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L’Espresso – 151107 – Il valico colabrodo a nord-est

DI FABRIZIO GATTI

 

Smonteranno le quattro  sbarre che la notte ancora  chiudono il valico in fondo  a via San Gabriele. Lasceranno marcire la rete che dagli anni di Tito e dei missili nucleari divideva l'Europa. Di qua gli italiani e Gorizia. Di là gli iugoslavi e Nova Gorica. Camminare stasera sul marciapiede-monumento di piazza Transalpina è come guardare Checkpoint Charlie pochi giorni prima la caduta del muro di Berlino. Il 22 dicembre questi rottami della Guerra fredda verranno smantellati. Mancano sei settimane. E quella mattina anche il decreto sicurezza voluto dal governo si risveglerà già vecchio. Spazzato via dalla tabella di marcia dell'Unione europea. Perché dal 22 dicembre il passaggio a Nord-Est sarà una rotta senza più barriere. Chiunque una volta dentro i confini, nell'area degli accordi di Schengen, potrà viaggiare dall'Ungheria al Portogallo. E non dovrà più mostrare i documenti. Già ogni anno lungo questa via riescono a entrare migliaia di clandestini partiti dall'Asia. Pensare di fermare il ritorno dei cittadini comunitari espulsi dai nostri prefetti, dicono finanzieri e poliziotti, è perfino più difficile. Non importa se sono romeni indesiderati o tedeschi black bloc. A meno che l'Italia non voglia ripercorrere la storia al contrario, sospendere la libera circolazione e rimettere in piedi le frontiere. Come ha già fatto la Francia. Ma solo per pochi giorni, dopo gli attentati di Al Qaeda a Londra nel 2005. Il passaggio a Nord-Est è la porta verso l'Europa del Mediterraneo. Da Trieste a Bolzano. Un ventaglio di calcare, montagne e dolore. È l'altra Lampedusa degli ingressi illegali. Qui però non ti buttano in acqua. Sono arrivi discreti. Chiusi nei camion, su pullman o furgoni. Uomini e donne, invisibili come fantasmi. Costituiscono però il 25 per cento dell'immigrazione clandestina in Italia, secondo i dati del ministero dell'interno. A Lampedusa sbarca un altro 13-14 per cento. Il resto, più del 60 per cento dei nostri irregolari, sono i cosiddetti overstayers: persone, lavoratori, studenti, turisti che lasciano scadere il visto e restano. Poi ci sono gli ingressi a piedi. Una minoranza. Quelli che sfuggono a statistiche e percentuali. I più silenziosi. Da Nova Gorica a Gorizia sono pochi passi di asfalto sotto la luce gialla dei lampioni. Si può anche fare il percorso contrario, dall'Italia alla Slovenia. E poi ancora il contrario. E il contrario ancora. La notte, almeno fino al 22 dicembre, sarebbe vietato. I cartelli avvertono che tra le otto di sera e le sette del martino, bisogna servirsi dei valichi aperti. Ma ormai è solo una formalità.

 

A Gorizia tutti lo sanno. E se domandi come fare a passare il confine senza documenti, ti danno una mano. Come queste due ragazze, età da liceo, che attraversano corso Italia, il viale alberato del centro. Poco prima di cena le strade si svuotano e non è facile chiedere informazioni. «Sei straniero?», vuoi sapere una delle due. «E importante?». «Così», dice lei. «Romania». «È facile», comincia la spiegazione, «vai in piazza Transalpina. Se non c'è la macchina della polizia, passi. Se c'è, aspetti. Al di là del confine, in Slovenia, hanno aperto un casinò. Magari pensano che vai a giocare. Molti in città fanno così. Anche noi, quando andiamo di là a prendere le sigarette. Buona fortuna». A Gorizia hanno visto la storia e i suoi profughi passare sotto le loro finestre. Sono abitanti di confine, come a Lampedusa. E lungo i confini, se non ci sono guerre, alla fine vince la solidarietà. Oppure gli affari. Casinò e sigarette. Paura e diffidenza però hanno contagiato anche questo tratto di provincia italiana. Un esempio: le dichiarazioni rilasciate proprio in questi giorni dal coordinatore per gli enti locali della Lega, Federico Razzini. L'occasione è la fuga di un clandestino marocchino dal centro di detenzione per stranieri a Gradisca d'Isonzo, dieci chilometri da Gorizia. Questa volta nulla di violento: l'uomo, che tra pochi giorni sarebbe stato espulso, si è nascosto nella mensa e non appena ha potuto, è scappato. « Una situazione vergognosa della quale paga le conseguenze la comunità di Gradisca e della regione», sostiene il coordinatore della Lega, «che vede inserita nel suo contesto una sorta di colabrodo dal quale fuoriescono a loro piacimento decine di clandestini allo sbando e, quindi, potenzialmente pericolosi» . Nessuno a Gorizia ha spiegato che tra i clandestini rinchiusi nei centri ci sono anche innocui muratori o badanti. O immigrati che hanno perso il lavoro per le lungaggini nei rinnovi del permesso di soggiorno: le domande presentate in questi giorni verranno evase solo nel settembre 2009. Un sistema allo sfascio. E in questo caso si tratta di persone che vogliono rispettare la legge. II tema è molto sentito anche sul versante sloveno del passaggio a Nord-Est. Prima dell'imminente ingresso tra i Paesi dell'area Schengen, Lubiana ha dovuto dimostrare di saper controllare i confini orientali della Ue. E anche lì la paura nei confronti dell'immigrazione clandestina è entrata nell'agenda del consenso politico. Come scrive Slavoj Zizek, il filosofo e psicanalista nato a Lubiana, nel suo nuovo libro "La violenza invisibile" (in uscita da Rizzoli): «Una volta che si rinuncia alle grandi cause ideologiche, ciò che resta è solo l'amministrazione della vita. In altre parole… l'unico modo per introdurre passione in questo campo, per mobilitare attivamente la gente, è la paura, costituente fondamentale dell'odierna oggettivita».

