Nancje il mus al mene la code par dibant», afferma un noto proverbio di casa nostra dal significato fin troppo evidente. E neppure l’imperatore Enrico IV, di passaggio a Pavia in quel 3 di aprile dell’anno 1077, dopo aver transitato per Canossa per chiedere perdonanza della sua ribellione al Papa che lo aveva scomunicato per via di certe questioni legate alla lotta per le investiture, aveva emanato quel privilegio, con il quale donava la contea del Friuli al patriarca di Aquileia, Sigeardo di Tengling, senza averne in cambio una interessata ricompensa.
Il fatto è che una parte dell’aristocrazia, nonostante la papale perdonanza, continuava la sua opposizione all’imperatore della casa di Franconia, e tra questi c’era anche il conte del Friuli: deboluccio fin che si vuole, ma in grado di controllare i valichi delle Alpi Orientali, e massime quelli di Monte Croce Carnico e di Coccau, consentendo, o impedendo, lui, piccolo conte, il passaggio all’augusto imperatore quando questi soleva recarsi dalla Germania in Italia o viceversa.
Il buon Sigeardo era uomo autorevole, potente, all’imperatore sicuramente devoto anche perché, precedentemente, lo aveva servito come cancelliere, che quel necessario passaggio per i valichi montani del Friuli glielo assicurava di buon grado. Ecco svelato l’arcano della dazione dell’imperatore che era una dazione d’interesse, che certamente i due protagonisti non avrebbero immaginato a quali, future conseguenze avrebbe portato.
A questa contea del Friuli, qualche mese più tardi, e sua sponte, l’imperatore aggiungeva la contea d’Istria e la marca della Carniola. Nasceva così uno stato vero e proprio ma, attenzione: non si trattava mica di uno stato indipendente come noi oggi l’intendiamo, ma di un vero e proprio stato feudale, dato che chi lo governava riconosceva che sopra di sé ci stava un’altra autorità: quella imperiale.
Lo stato feudale friulano, che amiamo chiamare Patria del Friuli, richiamandoci a un appellativo che troviamo citato nei documenti fin dal secolo XIII, aveva comunque una estensione molto minore di quella della vasta diocesi ecclesiastica che Sigeardo amministrava. Era uno stato già allora regione d’Europa: geograficamente italiano, politicamente facente parte dell’impero germanico, con la presenza di una istituzione per certi versi unica, come il Parlamento della Patria del Friuli, che ribadiva ancor più l’evidente collegamento di quello stato con le altre regioni d’Europa. Insomma, uno stato con una sua precisa identità. Ma anche uno stato teocratico, e anche per questo molto ben visto dai preti nostrani, che non potevano non compiacersi di un’esperienza unica e irripetibile come quella.
E poiché, come gli storici ben sanno, ogni popolo che si rispetti ha bisogno di un mito di fondazione, non a caso don Placereani, che la storia del Friuli la masticava, eccome, tanti anni fa propose il 3 di aprile del 1077 come momento fondativo dell’identità friulana, che noi devotamente celebriamo come festa del Friuli, con incontri, convegni e rimembranze. Non come un chiuderci dentro uno steccato etnico, ma come festa di genti che festeggiano il felice incontro delle mille identità che vivono in questo territorio, che accettano la sfida del confronto, del mettersi in gioco, del trasformare questa regione da regione d’Europa a esemplare regione del mondo.
Roberto Iacovissi
www.messaggeroveneto.it 3 aprile 2013