Interessanti e ricche di spunti sono le analisi che si susseguono in questi giorni sul quotidiano triestino Il Piccolo riguardo i 70 anni del ritorno dell’Italia a Trieste. La maggior parte si concentra sulle questioni di politica internazionale che hanno portato alla soluzione della questione di Trieste, sicchè rimangono sullo sfondo due autorevoli figure che furono il punto di riferimento dei triestini in quel decennio di incertezza, tensione e conflittualità tra opposti nazionalismi ed ideologie. Erano entrambi istriani, per la precisione rovignesi: il Vescovo Antonio Santin ed il Sindaco Gianni Bartoli.
Il presule della diocesi di Trieste e Capodistria era emerso come defensor civitatis nelle terribili giornate che segnarono il passaggio dall’occupazione nazista a quella comunista con il breve intermezzo di libertà ottenuto con l’insurrezione del Comitato di Liberazione Nazionale del 30 aprile 1945. Fedele alla sua missione, rischiò il linciaggio da parte delle milizie comuniste jugoslave quando si recò a Capodistria a impartire la Cresima. Dalla Cattedra di San Giusto trovò sempre parole adeguate per confortare i triestini negli anni del Governo Militare Alleato, in cui si alternavano speranza per il ritorno dell’Italia e paura di una nuova occupazione jugoslava.
Una figura ecclesiastica autorevole in una città tradizionalmente laica che però trovava anche come guida civile un rappresentante cattolico: Bartoli, dopo essersi formato nella FUCI e nell’Azione Cattolica, diventò il rappresentante della Democrazia Cristiana nel CLN di Trieste assumendo pure il comando nel periodo di prigionia di Don Marzari. Nelle prime elezioni comunali autorizzate dalle autorità militari angloamericane la DC ottenne una netta maggioranza che gli consentì di iniziare il primo dei suoi tre mandati di sindaco, svolgendo un’efficace attività amministrativa e politica. Da un lato avviò un’ampia campagna di lavori pubblici, dall’altro fece valere le istanze dei triestini di fronte al Governo Militare Alleato e nel frattempo si adoperò per dare un alloggio al di fuori dei Centri Raccolta Profughi alle migliaia di esuli istriani che continuavano ad affluire in quella che sarebbe diventata la Capitale morale dell’Esodo giuliano-dalmata. Anche di fronte alla progressiva perdita dell’Istria a beneficio della Jugoslavia, il patriottismo di Bartoli rimase inalterato e si adoperò per l’italianità di Trieste, richiamando sovente gli Alleati a ricordarsi quanto avevano promesso con la Dichiarazione Tripartita del 20 marzo 1948 (restituzione all’Italia di tutto il Territorio Libero di Trieste, Zona B compresa) e a diffidare di Tito e della sua politica estera ondivaga. Di cosa fosse capace il dittatore jugoslavo, Bartoli lo aveva dimostrato nella sua raccolta di documenti e testimonianze intitolata “Il martirologio delle genti adriatiche”.
Con il ritorno dell’Italia a Trieste, la situazione politica si stabilizzò non del tutto in linea con le sue posizioni e Bartoli avrebbe dedicato il suo impegno a mantenere l’identità italiana di Trieste e a rendere forti le associazioni degli esuli con l’Unione degli Istriani e con l’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, di cui fu anche Presidente nazionale.
Renzo Codarin
Presidente Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia
[Pubblicato su Il Piccolo del 25/10/2024]
Nel ciclo di videoconferenze che il Comitato provinciale di Milano dell’ANVGD sta dedicando ai 70 anni del ritorno dell’amministrazione italiana nella Zona A del Territorio Libero di Trieste avvenuto il 26 ottobre 1954, un appuntamento è stato dedicato pure al Sindaco Gianni Bartoli.
Ne ha parlato Piero Trebiciani, Caporedattore emerito del Piccolo di Trieste e responsabile per Trieste dell’Associazione Nazionale Partigiani Cristiani.