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L’indipendenza slovena significò anche la fine di una dittatura comunista

I carri armati jugoslavi che se ne vanno e le bandiere con la stella rossa che vengono ammainate sono scene che portano alla memoria non solo l’indipendenza della Slovenia, di cui in questi giorni ricorre il trentennale, ma anche le giornate che vissero triestini, goriziani e polesani il 12 giugno 1945, quando terminò l’occupazione delle forze partigiane di Tito.

Lunghe sarebbero ancora state le vicende del confine orientale prima che almeno Gorizia e Trieste rientrassero a tutti gli effetti nei confini della Repubblica italiana, mentre Pola stessa, il resto dell’Istria, Fiume e Zara continuarono a patire la persecuzione dell’italianità e la stretta liberticida del consolidarsi della dittatura comunista che avrebbero condotto all’esodo del 90% della comunità italiana autoctona.

Poco bagaglio potevano portare con sé gli esuli istriani, fiumani e dalmati, ma tante erano le paure, le angosce ed i lutti rimasti in dote avendo sperimentato il regime che Tito stava costruendo. Proprio questa conoscenza diretta del terrore titoista ha fatto sì che gli esuli adriatici simpatizzassero per la liberazione di altri popoli, come sloveni e croati, dall’oppressione comunista, ma nel mondo della diaspora adriatica era sorta pure un’altra consapevolezza: che la Jugoslavia non sarebbe sopravvissuta a lungo al suo padre-padrone. Nel corso degli anni Novanta, infatti, in maniera più o meno cruenta le repubbliche della Federativa sarebbero andate ognuna per la sua strada.

Anche immaginando questo scenario, gli esuli istriani, fiumani e dalmati furono contrari al Trattato di Osimo, poiché attendere la morte del despota di Belgrado avrebbe consentito alla diplomazia italiana di lavorare da una posizione di forza. D’altro canto negli anni Novanta non si ebbe neppure la forza per imporre a Slovenia e Croazia, Stati successori per competenza territoriale, di ridiscutere i termini dei risarcimenti previsti da tale Trattato e che la Jugoslavia aveva appena iniziato a versare.

Pur nel clima di buon vicinato che lega oggi Roma, Lubiana e Zagabria ricordiamo, perciò, che vi sono ancora questioni inerenti l’italianità adriatica ereditate dal regime comunista che devono essere risolte con accordi bilaterali.

Renzo Codarin
Presidente Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia

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