Proponiamo il calendario degli usi e dei costumi osservati in alcune località della penisola istriana nel periodo che va da Sant’Andrea (30 novembre) all’Epifania (6 gennaio)
Un Avvento 2020 indubbiamente diverso rispetto agli anni passati, fortemente condizionato dalla pandemia da Covid-19, che in certo qual modo ha tirato il freno allo spirito consumistico, particolarmente accentuato in questo periodo dell’anno, al punto da far perdere di vista le tradizioni, quelle più genuine. Ne rispolveriamo alcune legate prettamente all’Istria, senza la pretesa di essere esaustivi…
Nella tradizione religiosa l’Avvento sta a indicare il periodo di preparazione all’accoglienza del Redentore, o meglio dell’”Incarnazione del Verbo”, la vittoria del Bene sul Male, il passaggio dalle tenebre alla luce. L’Avvento inizia con la domenica più vicina alla festività di Sant’Andrea, patrono dei pescatori, che ricorre il 30 novembre. Alla vigilia della festa a Umago un tempo si organizzava una questua (una raccolta di offerte per i bisognosi) e si visitavano le case dei pescatori, recitando una lauda narrativa sulla vita del Santo. A Salvore negli ultimi decenni il rito religioso, che termina con la benedizione dei pescherecci, è stato rinnovato. Tra le peculiarità dell’Avvento, troviamo pure le cosiddette messe dell’Aurora, che si tenevano alle prime luci dell’alba, concludendosi con il canto delle laudi. Questa tradizione negli ultimi anni è stata ripristinata in alcune località, come per esempio a Parenzo e a Umago.
A Buie un tempo si osservava la tradizione dei “Pellegrini”, che pure è stata ripresa negli ultimi anni: di fronte al Duomo si mettevano quattro ceste, ognuna contenente le immagini lignee di San Giuseppe e della Madonna, che venivano poi portate di casa in casa. Quando i “Pellegrini” giungevano nelle case, ci si raccoglieva in preghiera e si lasciavano nel cesto le donazioni. I “Pellegrini” rientravano al Duomo poco prima di Natale.
San Nicolò
Il primo appuntamento festivo di rilievo era quello di San Nicolò, protettore dei bambini, ai quali secondo la tradizione il Santo portava i doni ben prima della comparsa di Babbo Natale, nella notte tra il 5 e il 6 dicembre. Quest’ultimo, originatosi nell’Europa settentrionale con il nome di Santa Claus, ebbe dapprima successo negli USA, entrando poi in Europa nel XX secolo. Per la tradizione ecclesiastica spettava al Bambino Gesù il compito di portare i doni ai bambini, aiutato dai Krampus, figure tra il folletto e il demone: Ru-Klaus (Nicola il Rozzo), Aschenklas (Nicola di cenere) o Pelznickel (Nicola il peloso). Emerse così la figura di San Nicolò, ricordato a Valdoltra con questa rima: ”Benedeto San Nicola protetor de Vale d’oltra, che ne varda e ne conforta e ne varda duti quanti, lode in cielo a duti i santi”.
Santa Lucia e le Calende
Seguiva, il 13 di dicembre Santa Lucia, o “Madona dei oci” poichè protettrice dalle malattie degli occhi, nel giorno ritenuto il “più breve che ci sia”. Veniva celebrata in tutte le parrocchie o raggiungendo le località in cui c’era una chiesa dedicata alla Santa. Nell’Alto Buiese è tuttora di riferimento la chiesetta di Santa Lucia nell’omonimo paese lungo la strada che porta a Portole. In questa data, o il giorno dopo, iniziavano le Calende (Calennule, Calendule), un originale calendario propiziatorio con cui s’intendeva prevedere le condizioni del tempo nell’anno a venire, osservando la situazione nel periodo compreso prima dal 14 al 25 dicembre, e poi dal 26 dicembre all’Epifania. In alcune località la conta iniziava il 13 dicembre, in altre il 14. A Capodistria e a Parenzo la conta andava dal 1.mo al 24 dicembre. Ad ogni giorno era abbinato un mese dell’anno, iniziando da gennaio. Così, per esempio, se pioveva il 14 e il 26 dicembre, gennaio sarebbe stato piovoso. Se c’era sole il 19 e il 31 dicembre, giugno sarebbe stato sereno.
