e poterono farsi trovare con le armi in pugno nel momento del bisogno. Fu così che la mattina del 30 aprile 1945 le sirene antiaeree suonarono in città non per annunciare un bombardamento, bensì per segnare l’inizio dell’insurrezione. Il CLN in città con i Volontari della Libertà e nelle periferie le formazioni partigiane slovene e comuniste (il Pci aveva riconosciuto l’egemonia jugoslava nella lotta di liberazione e ne condivideva i propositi espansionistici: Togliatti invitava ad accogliere a braccia aperte i liberatori jugoslavi) dettero battaglia ai tedeschi. Costoro minacciarono di far esplodere le infrastrutture del porto di Trieste, come sarebbe poi avvenuto a Fiume, se non avessero avuto via libera nella ritirata. Tale proposito non andò a buon fine grazie alla mediazione del Vescovo di Trieste e Capodistria, Antonio Santin, assurto al ruolo di defensor civitatis, sicché la sera del 30 aprile la città poteva considerarsi sotto controllo degli insorti mentre le residue truppe germaniche si erano asserragliate in alcune postazioni in attesa di arrendersi ad un esercito regolare, poiché sapevano che consegnarsi ai partigiani jugoslavi non avrebbe garantito il rispetto dei loro diritti di prigionieri di guerra.
La mattina del primo maggio giunse a termine quella che fu chiamata la corsa per Trieste: le truppe alleate provenienti dalla pianura veneta furono anticipate nel loro arrivo dalle avanguardie del IX Corpus dell’Esercito Popolare di Liberazione Nazionale della Jugoslavia, le quali esautorarono i vertici del CLN e presero il controllo della città dichiarando di fatto l’annessione alla nascente Jugoslavia comunista di Tito. Iniziarono quaranta giorni di nuova occupazione straniera, di deportazioni e di infoibamenti, di persecuzioni nei confronti anche dei partigiani italiani che si opponevano all’espansionismo titoista. Nelle altre città italiane la liberazione da parte degli angloamericani era caratterizzata dal coinvolgimento dei vertici partigiani nella nuova amministrazione e le foto mostrano la folla festeggiare sventolando tricolori: nella Venezia Giulia ciò non avvenne. Il 5 maggio 1945, anzi, una manifestazione patriottica fu repressa a fucilate dalle truppe jugoslave. Parlare di liberazione in queste condizioni è arduo, di fatto iniziò una nuova oppressione che sarebbe terminata il successivo 12 giugno.
Lorenzo Salimbeni