 

Eppure a vedere con quale cura italiani e sloveni presidiano i varchi e la linea di confine tra il valico di San Gabriele e piazza Transalpina, non sembriamo affatto un mondo sotto assedio. Non c'è nessuno. Tutte le notti da anni non c'è mai nessuno. La rete taglia in due le strade. Di qua la stazione e i treni diesel di Nova Gorica. Di là una via buia, un hotel e qualche palazzo italiano. Intorno le colline carsiche con i sacrari e le memorie della Grande Guerra. Basta sedersi e aspettare. Qualcuno si guarda alle spalle. Passa e tira dritto. È in Italia. Vederli entrare da Tarvisio è molto più difficile. La polizia stradale fa controlli a campione. I passatori caricano i loro passeggeri su furgoni merci o camion. E la merce di solito ha la precedenza sugli uomini. Così in molti arrivano a destinazione. Le operazioni non mancano. Come la scorsa estate, quando le questure di Bolzano, Udine e Roma bloccano una rete di trafficanti indiani che fanno entrare nella Ue almeno tremila clandestini l'anno. Gli investigatori scoprono alcuni appartamenti in provincia di Brescia dove i passeggeri vengono ammassati fino a cinquanta persone in pochi locali. Il tempo di organizzare l'ultima tappa del viaggio: dalla Lombardia alla Gran Bretagna. Il costo varia: 14 mila euro per rischiare di soffocare in sottofondi o container. Oppure 20 mila per ricevere un visto turistico falso. I trafficanti, come sempre, risparmiano su tutto. E tra le scorte di viveri per i loro clienti, i poliziotti sequestrano barattoli di carne per cani. Le espulsioni in aereo sono le più costose. E non sempre si possono rimpatriare decine di persone con lo stesso volo. La via più economica prevede la restituzione dei clandestini al Paese di transito. Ma bisogna dimostrarlo. Così a fine anno viene compilato il bollettino delle espulsioni attive e passive. Una partita in cui i risultati dipendono dagli accordi internazionali, ma soprattutto dalla diplomazia dei funzionari in servizio. Il Brennero ne è un esempio. Ogni giorno ci sono decine di destini da restituire all'Austria o da prendere in consegna. La stazione ferroviaria a Bolzano è un punto di osservazione fondamentale per seguire chi parte per il Nord Europa, oppure chi è appena arrivato. Dall'inizio del 2007 al 10 ottobre in Alto Adige la polizia ha arrestato, fermato, denunciato o respinto 1084 persone: 72 sono state accompagnate in Austria, 559 sono state invece restituite dagli austriaci. Erano 292 contro 636 nel 2006. E 474 contro 580 nel 2005. Quest'anno la polizia italiana ha finora rifiutato 8 riammissioni. I colleghi austriaci 40. « II bilancio dipende sempre dai canali di ingresso che si attivano», spiega un investigatore: « Molti dei clandestini che l'Austria ci ha restituito quest'anno sono curdi che tentavano di raggiungere i loro parenti in Germania. Arrivano in Italia nascosti nei camion che sbarcano dai traghetti ad Ancona. Vengono sicuramente dalla Grecia. Ma una volta che raggiungono il Brennero o Tarvisio, è praticamente impossibile riportarli indietro in Grecia. Perché è impossibile dimostrare alle autorità greche quale percorso abbiano seguito». A questo punto gli immigrati che non vengono rimpatriati, sono rilasciati con un invito che li obbliga a uscire dall'Italia entro cinque giorni. Se vengono ripresi, finiscono in carcere. Nessun Paese europeo regala visti di ingresso. Così un incensurato in cerca di lavoro o in viaggio per incontrare i familiari si ritrova nell'elenco dei pregiudicati. E compromette per sempre il suo futuro. Proprio con questo pretesto, i trafficanti hanno aumentato le tariffe. Il prezzo dipende dal Paese di partenza. L'arrivo è garantito, dicono. Ma non sempre va così. Non è un problema. L'importante è che la maggioranza non muoia per strada. Il resto è una questione economica: finché esisterà il lavoro nero, ci saranno lavoratori senza documenti in regola. Il futuro potrebbe essere addirittura promettente per i passatori del Nord-Est. Le migrazioni dipendono anche dalle guerre. E le scintille in Kurdistan e in Kosovo potrebbero innescare nuove partenze in massa. Così, come sette anni fa, il silenzioso marciapiede di piazza Transalpina a Gorizia tornerebbe ad essere il maniglione antipanico dell'Europa per migliaia di profughi. Occhi e gambe in fuga dagli incendi che si nascondono sotto i tappeti di casa nostra. ■

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