«La festa del porco»
“De Santa Lucia a l’Epifania el porco va via”, si diceva nelle campagne istriane. L’allevamento dei maiali giungeva infatti al culmine, iniziando l’animale in questo periodo a mangiare di meno. Alla sua macellazione nei villaggi si procedeva di comune accordo, concordando un calendario per potersi aiutare a vicenda. L’attività iniziava di primo mattino, con la bollitura dell’acqua usata per la rasatura del pelo, che seguiva alla sua uccisione e alla bruciatura dei peli sulla carcassa del maiale. Dopo la macellazione, si toglieva il sangue che, mescolato di continuo, era usato o nella preparazione delle “mulize” (sanguinacci) e della “polenta nera”, che si mangiava a pranzo, il cui sugo era realizzato mescolando una data quantità di sangue con due decimi di Refosco. Questa tradizione resiste ancora in alcune località del Buiese. Dopo una pausa, durante la quale si mangiava qualche “barsiola” (braciola), distribuita anche a parenti e vicini, la macellazione proseguiva. Le donne pulivano accuratamente le vesciche, usate poi nella preparazione delle salsicce e dei sanguinacci, mentre una spettava ai bambini, che la riempivano d’acqua, facendone un pallone. La sera si cenava e si festeggiava con crauti e ossa di maiale, sulle quali era stata lasciata della carne. A Gallesano si consumavano ”ossi de porco, capussi garbi, polenta e figà”. Il giorno dopo si procedeva con la preparazione delle salsicce. Crauti e “polenta nera” venivano portati anche ai parenti e ai vicini di casa. Seguiva l’immancabile partita di briscola e tressette, accompagnata da balli e canti tradizionali.
Tempora invernali
Nella settimana successiva alla terza domenica d’Avvento si celebravano le Tempora invernali, nei giorni di mercoledì, venerdì e sabato. Si tratta di riti di preghiera e di penitenza propizianti il buon raccolto agricolo. La domenica successiva, ci si recava a visitare le tombe dei defunti al cimitero. Erano importanti le Tempora dell’ottava di Pentecoste (mietitura del grano), della Santa Croce (vendemmia) e dell’Avvento (raccolta delle olive). Si attribuiva minore importanza a quella della prima settimana di Quaresima. A Portole le Tempora sono praticate tutt’oggi.
La Vigilia di Natale
Si giungeva così al giorno della Vigilia di Natale, in cui, come dice un proverbio, “chi no digiuna xe pezo de un animal”. La giornata iniziava con la messa dell’Aurora, a seguito della quale ci si concedeva una tazza di caffè nero e “un figo seco o una fetina de pan de figo”. A mezzogiorno si consumava la “sopa”: vino rosso riscaldato nella “bucaleta” al focolare, con l’aggiunta d’olio d’oliva, zucchero e pepe, in cui s’inzuppava il pane abbrustolito sulla griglia del “fogoler” o sui tizzoni. Le donne iniziavano poi i preparativi per la festa, preparando tra l’altro le “fritole”. In qualche famiglia giungeva il sacerdote, per la tradizionale benedizione delle case, che caratterizza tuttora il periodo natalizio.
La serata iniziava con la cena della Vigilia. A Barbana, in particolare, si mangiava “minestra de risi e fasioi col brodo de bacalà, dopo vigniva le passutize col bacalà e in ultima le verse”; a Gallesano, “minestrone di ceci, verze, risotto, pesce (possibilmente anguille), baccalà, fritole e caffè”. I pasti erano preceduti dalle preghiere. Si proseguiva giocando a tombola e cantando le laudi, seduti davanti al focolare.
Ci si recava quindi alla messa notturna e chi viveva lontano dalle chiese percorreva anche qualche decina di chilometri per raggiungerle. Sul focolare si lasciava “el zoco”, un grosso ceppo, di modo da trovare la cucina calda al rientro. “El zoco” rappresenta tuttora il più antico simbolo natalizio, simboleggiante la purificazione, il sole che riprendeva ad alzarsi all’orizzonte e la fine dell’anno vecchio. La sua cenere veniva cosparsa nei campi e i carboni spenti venivano adoperati per allontanare la grandine. Gli anziani, percuotendolo con le “molete”, recitavano degli auspici, come “tante falische e Dio dassi tanti sacchi de gran, tante brente de ua e de patate”.
Il giorno di Natale
Il giorno di Natale era caratterizzato dalla messa solenne, dai vespri e dalle visite ai parenti. Quando c’erano delle nascite, si diceva che i “nadalini xe fortunai”. A pranzo si consumava “brodo de galina coi figadei, o ravioi”, baccalà o verze. Il baccalà ha un’origine nordica e da queste parti comparve inizialmente tra le famiglie abbienti di Trieste e di Pola, similmente all’”albero de Nadal”, il cui uso si generalizzò partendo da settentrione, dopo la “Guerra dei trent’anni” (1618- 1648). Da un lato ricorda la tradizione pagana di portare in casa prima del nuovo anno un ramo benaugurante, dall’altro quella medievale degli “Adam und Eva Spiele” (giochi di Adamo ed Eva), ossia la ricostruzione del Paradiso nelle chiese. I cattolici lo accolsero soltanto nel XX secolo.
