Ci volle una legge approvata nel 2004 per riportare all’attenzione delle istituzioni e dell’opinione pubblica italiana il dramma vissuto nella Venezia Giulia tra il 1943 e il 1950. Con quella legge venne istituito il “Giorno del Ricordo” fissato per ogni 10 febbraio. Da ricordare c’è il dramma di centinaia di migliaia di italiani che si videro costretti ad abbandonare le proprie case in Istria, Dalmazia e Fiume, e delle migliaia di persone gettate nelle foibe, profonde gole naturali del Carso, dai partigiani jugoslavi. Molte le iniziative in programma oggi. Domani si terrà una cerimonia al Quirinale, alla presenza del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Adriana Masotti ha chiesto a Lucio Toth, presidente onorario dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, quale sia l’importanza del “Giorno del Ricordo”:
R. – Ha il significato di ricordare che c’è stata una parte d’Italia che, alla fine della Seconda Guerra Mondiale ha vissuto una vicenda particolare: quella di aver subito una liberazione da parte di un Paese alleato degli angloamericani, che però invece aveva su di noi delle mire annessionistiche, voleva prendersi tutta l’Istria, Trieste eccetera. E quindi per noi è diventata una vicenda tragica perché dopo due anni di occupazione tedesca, ci siamo trovati ad avere anni ed anni di quella che per noi era un’occupazione straniera: che ci ha impedito di usare la nostra lingua, che ha iniziato una persecuzione nei riguardi degli italiani, in tutte le forme. Le foibe sono la forma più sanguinosa di questo fenomeno, con migliaia di morti. Ma altrimenti, è stata tutta una caccia all’italiano, tutta una persecuzione di intere comunità, così che l’esodo si è risolto nell’abbandono di ben 350mila italiani …
D. – La Giornata del ricordo è stata istituita nel 2005: da allora, è cambiato l’atteggiamento nei riguardi di questi fatti, o c’è ancora molto da fare?
R. – Da fare c’è sempre, perché la conoscenza della storia è sempre faticosa e si devono approfondire, questi problemi. Incontriamo molto interesse, soprattutto nei giovani, ma anche da parte degli studiosi di storia. Possiamo dire che rispetto a qualche anno fa, c’è molta più attenzione nei nostri confronti: sono sorti monumenti ai martiri delle foibe in tantissimi comuni italiani! Certo, ci sono ancora difficoltà perché qualcuno pensa che sia una forma di revanchismo fascista, ma è completamente fuori posto, perché anche tanti esponenti della sinistra e della cultura di sinistra ci sono stati vicini. Poi, una parte molto importante l’ha avuta anche la Chiesa che fin da allora, fin dal ’44 – ’45, ci è stata vicinissima: la persecuzione religiosa ha avuto un grosso rilievo anche tra le cause dell’esodo. Furono abolite tutte le feste religiose, furono vietate le somministrazioni dei sacramenti, abbiamo avuto tra le vittime 39 sacerdoti: uno è stato beatificato quattro-cinque anni fa, don Francesco Bonifacio, con una bellissima cerimonia che si è svolta a San Giusto, a Trieste, ed erano presenti anche i vescovi delle vicine diocesi croate e slovene, in riconoscimento di un fatto oggettivo. Altri sacerdoti sono stati gettati nelle foibe insieme con i loro parrocchiani …
D. – Una parte importante l’ha avuta anche il presidente Napolitano …
R. – Il presidente Napolitano ci è stato di grandissimo aiuto: quando nel 2007 parlò per la prima volta, fu molto coraggioso. A quei tempi suscitò la reazione del presidente Mesic, che era un uomo di sinistra e non capiva perché il presidente Napolitano si pronunciasse con tanta durezza, parlando di “ferocia disumana”, di “pulizia etnica”, e via dicendo …
D. – Anche lei, in prima persona, ha vissuto queste vicende: che cosa potrebbe dire?
R. – Io ero, allora, un bambino di otto anni, quando sono avvenute queste cose; ho abbandonato Zara poche settimane prima che incominciassero i bombardamenti. E’ un trauma che ha accompagnato tutta la mia vita, perché crollava tutto il mio mondo di certezze: i miei nonni, la mia casa, i miei giochi, la mia scuola … non sapevo dove sarei andato … E’ stata un’esperienza molto triste e ne risento ancora, perché non si può dimenticare la gente uccisa, i parenti perduti nei campi di concentramento jugoslavi, le lettere drammatiche che ci scambiavamo sono un ricordo indelebile nella mente mia e di migliaia e migliaia di noi …
Testo proveniente dalla pagina del sito di Radio Vaticana