«Se vincono i comunisti, ci rimettono in galera. Se vincono i cattolici, ci mettono all’Indice. Se vincono i liberali, ci mettono da parte come un gruppo di pazzi». Leo Valiani non era ottimista sulla sorte degli azionisti come lui nell’Italia postbellica. E lo scriveva a Benedetto Croce, rivendicando la sua appartenenza a una corrente intellettuale eretica, in una lettera citata ieri da David Bidussa durante un incontro milanese sulla figura del grande combattente antifascista.
Eppure Valiani, nato a Fiume cento anni fa sotto gli Asburgo con il cognome Weiczen (poi italianizzato), non fu soltanto un militante politico, prima comunista, poi azionista, quindi radicale, infine senatore a vita iscritto al gruppo repubblicano dal 1980 in poi. Fu anche funzionario e dirigente di banca per molti anni.
Appunto le carte concernenti questa sua attività professionale sono state presentate ieri presso l’Archivio storico di Intesa Sanpaolo, che ne è il depositario (i documenti del suo impegno politico sono distanti pochi passi, alla Fondazione Feltrinelli), con la partecipazione di diversi studiosi.
Il primo relatore, Guido Montanari, ha precisato che Valiani cominciò a lavorare per la Banca Commerciale Italiana di Raffaele Mattioli nel 1949. E per suo conto girò il mondo, dalla Bulgaria all’India passando per l’Iran, sfruttando le sue doti di poliglotta. Quindi si occupò delle attività culturali della Comit e nel 1984 si adoperò per costituirne l’archivio storico, primo nucleo di quello di Intesa Sanpaolo, la cui direttrice Francesca Pino ha ricordato come fu proprio Valiani che, attraverso ripetute pressioni, la convinse ad accettare un compito così impegnativo.
Altri interventi hanno permesso di misurare la vastità degli interessi di Valiani e la sua ferma coerenza, sottolineata in particolare dal biografo Andrea Ricciardi, nel perseguire gli ideali di libertà e giustizia sociale che ne avevano ispirato sin da ragazzo le battaglie politiche. Per esempio Manuela Albertone, docente dell’ateneo di Torino, ha ripercorso le tappe del suo dialogo con un altro ex azionista, Alessandro Galante Garrone, sul pensiero settecentesco e le radici illuministe del socialismo. Mentre Sandro Gerbi ha posto in rilievo la preoccupazione di Valiani per la corruzione (anzi, lui diceva «corruttela») dilagante nella società italiana, citando un suo articolo sul «Corriere della sera» di parecchi anni fa, ma ancora molto attuale.
Infine un paio di curiosità. Franco Fantoni, curatore del carteggio tra Valiani e Aldo Garosci edito da Franco Angeli con il titolo L’impegno e la ragione , ha rievocato il timore dello stesso Valiani che il suo passato di cospiratore pregiudicasse le sue missioni all’estero per la Comit. E Marino Viganò ha ricordato un’intervista in cui il senatore a vita gli riferì che il Partito d’Azione aveva dato il contributo militare maggiore all’insurrezione di Milano nell’aprile del 1945. Ma solo perché sotto le sue bandiere si erano posti allora i militi della Guardia di finanza.
Antonio Carioti