Il presepe
Un altro simbolo natalizio è il presepe. La sua storia ci riporta al III-IV secolo e alle immagini raffiguranti Maria col Bambino nelle catacombe. Il primo presepe inteso in senso moderno è quello inscenato ad Assisi da San Francesco nel 1223. In Istria, il presepe ebbe una scarsa diffusione. A Capodistria potrebbe essere documentato nel XVIII secolo. Agli inizi del XX secolo lo facevano i padri cappuccini del Conavento di Montuzza; a Capodistria i francescani di Sant’Anna. Intorno agli anni Trenta, però, tutte le chiese istriane si dotarono di presepi. A Buie mons. Cavallarin ne realizzò uno mobile. Anche se non più funzionante, le statue lignee sono tuttora in uso.
Lentamente il presepe s’introdusse anche nelle case. In Istria è particolarmente nota la rappresentazione del presepe vivente di San Lorenzo del Pasenatico, che da anni attira numerosi visitatori, ma altri ne vengono allestiti pure dalla Comunità degli Italiani di Salvore, dall’Associazione “Cuore aperto” di Buie e dal Comune di Gallignana.
La Strage degli Innocenti
Il 28 dicembre si ricordavano la Strage degli Innocenti e la Fuga in Egitto della Sacra famiglia, ripresa negli affreschi della chiesa di San Barnaba a Visinada (XIV-XV secolo) e nell’incisione lignea d’origine altoatesina della Chiesa parrocchiale di San Servolo a Buie.
San Silvestro
La sera di San Silvestro trascorreva all’insegna del cenone, della tombola, dei giochi dell’oca e delle carte e del ballo, aspettando lo scoccare della mezzanotte. Allora, l’anno trascorso, raffigurato da un vecchio stanco, con una lunga barba bianca, scendeva dalla carrozza, sulla quale saliva quello nuovo, ossia un vispo giovane in buona salute. Seguivano gli auguri e i propizi: “Ogni ano in salute!”, ”Se ti ieri bon, che Dio te compagni, se ti ieri cativo che ‘l diavolo te magni”.
La «bonaman»
Fino a pochi decenni fa era tradizione dare la “bonaman” ai bambini che andavano per le case a fare gli auguri di Capodanno ai vicini e ai parenti. E darla era considerato un portafortuna. Si donava un po’ di tutto, ma soprattutto frutta. Nei villaggi del Grisignanese si recitava: “Bon principio del ano, che Dio ve daghi spetar un altro ano”. Anche il Capodanno era accompagnato da alcuni propizi: incontrare per strada un vecchio significava una lunga vita, avvistare una donna era un cattivo segno. Per i preti si diceva: “Un prete consolazion, due disperazion, tre dichiarazion”. In altre parole, a seconda del numero degli incontri, si prospettavano battesimo, morte o matrimonio.
L’Epifania
Il lungo periodo festivo si concludeva con l’Epifania (Befania, Befana, Rodia, Didodisa, Marentega) o festa dei Tre Re, il 6 gennaio. Ancora oggi nelle chiese istriane, alla vigilia della festa si benedice l’acqua. La sera, a Barbana si consumava “un paneto de pan conza” e “una bucaleta de vin bianco”. Attorno al focolare s’aggiungevano tre sedie per i Re Magi. All’alba del giorno successivo, il capofamiglia cospargeva con l’acqua benedetta la casa, le stalle, i campi. Alla messa solenne il parroco esponeva lo stato demografico parrocchiale, cosa che si ripete tutt’oggi.
Nel pomeriggio delle allegre brigate giovanili visitavano le famiglie cantando la Lauda ai Tre Re (o della Stella). Queste compagini erano formate dai Tre Re (Baldassarre, Melchiorre e Gaspare) e da uno stellante che in cima all’asta portava una stella luminosa. C’erano poi il cassiere e due “mussi” che raccoglievano le offerte. Questa tradizione è stata rinnovata negli anni recenti a Caldier, presso Montona (kaldirski kolejani) e a Gologorizza (kolejanje), con un cerimoniale che inizia nel tardo pomeriggio e si conclude in chiesa alle prime luci dell’alba. Segue poi la salsicciata.
La Befana era un’altra occasione in cui si consegnavano i doni ai bambini. A Portole la Marentega lasciava nelle calze “picade a la cadena del fogoler, dolci, nose e zogatoli per i boni e per quei cativi senere, tochi de carbon e bachete”. Finiva così il lungo periodo festivo, perché ”l’Epifania tute le feste la scova via, ma po’ vien quel mato de Carneval, che indrio le fa tornar”.
Denis Visentin
Fonte: La Voce del Popolo – 05/12/2021