L’isola Nuda, rimossa dalla coscienza

Sull’isola di Goli otok – Isola nuda -Tito fece internare, tra il 1949 e il 1956, migliaia di dissidenti politici. Fino al 1988, anno della sua chiusura, ha poi funzionato da carcere per detenuti di reati comuni. Ora è lasciata in totale abbandono, e nonostante sia meta di migliaia di turisti rimane una pagina nera rimossa della storia jugoslava

Rimane vivido in me un racconto che mi venne fatto nella mia infanzia, dai miei genitori, e che riguarda Goli Otok: il ritrovamento negli anni ’50, sulle rive di Baška, di una bottiglia contenente un messaggio scritto da un internato.

Di certo a Baška, paesino dell’isola di Veglia dove ho radici per parte di madre, fino al 1989 la forte presenza della polizia dava l’idea del controllo imposto nell’area. Perché a pochi chilometri in linea d’aria verso sudest, dietro all’isola di Pervicchio che chiude il golfo del paese, si trova Goli otok. La cui storia è stata tenuta nel silenzio per decenni.

Goli, nuda (o calva), perché praticamente priva di vegetazione, è un’isola di 4,54 chilometri quadrati situata nel canale del Velebit prospiciente il golfo del Quarnero. Durante la Grande guerra era stata adibita dall’esercito austroungarico a carcere per prigionieri russi. Ma poi – come abbiamo scritto nel 2008 nel nostro lavoro multimediale “AestOvest” – nota perché dal 1949, dopo la rottura di Tito con Stalin, oltre che carcere per criminali comuni è stata usata come luogo di detenzione per dissidenti. Tito vi fece internare molti comunisti ritenuti vicini all’Unione Sovietica. Tra questi, anche italiani che si erano trasferiti in Jugoslavia dopo la Seconda guerra mondiale per partecipare all’edificazione del socialismo, accanto ad anticomunisti e criminali comuni. Condannati perché considerati informbirovci o ibeovici [ndr, cominformisti sostenitori del “Cominform ” sovietico, da Informbiro in serbo-croato] a periodi di “lavoro utile alla collettività” – come citano i documenti ufficiali di quell’epoca – in realtà detenuti in condizioni terribili.

Segreti svelati

Un luogo i cui segreti sono venuti alla luce solo dalla fine degli anni ’80, grazie alla raccolta e pubblicazione di testimonianze, documenti di archivio dell’UDBA (servizi segreti jugoslavi), diari di ex-internati, documentari, ricerche, saggi e romanzi.

Non si sa il numero esatto di chi è passato sotto le forche caudine dell’isola. In uno dei migliori saggi recenti sulla questione, “Povijest Golog otoka ” [Fraktura, Zagreb 2019] dello storico Martin Previšić, si stima che fino al 1956 – anno in cui, ormai deceduto Stalin, i rapporti tra Jugoslavia e Urss cominciarono a normalizzarsi – i detenuti siano stati tra donne e uomini 13mila [ndr, altre fonti arrivano a 30mila]. Previšić, con raccolta accurata di dati, fonti e 24 testimonianze dirette, in 640 pagine ricostruisce minuziosamente questa pagina nera della storia jugoslava.Si stima inoltre che tra i 400 e i 600 detenuti siano morti per le violenze subite o di stenti: costretti ai lavori forzati sotto al sole a picco o al gelo, sottoposti a torture psicologiche e fisiche, denutriti, lasciati morire di dissenteria, tifo o altre malattie. Per chi è tornato a casa, dopo una media di due anni di reclusione, proseguivano le sofferenze psicologiche. Al rientro li aspettava infatti il controllo attento dell’UDBA e l’imposizione del silenzio su cosa fosse realmente Goli otok e su ciò che avevano patito.

Dal 1956 al 1988 l’isola ha poi funzionato da colonia penale per detenuti comuni e alla chiusura è stata lasciata in totale stato di abbandono. Lo scrittore serbo Danilo Kiš fu tra i primi a svelare i segreti di questo luogo. Nel 1986, in un suo viaggio in Israele, scopre la verità dai racconti di Ženi Lebl, [ndr, della quale abbiamo scritto su OBCT nel 2020] e di Eva Nahir Panić, entrambe ex-deportate di Goli ed emigrate in Israele negli anni ‘60. Concluso da Kiš poco prima di morire, il documentario “Goli život ” [La vita nuda] diretto dal regista Aleksandar Mandić, è andato in onda in quattro puntate su TV Sarajevo nel febbraio del 1990. “E, come in un atto simbolico che forse solo l’arte può realizzare, fu anche l’ultima cosa che i cittadini della Jugoslavia guardarono tutti assieme, in diretta”, riporta la presentazione di un libro tratto dal documentario, pubblicato in italiano da Mimesis l’anno scorso.Tra i detenuti politici di Goli otok vi furono anche italiani, dei quali ha per primo raccontato Giacomo Scotti nel 1991 in “Ritorno all’Isola Calva” e nel 1997 nel libro “Goli otok, italiani nel gulag di Tito” (Lint, 1997). Prove che emergono anche da alcune testimonianze video raccolte dalla Comunità degli italiani di Fiume nel progetto “Archivio della memoria”.

Le mie visite

Ho messo piede sull’isola per la prima volta nell’estate 1990. In un’atmosfera generale tesa, ma che nessuno dei miei cari amici jugoslavi con cui ero allora immaginava si sarebbe trasformata in guerra. Già in gran parte saccheggiate ed erose da pioggia e vento, nelle strutture di pietra dell’ex carcere abbiamo trovato resti di letti di ferro, pentolame, stracci, gabbie per animali da allevamento, scritte di ex detenuti sui muri; nei bunker mezzi interrati, spazzatura ed escrementi. Nel silenzio torrido di un luogo tragico eppur bello, nella sua nudità vestita di pietrame accecante e avvolta da mare blu-verde, abbiamo creduto di “sentire” chi in quei luoghi aveva sofferto e perso la vita.Ci sono tornata poi nel 2008, quando in un gelido giorno di maggio con il collega Davide Sighele abbiamo girato il video “L’Isola”: immagini montate con voce off dei testi – intensi, tragici e taglienti – tratti dal libro di Dunja Badnjević “L’Isola nuda” pubblicato da poco e che avevamo letto e riletto prima della partenza. Un libro che Dunja ha scritto dopo aver deciso di mettere piede sull’isola, da “turista”, per ripercorrere ciò che suo padre aveva descritto nei suoi diari segreti di prigionia.

Quest’estate sono stata ancora una volta a Goli Otok, per vedere con i miei occhi ciò che alcuni denunciano da anni, in primis l’associazione “Ante Zemljar” – fondata anche da ex internati – e “Documenta – Centar za suočavanje s prošlošću” (Centro per il confronto con il passato) di Zagabria. “Abbiamo avviato con Documenta un’iniziativa per cercare di salvare l’ex complesso del carcere dalla distruzione e dall’oblio”, ha dichiarato per DW nel 2018 Božo Kovačević della “Ante Zemljar” il cui padre fu internato a Goli Otok. “Vogliamo che diventi un memoriale-centro di documentazione e museo (…) Un’istituzione che deve essere anche parte dell’offerta turistica, ma con personale specializzato e non con le narrazioni raffazzonate che vengono presentate ai turisti oggi”.Infatti, l’isola è diventata un’attrazione per migliaia di turisti l’anno. Da Baška, per 350 euro ti ci portano con gommoni da 8/12 posti, oppure con imbarcazioni che offrono escursioni a 50 euro, pranzo compreso, e che scaricano su Goli 60 persone alla volta.

Con il nostro motoscafo l’abbiamo raggiunta percorrendo poco più di 10 miglia. Non abbiamo trovato posto nella baia Tetina, già piena di imbarcazioni. La folla di gente sbarcata prima di noi si era già accalcata alla “Konoba Pržun“ (Osteria “Prigione”) o si era accaparrata un posto sul “Goli express”, trenino turistico che fa il tour del lager. Abbiamo allora optato per la vicina baia di Melna, al molo dove ai tempi arrivavano le navi di stazza maggiore. Su di un masso, dell’area di carico-scarico, campeggia la scritta fresca “Slava Ukraini e Živela Hrvatska”. A poche decine di metri solo gli scheletri delle ex-officine del campo. Delle strutture del carcere, oggi rimane ben poco: macerie, nudi muri con scritte sbiadite, infissi di porte e finestre erosi dal tempo, grate di ferro, resti di tetti pericolanti. La bassa vegetazione è bruciata da mesi di siccità. Gli alberi, messi a dimora decenni fa dai carcerati che venivano poi obbligati a stare in piedi ore per far ombra alle piantine, resistono stoici. Pecore pascolano lontano dalla folla.

C’erano strutture per alloggiare i detenuti (che loro chiamavano con sarcasmo “Hotel”), i carcerieri e l’amministrazione. Una cisterna di pietra per raccogliere l’acqua piovana, edifici dove si svolgevano i lavori forzati, bunker per controllare tentativi di fuga. Sono state ben descritte dalla rivista specializzata Matica Hrvatska: il “Prvi logor ‘Stara žica’ e “Drugi logor ‘Velika žica’ (Primo e secondo carcere per uomini), il Treći logor – ‘Ženski’ (Terzo carcere, per donne) e il “Četvrti logor – ‘Petrova rupa’ (carcere speciale, il buco di Petar). Quest’ultimo era un buco profondo 8 metri e largo 20, attorniato da un muro alto 3, considerato il luogo di detenzione più duro: veniva qui rinchiusa la “elita jugoslovenskih ibeovaca“ (l’élite dei cominformisti jugoslavi) e ha preso il nome dal primo che ci finì, Petar Komnenić.

Infastidita all’idea di incontrare la massa di turisti che scatta selfie, mangia chiassosa al ristorante, parla al telefono a voce alta, resto nella baia Melna, vuota e silenziosa. Mi chiedo perché le istituzioni non abbiano preservato questo luogo e la sua memoria. E come è possibile che in fondo alla salita che porta alla baia Tetina – che i neo-detenuti sbarcati dalla motonave Punat percorrevano attraversando il cosiddetto stroj, cioè un tunnel di due file di carcerati obbligati a picchiarli – si organizzi la “Balinjerada”, gara goliardica di tuffi in mare su trabiccoli a tre ruote. L’ultima, il 26 giugno scorso.

Coscienza sporca o questione economica?

Le mie domande restano senza risposta. Alcuni tentativi perché si arrivasse a tutelare questo luogo e la sua storia, sono stati fatti, sebbene invano. Nel 2004 l’associazione “Ante Zemljar” ha presentato richiesta al parlamento, tramite il Comitato per i diritti umani e i diritti delle minoranze , di una legge specifica. Ma nonostante a più riprese sollecitato dal Comitato – ultima volta nel 2014 – il parlamento non se n’è mai occupato.

Anzi. Quell’anno, una parte dell’isola è rientrata nel progetto “Projekti 100”: all’interno di questo veniva sondato l’interesse di privati per per circa 20 milioni di metri quadrati, tra terreni e immobili di proprietà dello stato, che venivano messi a disposizione in usufrutto, affitto o acquisto. Con l’obiettivo “di mettere in funzione il patrimonio statale, utilizzarlo come motore di ulteriore sviluppo locale e raccogliere fondi significativi”.

Immediate le proteste di alcuni cittadini, che da anni attendevano la conclusione di procedimenti legali che riguardavano terreni dell’Isola calva che ritenevano essere di loro proprietà, ma anche da parte di alcune associazioni. In risposta, Mladen Pejnović – a capo dell’Ufficio di Stato per la gestione del patrimonio pubblico (DUUDI – Državni ured za upravljanje državnom imovinom) – a chiusura del bando nel settembre del 2014 rispose alla stampa: “L’abbiamo resa disponibile [ndr, Goli otok] al pubblico per ricevere suggerimenti e idee. Questa è la nostra piccola provocazione e critica, perché non è stata mai messa prima a disposizione dei cittadini”. Per decidere definitivamente la destinazione dei terreni, partendo dalle 10 proposte pervenute per l’isola, il DUUDI ha poi annunciato l’avvio di un tavolo di confronto con associazioni, cittadini, autorità locali, che ad oggi non ha portato a risultati.

Secondo Božo Kovačević della “Ante Zemljar” i motivi sono diversi: “I governi socialdemocratici hanno probabilmente evitato l’argomento per non voler ricordare le azioni dei loro predecessori ideologici, mentre per l’HDZ le vittime di Goli non sono abbastanza attrattive”. Le vittime più “apprezzate politicamente” rimangono quelle croato-cattoliche, mentre sull’isola non finirono solo detenuti croati o cattolici ma provenienti dall’intera Jugoslavia. E poi – secondo Kovačević – vi è anche una dimensione prettamente locale: “La gente del posto teme la realizzazione delle nostre proposte. Difficile accettare che dai documenti eventualmente esposti al memoriale possano emergere informazioni sui carcerieri”. Che spesso erano abitanti delle isole vicine.

Certo è invece ciò che stabilisce il nuovo piano regolatore pubblicato dal comune di Lopar nel 2017: il terreno che si affaccia alle baie di Melna e Tetina è adibito “ad uso turistico” in tre aree specifiche per “ristorazione, hotel e campeggio”.

Trent’anni di abbandono richiederebbero una spesa astronomica per bonificare e mettere in sicurezza ciò che è rimasto, e importanti investimenti per realizzare un memoriale e mantenerne il funzionamento. L’aspetto economico viene sottolineato da Documenta nella sua nuova proposta inviata ad agosto 2020 al DUUDI: vi si invitano le istituzioni a definire un progetto globale, che coinvolga in rete investitori stranieri, soggetti nazionali e locali e l’Ue.

Nel frattempo, Documenta ha realizzato una guida virtuale in croato e inglese , nell’ambito di un progetto finanziato della tedesca Friedrich Ebert Stiftung, per cercare di offrire al pubblico informazioni verificate sulla storia dell’isola.

Inoltre, da quando nel 2009 è stata istituita per il 23 agosto la Giornata europea di commemorazione delle vittime di tutti i regimi totalitari e autoritari, in questa data si recano a Goli otok alcuni rappresentati del parlamento croato e delle amministrazioni locali. Come accaduto tre giorni fa: il deputato Josip Borić, assieme a Oleg Butković – ministro del Mare, del Traffico e dell’Infrastruttura – hanno apposto corone di fiori oltre che a Goli Otok anche nella vicina isola di Sveti Grgur (San Gergorio), anch’essa ai tempi carcere per dissidenti politiche. Per il resto, tutto tace.

Intanto alle nuvole scure all’orizzonte si è aggiunta una brezza che rischia di rinforzare. Se si alza la bora, rientrare da qui nel golfo di Baška è rischioso e decidiamo quindi di ripartire al più presto. Guardando l’isola che si allontana, rimane nei nostri occhi una pagina nera della storia, ormai quasi illeggibile.

Nicole Corritore

Fonte: Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa – 26/08/2022

Reportage fotografico

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Il Piccolo – 28/08/2022

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